Facciamo un breve riepilogo.
Il 14 settembre 2024 il presidente Mattarella ha presieduto una cerimonia ad Ampezzo in ricordo della Repubblica della Carnia, una zona liberata dai nazifascisti creata dalle forze partigiane nell’estate del 1944.
Nel suo discorso il presidente ha criticato in più occasioni l’attendismo presente in alcuni strati della società italiana nel periodo della Resistenza e contrapponendolo alla scelta di chi da subito ha contribuito alla causa della libertà animando l’esperienza delle “zone libere” e delle “Repubbliche partigiane”, salutando la Medaglia d’oro Paola Del Din, “Renata”, 101 anni, presente in prima fila.
Mattarella ha ricordato che il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia – il CLNAI – il 2 giugno 1944 si era posto il problema della transizione dei poteri nelle terre occupate, definendo l’obiettivo dell’azione dei Patrioti in una circolare diretta ai CLN regionali e provinciali: “L’insurrezione nazionale, insieme alle operazioni condotte dall’esercito regolare, deve fornire la prova storica dell’opposizione del popolo italiano al nazifascismo e costituire la sua riabilitazione di fronte al mondo intero”. Era un’ambizione necessaria, per ridare all’Italia il suo posto tra le nazioni civili.
Un laboratorio di democrazia
Fu una sfida dura e i caduti di questa terra, onorata dalla Repubblica con la Medaglia d’argento al Valor Militare, ne sono il prezzo. “La gente carnica – recita la motivazione – osò lanciare una intrepida sfida all’invasore nazista e al suo alleato fascista, realizzando la Zona libera della Carnia, lembo indipendente d’Italia retto dal governo democratico del CLN, formato da civili”. “Con una continua, eroica, tenace lotta, le divisioni partigiane Garibaldi e Osoppo, con l’appoggio delle popolazioni locali, uomini e donne….liberarono una estensione di 2500 chilometri quadrati, comprendente ben 42 Comuni”. “La difesa della Zona Libera e della sua capitale, Ampezzo, costrinse l’occupante a distogliere numerosi reparti dai fronti operativi per impiegarli nella repressione che costò ben 3.500 caduti partigiani e civili, migliaia di deportati e internati, efferati eccidi, saccheggi, disumane rappresaglie nei Comuni di Enemonzo, Forni Avoltri, Forni di Sopra, Forni di Sotto, Ovaro, Paluzza, Paularo, Prato Carnico, Sutrio e Villa Santina”. La Carnia sarà l’ultimo lembo d’Italia a essere liberato e dovrà soffrire l’oltraggio di due ultime stragi, il 2 maggio 1945, a Ovaro-Comeglians e a Avasinis-Trasaghis. (…) Oggi la Repubblica, qui, in Friuli, riconosce in queste popolazioni, in Carnia, radici della nostra Costituzione, che alimentano la nostra vita democratica.
Viva la Repubblica della Carnia e dell’Alto Friuli! Viva l’Italia!’’.
Il convegno del Fogolar e la proiezione del film Carnia 1944
Il discorso del Presidente ha dato alla Repubblica della Carnia il meritato riconoscimento istituzionale inquadrandola nel lungo e sanguinoso processo di riconquista delle libertà conculcate dalla dittatura. Proprio in quest’ottica il Fogolar di Roma, l’ associazione dei friulani residenti nella capitale, ha organizzato un convegno aperto a tutti con la proiezione del film Carnia 1944. Un’ estate di libertà, finanziato dalla Regione FVG e dall’ Università di Udine.
Il presidente del Fogolar, Enzo Annichiarico, ha rivolto un saluto ai presenti rivolgendo un pensiero al padre, sottufficiale dell’ Aeronautica che subito dopo l’ 8 settembre si unì ai partigiani osovani rimanendo due anni in montagna e sfidando gravi pericoli. A seguire è stato trasmesso un video in cui la presidente dell’ Anpi di Udine Antonella Lestani ha ripercorso i momenti salienti di questa esperienza storica elencando le riforme più importanti introdotte nel corso della breve vita della Repubblica carnica, quali il voto alle donne capofamiglia e la riforma della scuola.
Subito dopo l’avvocato Gianluca Ruotolo, responsabile della cultura del sodalizio e organizzatore dell’ iniziativa, ha dato lettura di un contributo in cui Roberto Volpetti, presidente dell’Apo (Associazione Partigiani Osoppo, la componente cattolica della Resistenza friulana), ringrazia Mattarella per il lavoro di ricucitura dell’ identità nazionale rimembrando il sacrificio dell’eroe Renato del Din oltre al contributo dato da Romano Marchetti e don Aldo Moretti, i componenti osovani della giunta di governo della Repubblica.
Nel suo discorso introduttivo Gianluca Ruotolo ha illustrato ai presenti la complessa e delicata situazione geopolitica in cui la Repubblica della Carnia si inseriva, come una spina nel fianco dell’ occupante tedesco. Va tenuto presente che fin dal settembre 1943, dopo l’ armistizio e la dissoluzione del regime fascista, la regione era divenuta parte dell’Operationzone Adriatisches Küstenland (OZAK), la Zona di operazioni del Litorale Adriatico comprendente le province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume, Lubiana e del Quarnaro.
Così era nata la Repubblica il 1º agosto 1944, dopo il processo di consultazione promosso dalle forze partigiane che diede vita ai Comitati di Liberazione Nazionale a livello comunale. Solo pochi giorni dopo, l’11 agosto 1944, i tre comitati di vallata che avevano partecipato alla costituzione della Zona Libera (Alto Tagliamento, Degano e But) fondarono il CLN carnico.
La Repubblica di Carnia
In tutta l’Italia occupata in quel momento storico c’era un forte anelito di libertà e la Repubblica della Carnia precedette solo di qualche settimana la nascita della Repubblica partigiana dell’Ossola; quella della Carnia fu la più ampia zona libera in tutto il Nord Italia, comprendendo 42 comuni con 160 paesi e circa 90.000 abitanti per un’ estensione di quasi 2.600 km². Come capitale fu scelto il paese di Ampezzo, un borgo di montagna che sorge nella Val Tagliamento in cui quasi ogni famiglia aveva un parente nella Divisione Alpina della Julia, che contò molti caduti.
In questa situazione la Repubblica carnica fu un grande esperimento di democrazia. Esisteva una Giunta di Governo formata dai delegati di tutti i partiti politici, che includeva anche i rappresentanti delle donne e di operai, giovani e contadini oltre naturalmente ai referenti delle due formazioni partigiane, la Garibaldi e la Osoppo. La Giunta si mosse su due fronti, dando risposta prima di tutto alle necessità più urgenti della popolazione, a partire dalla sussistenza e dall’ assistenza sanitaria.
Dall’altro lato introdusse una serie di importanti riforme anticipando di fatto alcuni principi fondamentali della futura Costituzione della Repubblica Italiana, quali la separazione del potere civile dal potere militare, la tassazione equa e progressiva, una giustizia uguale e gratuita per tutti, l’abolizione della pena di morte per reati comuni ( già eliminata dal Codice Zanardelli del 1889 e poi reintrodotta nel 1926 dal fascismo) ma anche la libertà di stampa, riunione e associazione e soprattutto le libere elezioni con la concessione del diritto di voto alla donne capofamiglia. La Giunta deliberò anche in tema di difesa del territorio montano e boschivo, e pose mano alla riorganizzazione della scuola sulla base di principi di libertà.
Tra gli esponenti più importanti di quella esperienza dobbiamo citare Mario Lizzero “Andrea”, commissario delle Brigate Garibaldi e futuro parlamentare del PCI, don Aldo Moretti “Lino”, esponente della Osoppo e della Democrazia Cristiana, Gino Beltrame “Emilio”, del PCI, Nino Del Bianco “Celestino”, del Partito d’Azione, Manlio Gardi, del PLI ed esponenti locali, come i socialisti Giovanni Cleva e Dino Candotti, Luigi Nigris della DC, Umberto Passudetti del PLI, Romano Marchetti “Da Monte” dell’Osoppo.
Una lotta spietata
Intanto nella OZAK i nazifascisti avevano iniziato una intensa e spietata lotta impiegando tedeschi e truppe collaborazioniste per l’eliminazione delle zone libere costituite nell’estate del 1944, controllando il territorio per impedire la riorganizzazione del movimento partigiano. Ai cosacchi ed ai caucasici alleati di Hitler, che tra militari e loro famiglie contavano circa 35.000 persone con al seguito circa 4-6000 cavalli, fu concesso un territorio in Carnia denominato Kosakenland in Nord Italien, (Territorio cosacco in Nord Italia) dove queste popolazioni si stanziarono con armi e bagagli fondando una nuova entità amministrativa. In tale contesto fin dal loro arrivo in Italia i reparti cosacco-caucasici furono riorganizzati per poi essere impiegati, sotto il diretto controllo delle SS, nell’operazione Klagenfurt contro i partigiani del Friuli orientale (settembre 1944).
Poche settimane dopo, l’8 ottobre, la Repubblica fu travolta dall’ operazione Waldlaufer, sempre promossa dai tedeschi con l’ausilio di truppe fasciste della Milizia di Difesa Territoriale nonché da cosacchi e caucasici, presenti in regione dal settembre 1943. I rastrellamenti si svolsero in un clima di terrore con incendi di interi paesi e violenze contro la popolazione, causando in pochi giorni circa 500 vittime, in grande maggioranza civili, oltre alle deportazioni in Germania (per molti senza ritorno) e crimini di ogni genere. Furono commessi almeno 250 stupri oltre ad un numero incalcolabile di furti, incendi e saccheggi di interi paesi con danni ingentissimi.
La popolazione locale subì una violenta e inattesa depredazione che ricordava le invasioni barbariche o le incursioni turche dell’età moderna, tanto che l’arcivescovo di Udine le definì un «flagello di Dio» e don Graziano Boria, pievano di Verzegnis, nell’ottobre 1944 ne lasciò una vivida descrizione nel Libro Storico della sua pieve. Michele Gortani, uno scienziato che fu parlamentare sia prima del fascismo che nel dopoguerra nonché membro dell’ Assemblea Costituente ( fu anche padre dell’articolo 44 c omma secondo della Costituzione, che inserì la montagna tra i beni che la Repubblica doveva tutelare) descrisse i cosacchi come «Una massa di uomini semiselvaggi, per natura spietati, cui era premio usuale il saccheggio, norma consueta il proprio capriccio, unica disciplina il combattimento» (M. Gortani, Il martirio della Carnia dal 14 marzo 1944 al 6 maggio 1945).
È quindi intervenuto Marco Rossitti, docente di Cinema, fotografia, radiotelevisione e media digitali presso l’ Università di Udine, ma soprattutto regista del film Carnia 1944. Un’estate di libertà, che ha introdotto e commentato con puntuali riferimenti ai fatti storici ed ai protagonisti di quella stagione. Il professor Rossitti ha citato alcuni passi dall’ incipit del film:
Mi ricordo tutto benissimo, come se fosse ieri. Era il 26 maggio 1944. Sono arrivati alle sei del pomeriggio. Saran stati cinquecento, più di trenta camion, autoblindo, c’era persino un carro armato. Un camion si è fermato davanti alla fontana, un ufficiale è sceso, uno giovanissimo, e ha detto: “Siamo qui per bruciare il paese avete dieci minuti per lasciare le case…”. Ma vi rendete conto? Bruciare il paese, dieci minuti di tempo. […] Mentre veniva notte vedevamo le fiamme alzarsi da tutte le case, un fuoco incredibile copriva tutto il paese. E si sentivano urli di animali rimasti chiusi nelle stalle, vetri che scoppiavano e travi che cadevano. Ecco, questo era in quel momento… in quella notte, l’incendio del mio paese….
Una breve finestra di libertà
Comincia così, con la rievocazione dell’incendio di Forni di Sotto da parte del personaggio di Attilio (interpretato dal poeta carnico Leonardo Zanier, intellettuale friulano emigrato in Svizzera) il film che nel 2011 ho voluto dedicare all’importante quanto misconosciuta vicenda della Repubblica Libera della Carnia e dell’Alto Friuli: Carnia 1944. Un’estate di libertà. Per poche settimane, durante quell’estate, nella montagna friulana si aprì uno straordinario spazio di libertà: 45 comuni si liberarono dall’occupazione tedesca (la Carnia era a tutti gli effetti Terzo Reich, e Tolmezzo un’importante sede di comando delle forze di invasione) e si organizzarono democraticamente nella Repubblica Libera, il cui territorio comprendeva tutta la Carnia, un lembo di Cadore e la montagna sopra Pordenone: una zona di quasi 2600 kmq, 160 paesi e quasi 90.000 abitanti
Purtroppo questa finestra di libertà restò aperta da luglio ai primi di ottobre 1944, quando i tedeschi concentrarono in Carnia più di quarantamila uomini ben armati che piombarono nelle vallate e nei paesi, stanarono i partigiani con l’offensiva di ottanta giorni denominata Waldläufer (“corriere del boschi”), uccidendone molti a moltissimi civili. Alla fine si contarono quasi cinquecento morti tra partigiani e civili ( questi ultimi in maggioranza, e ciò fa capite molte cose) senza considerare quelli che finirono i loro giorni nei lager perché oppostisi a vario titolo alla violenza nazifascista.
Ed era questa la “Storia” (con la S maiuscola) che intendevo raccontare. Quella di una «Repubblica resistenziale ma civile, formata da civili», come la definisce nel film il partigiano Romano Marchetti (“Cino da Monte”) e ad altri tre testimoni “viventi” (nel 2010, oggi purtroppo non più) – Fidalma Garosi Lizzero (“Gianna”), Elio Martinis (“Furore”), Giovanni Zatti (“Vanni”), a cui ho chiesto di sedersi davanti alla cinepresa e tornare con la memoria a settant’anni prima. Davanti a questi “ribelli per la libertà” mi sono sentito come uno sprovvisto nipote, a beneficio del quale questi “grandi vecchi”, scossi dalle emozioni e con gli occhi non di rado bagnati di lacrime, si impegnavano a raccontare. Se ad essi andava tutta la mia ammirazione e riconoscenza, proprio qui ho cominciato a realizzare che i personaggi del film non sarebbero stati loro, quanto dei ragazzi di oggi.
Spronato dall’entusiasmo giovanile Giovanni Spangaro “Terribile”, staffetta partigiana all’età di 15/16 anni ( classe 1930, quasi ottantenne ai tempi delle riprese) ho deciso infatti di “ri-vedere” la Storia attraverso lo sguardo di quindici ragazzi delle scuole superiori carniche e friulane, che guidati da un loro professore compiono una gita scolastica sui luoghi dove successero alcuni episodi della Resistenza. Essi hanno rappresentato il mio destinatario ideale, per cercare di riflettere su cosa significa oggi la Resistenza, una guerra, e il combattere (sacrificando la propria serenità e giovinezza) per un mondo più giusto e più libero e ai quali consegnare idealmente il messaggio del film che può essere sintetizzato in una frase pronunciata da un personaggio che si chiama, non a caso, Libero: «La libertà e la dignità umana che i partigiani hanno conquistato per noi, non ci è stata data una volta per sempre. Perché la dignità di oggi non è la stessa del passato. Ogni generazione deve impegnarsi e lottare ogni giorno per difendere la propria dignità e la propria libertà».
Nuovi costruttori di libertà e democrazia
Tutti noi dobbiamo impegnarci quotidianamente a difendere quello che ci hanno lasciato questi “nuovi costruttori di libertà e democrazia” (come li ha definiti il presidente Giorgio Napolitano), ma non basta difendere: dobbiamo anche resistere a tutti gli impulsi regressivi, che sono sempre dietro l’angolo. Senza lo studio e la comprensione del passato i valori che ci sono stati lasciati non hanno fondamenta. Sono fermamente convinto dell’importanza, in tempi bui come questi, di rimettere al centro del discorso didattico la lezione della Resistenza, il suo messaggio, il suo idealismo, i suoi valori. Ma i miei colleghi insegnanti lo sanno bene: raccontare ai giovani la Seconda guerra mondiale, con tutte le sue sfaccettature e contraddizioni non è facile.
E parlare della Resistenza ai giovani non è cosa facile. La soluzione per me, per il mio film, il modo per uscire da questo empasse, è stata quella di proporre la Resistenza, la vicenda partigiana in un contesto positivo, più ampio, lontano dalle interpretazioni interessate dei fatti, ma anche dalla retorica e dalla nostalgia.
Carnia 1944 è anche un appassionato omaggio alla terra di Carnia, ai suoi colori, al verde degli alberi e dei prati, alle lame grigio-azzurre dei torrenti, agli argentei specchi calcarei del monte Coglians e delle altre sue montagne, ai suoi paesi, persino ai suoi alberi di mele (un ragazzo che in una scena del film vi si arrampica con sorprendente agilità è per me un’eloquente metafora di che cosa sia la libertà). Pur raccontando fatti orribili e tremendi successi nelle nostre terre, Carnia 1944 presenta un Friuli solare, colorato, come raramente l’avete visto al cinema.
L’unico colore che manca nella mia tavolozza è il rosso sangue, che ho lasciato deliberatamente fuori dall’inquadratura, assieme alle morti e alla violenza (facendo mia la lezione dei tragici greci).
Il nostro pensiero vada dunque oggi agli artefici di questa lezione, a quegli uomini e quelle donne riuniti sulla piazza e nel palazzo di Ampezzo, circondati dall’orrore, dalla brutalità e consapevoli che sarebbero stati spazzati via da un momento all’altro, e che nonostante tutto stavano là, cercando di progettare un mondo migliore e democratico con leggi che tutelavano la pace, la libertà di tutti, la giustizia, il bene comune. Sono stati (sono) i protagonisti di una delle più belle pagine che la Resistenza abbia scritto a livello nazionale, un esercizio della democrazia e della vita libera associata che ha ricordato al Presidente Napolitano – giunto appositamente a Udine a fine maggio 2012 per assistere alla proiezione del film, consigliatogli dal presidente nazionale ANPI Smuraglia – il modello della polis greca, con i suoi molti elementi di democrazia diretta e la grande intensa partecipazione popolare.
Vorrei chiudere con le parole di monsignor Aldo Moretti, “Lino”, uno dei fondatori della Divisione Osoppo, medaglia d’oro al valor militare, parole nelle quali c’è anche la risposta al perché, oggi, sentiamo il bisogno di riandare a quei fatti storici avvenuti 72 anni fa, al fine di coglierne l’alto valore ideale e morale e cercare di farne tesoro: “Noi abbiamo imparato in quell’occasione che cosa è la democrazia vissuta, e cioè abbiamo appreso come ci si deve rispettare gli uni e gli altri. E gli uomini di un partito non solo accettarono, ma vollero che ci fosse spazio per gli uomini degli altri partiti. E gli uomini armati vollero che fossero i civili ad amministrare, a governare. Quello fu un tempo in cui noi, pur essendo armati, avemmo fiducia anche in un’altra arma, che è l’arma della democrazia”.
Gianluca Ruotolo – avvocato