Le vicende parlamentari di questi giorni con due importanti riforme del programma di governo come il premierato e l’autonomia differenziata, ci inducono a riflettere su vicende lontane nel tempo, di un secolo fa, nel centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti.
Sono riforme da non sottovalutare nel loro significato politico e per i loro effetti perché incidono sull’equilibrio dei poteri costituzionali e sull’unità economica e sociale del Paese.
È opportuno ricordare il pensiero di Luigi Sturzo in tre passaggi fondamentali: il Congresso di Torino del 1923, l’appello agli elettori del gennaio del 1924 e la conferenza di Parigi di aprile del 1925 promossa dal Comité National d’études sociales et politiques.
Il 12 aprile del 1923 Sturzo interviene al congresso di Torino che Mussolini definisce “il discorso di un nemico” sul Popolo d’Italia.
Sturzo ribadisce una linea di opposizione antibolscevica e contro la tattica di Giolitti sul controllo delle fabbriche e un fermo diniego al collaborazionismo come fecero i liberali democratici. I Popolari dissentirono dal movimento fascista per l’esercizio della violenza e per l’organizzazione delle squadre armate. I popolari con Sturzo, presentarono un progetto per l’azionariato operaio, ma Giolitti non volle saperne di prenderlo in considerazione. Di converso il progetto di legge per il controllo operaio delle fabbriche fu abbandonato anche da parte socialista. Rispetto all’escalation del clima di violenza disse: “Noi vogliamo la libertà, ma neghiamo la licenza, che si traduce in disordine, anarchia, violenza. La libertà è diritto è legalità è ordine a disciplina interna”.
Poi va richiamato l’appello ai popolari del 26 gennaio 1924 in previsione delle elezioni del 6 aprile 1924. Sturzo vede con lungimiranza gli effetti della legge elettorale Acerbo con cui si svolgeranno le elezioni politiche e afferma perentoriamente: “Il nuovo metodo elettorale che i popolari hanno combattuto e non cesseranno di combattere mette in condizione di inferiorità i partiti autonomi rispetto alla lista governativa che può dirsi eletta prima ancora che venga dato il responso delle urne e altera il vero risultato della volontà popolare”.
Voglio quindi tornare a Sturzo, alle sue parole, alle sue valutazioni, al suo pensiero lungimirante in una fase delicata della sua vita politica allorquando lasciava Roma per Londra. Comprendeva di trovarsi ormai in esilio e nel marzo del 1925 partecipò ai lavori di una conferenza a Parigi poi pubblicata in Italia da Piero Gobetti. Lo fece con una analisi della libertà in Italia parlando della crisi del nostro paese, lo fa con una penetrante analisi storica, giuridica, sociologica, politica partendo dai problemi del dopoguerra: la pace e la ricostruzione economica con un intruso: la vita interna degli Stati per una maggiore sviluppo di democrazia, di autonomia e di libertà. Il fascismo italiano per Sturzo è figlio della guerra e vedeva le sue propaggini europee.
Nel 1919-1920 v’erano contrasti acuti tra Popolari e socialisti. Mussolini era favorevole alla occupazione delle fabbriche con una demagogia “nazionale” rispetto a quella di tipo socialista “internazionale”.
Si allargava il fenomeno della occupazione delle fabbriche con gravi tensioni sociali per la diminuzione della manodopera occupazione delle terre per i combattenti (i Popolari promuoveranno le leggi sul latifondo e per la formazione della piccola proprietà contadina che erano avversate dai latifondisti). Poi quelle riforme saranno centrali nelle politiche di De Gasperi nel secondo dopoguerra.
È quello il momento della formazione delle squadre armate con reduci, disoccupati, giovani ex soldati.
Lotte agrarie, assalti alle leghe, incendi alle cooperative fanno parte di quelle lotte di classe in cui i fascisti stanno dalla parte dei padroni e dei grandi fittavoli.
“Più sono incerti e scissi i socialisti, più incalzano i fascisti. Piu il governo è debole tra legge e arbitrio più involve la democrazia parlamentare. Quello che è in gioco – scrive Sturzo – con lucidità è la posta della compressione delle correnti di masse popolari e democratiche e il gioco si sviluppa attorno all’istituto parlamentare, per la presa di possesso e la trasformazione del potere esecutivo.”
Nel triennio 1919-1922 la classe dirigente tutta tollerava quel che di illegale e di violento avveniva sia in nome del nazionalismo sia del socialismo sia del fascismo. Con la guerra la crisi della classe dirigente si fa manifesta.
La legge elettorale metteva nella mani del capo del potere esecutivo una Camera, da lui creata e a cui rispondeva rendendo impossibile il gioco dei partiti, togliendo alla rappresentanza popolare la sua autonomia e al Re il mezzo legittimo di esercitare le sue funzioni sovrane nel dissenso tra Governo e Parlamento.
Poi con il consolidamento del potere fascista verranno altri interventi sui poteri delle Camere. Il Governo avrà il dominio dell’odg della Camera dei deputati. Poteva stabilire per legge che un argomento non poteva essere sottoposto all’esame della Assemblea senza il preventivo assenso del Capo del Governo, come scriverà Ciaurro. Poi l’uso ed abuso dei decreti per evitare il fastidio di discussioni tecniche davanti alla Camera.
Ma Sturzo si pone un interrogativo.
“È ammissibile che uno sforzo politico caratterizzato da una preconcetta violazione delle libertà civili e politiche che tende a sottoporre al potere esecutivo sia quello legislativo sia quello giudiziario, mentre una deformazione etico- psicologica ammette come legittima la violenza privata e giustifica i delitti di parte per fini nazionali?
È ammissibile un partito che mantiene autorità e predominio con una milizia armata, insomma un misto di fazione e di autocrazia, di oligarchia e di dittatura sbocchi da sé come processo logico e storico per sua intima forza in un sistema di legalità di moralità e di libertà?
Dove è avvenuto questo nella storia dei popoli?
Le camere rappresentative quanto più diminuiscono o annullano i rapporti con i propri corpi elettorali, tanto più sono sottratte e assorbiti dalle funzioni di governo.
La libertà è come la verità: si conquista, e per conservarla si riconquista.
Non possiamo sottacere le diversità di fondo con il movimento socialista che maturò nella frattura politica di Livorno tra riformisti e massimalisti. Del resto, il vuoto dogmatico dell’intransigenza massimalista nella illusione che la rivoluzione sarebbe stato il risultato di una maturazione sicura delle contraddizioni del capitalismo porterà Claudio Treves ad affermare che quella “fu la trappola più grossa in cui si inceppò il proletariato”.
L’equilibrio dello Stato moderno non può che avvenire che in un progressivo sviluppo di tutte le libertà verso lo spirito di libertà, Equilibrio di tutte le forze sociali. Come può una forza dominar da sola? il dominio del Lavoro porta al sovietismo russo. Questa era la grande preoccupazione di Sturzo.
La storia dei popoli non si scrive in un momento ma è fatta di grandi sacrifici, grandi attese, grandi lotte.
Ecco la grande lezione di Sturzo.
Per tornare alle vicende di un secolo fa, non si tratta neppure lontanamente di paragonare la situazione di allora con quella di oggi.
Per fortuna non c’è la crisi economica e sociale del post prima guerra mondiale e non c’è la fase della occupazione delle fabbriche. C’è un pericoloso attacco invece all’istituto parlamentare con uno spostamento dei poteri verso l’Esecutivo.
Sono queste le analogie che riteniamo pericolose oltre l’attacco alla unità del Paese perseguito attraverso la strada degli egoismi piuttosto che della solidarietà. La finanza anarchica delle Regioni secondo una illuminante definizione di Sturzo prevarrà sul ordine equilibrato e solidale del Paese.
Resta sullo sfondo una legge elettorale che allontana i cittadini dalla partecipazione se non si restituisce loro il potere di scegliere i propri rappresentanti nelle Camere elettive.
È la combinazione delle riforme costituzionale del premierato e dell’autonomia differenziata unitamente ad una legge elettorale inadeguata che preoccupa soprattutto chi ha a cuore il Parlamento.
Il rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio non portano democrazia ma riducono gli spazi democratici con una pericolosa involuzione nella vita interna dei Partiti.
Mettere mano alla legge elettorale è la priorità delle priorità per non correre i rischi di uno stravolgimento degli assetti costituzionali.
Maurizio Eufemi – Già senatore nella XIV e nella XV legislatura