In un passo della Bibbia, il vecchio Isacco offre ad Abramo, come refrigerio contro l’arsura, latte di capra mista a neve. Pare che gli antenati dei gelati, miscele di ghiaccio e frutta, risalgano al VII secolo a.C. e rinviino all’estremo Oriente; da lì poi si sarebbero diffusi in Grecia, in Turchia e nei paesi del Mediterraneo. Scavi archeologici nell’antica Troia hanno permesso di scoprire fosse destinate a conservare il ghiaccio e la neve per i gelati dell’antichità. Secondo varie fonti, nei banchetti degli egizi e dei romani non mancavano le primitive granite. Agli arabi, poi, si riconducono i sorbetti, come da richiamo etimologico: da scherbet, cioè dolce neve, o da scharber, vale a dire sorbire.
Ma, andando assai più avanti nel tempo, quando e dove può dirsi essere nato il gelato vero e proprio? Una cosa pare certa: la patria del gelato è l’Italia. Per il resto, gli storici del gelato non sono concordi.
Secondo alcuni, i primi gelati risalgono al XVI secolo e alla corte di Caterina de’ Medici, che si dice ne sarebbe stata golosissima; secondo altri, si sarebbe dovuto attendere la fine del XVII secolo per gustare un gelato come Dio comanda e la sua origine sarebbe siciliana. Siamo dinanzi, insomma, a una disputa tra toscani e siciliani, gente orgogliosa e tosta in entrambi i casi, tra i quali non è mai corso buon sangue, abituati a rivendicare primati e a disconoscere quelli altrui.
Stando alla versione cara ai toscani, quando Caterina a soli quattordici anni convolò a nozze col futuro re di Francia Enrico II, portò in dote al marito anche il proprio cuoco, Bernardino Buontalenti, un geniaccio tipico del Rinascimento: poeta, pittore, scultore, chimico e anche esperto di gastronomia. Il Buontalenti, nel 1533, avrebbe dato vita – grazie a una speciale macchina di sua invenzione – a una mistura di creme, dolci e ghiaccio da fare leccare i baffi. Non contenta, l’insaziabile Caterina qualche anno dopo avrebbe bandito nella corte medicea un’insolita gara culinaria che aveva come tema “il piatto più singolare che si sia mai visto”; a vincerla sarebbe stato il pollivendolo Ruggeri con una ricetta prelibatissima a base di panna, frutta e zabaione. Si racconta che tale Ruggeri riuscì a conquistare la gola dell’esigente Caterina e ad assurgere a cuoco di corte, scalzando il Buontalenti. A quel punto però si scatenarono le invidie e le gelosie dei colleghi della corte dei Medici, tanto che Ruggeri, minacciato e aggredito dai rivali, fu costretto alla fuga salvifica e tornò a fare il pollivendolo.
I siciliani però obiettano che si può parlare di gelato doc solo dopo Francesco Procopio dei Coltelli, l’uomo che lo inventò sulla scorta dell’antica tradizione sicula delle neviere e dei nevaroli, e che l’esportò a Parigi. Quanto alle varie leccornie ghiacciate della corte medicea, vero è che Caterina eccelleva in ghiottoneria, ma proprio per questo era circondata da dolcieri siciliani, altro che Buontalenti e Ruggeri, figure di assoluto secondo piano.
Al di là di ogni campanilismo, del legame del gelato con la Sicilia e della conservazione delle nevi sull’Etna, sui monti Iblei e sulle Madonie in apposite fosse, si hanno diverse testimonianze. Lo scozzese Patrick Bridone, ad esempio, uno dei tanti viaggiatori in Sicilia, nel 1750 annota nel suo diario: “In queste contrade arse dal sole, persino i contadini si godono dei bei gelati durante i calori estivi, e non vi è ricevimento dato dalla nobiltà in cui i gelati non abbiano una parte di primo piano. I siciliani dicono che una carestia di neve sarebbe più penosa che una di grano o di vino”.
Ma occupiamoci di Francesco Procopio dei Coltelli. Davvero fu l’inventore del gelato? Era siciliano sì, ma di dove?
Alla prima domanda, gli storici e i cultori del gelato siciliani rispondono senza esitazioni e in modo affermativo. La seconda è una domanda da cento punti. Già, perché apre una contesa assai più accesa di quella tra siciliani e toscani: una contesa tra siciliani. Tra palermitani e catanesi, tra chi vive nella Sicilia occidentale e chi in quella orientale. Le dispute tra le contrapposte parti sono tante: fa più miracoli santa Rosalia o sant’Agata? Meglio l’aquila o l’elefante? È più gustosa la pasta con le sarde o la Norma? Si dice arancina o arancino? E via litigando… sino ad arrivare alla paternità di chi ha inventato il gelato: Palermo o Aci Trezza, il borgo marinaro dei Malavoglia?
Nell’agosto del 2018 a Palermo fervevano i preparativi per il festival del gelato che si sarebbe tenuto a fine settembre e concluso con l’assegnazione di una targa intitolata a Francesco Procopio dei Coltelli. Avutone conoscenza, Filippo Drago, sindaco di Aci Castello, il comune in cui insiste la frazione di Aci Trezza, irruppe nel capoluogo e tentò con ogni mezzo di impedire che la manifestazione si svolgesse e, in subordine, d’intitolare il premio a Francesco Procopio di Trezza. Non vi riuscì, ma qualche mese prima la sua giunta aveva intitolato al presunto concittadino la bellissima piazza del borgo con vista sui faraglioni dei Ciclopi. In risposta a Palermo, che a Procopio dei Coltelli l’anno prima aveva dedicato una piazza nel quartiere Capo.
Non saremo noi a dirimere la questione fonte di insanabili polemiche e anzi cercheremo di essere quanto più equidistanti e diplomatici.
Secondo gli atti rinvenuti grazie alle ricerca dello studioso palermitano Marcello Messina, il maestro del sorbetto sarebbe stato battezzato a Palermo il 10 febbraio del 1651, un giorno dopo la nascita, nella chiesa di Sant’Ippolito al Capo. Dal certificato di battesimo risulta il cognome Cutò e non Coltelli. Ma i conti tornerebbero lo stesso, stando a quanto affermato da diversi suoi biografi. Il Cutò, quando appena ventenne tenta fortuna in Francia, si accorge che la pronuncia del suo cognome corrisponde al francese couteaux, coltello. Come per ogni emigrante, anche per lui all’inizio la vita è difficile: è uno dei tanti petit garçon nei locali ricreativi. Poi, anche con l’aiuto di un suo amico armeno, Paxal, Cutò comincia a farsi strada preparando i primi caffè, il liquore arabo, in quella che si affermerà come la più antica caffetteria del mondo in rue des Fossés Saint-Germain, presso la riva della Senna. E soprattutto, oltre al liquore arabo, Cutò fa conoscere ai francesi la granita e i sorbetti siciliani dai gusti più vari: al limone, all’arancio, con i gelsomini, con i petali di rosa, coi gelsi alsaziani.
Così il “mago dei gelati” conquista il palato dei francesi facendo tanta di quella strada da diventare il titolare di quella caffetteria trasformatasi soprattutto in gelateria. Uno dei suoi segreti, forse tramandato dalla tradizione araba, è di usare, nel fare i gelati, il miele invece dello zucchero, e d’impastare la neve col sale marino per farla durare più a lungo; inoltre, utilizza un particolare macchinario che si vocifera abbia ereditato, sicuramente ammodernandolo, dal nonno, anche lui appassionato di sorbetti. A quel punto, da esperto ante litteram di marketing, Cutò francesizza il suo cognome in “des Couteaux” e battezza la caffetteria, divenuta sempre più elegante e di classe, Le Procope.
Quando Francesco Procopio dei Coltelli fonda il caffè Le Procope corre l’anno 1686 (l’anno precedente aveva ottenuto la nazionalità francese). Circa un decennio prima, nel 1675, si era sposato nella chiesa di Saint-Sulpice con Marguerite Crouin, dalla quale ebbe otto figli.
Nell’atto di matrimonio sono riportati i nomi dei suoi genitori: Onofrio e Domenica Semarqua. Secondo varie fonti, in esso non vi sarebbe però traccia del cognome del padre. Da qui il dubbio: il certificato di battesimo di cui si è parlato e quello di matrimonio riguardano la stessa persona? Francesco Procopio dei Coltelli si chiamava Cutò ed era nato a Palermo al rione del Capo?
Naturalmente, per i catanesi, Francesco Procopio dei Coltelli non è il Cutò dell’atto battesimale e non è nato a Palermo, ma ad Aci Trezza. Tra l’altro più voci concordano sul fatto che provenisse da una famiglia di pescatori e che tra i vari mestieri in cui si esercitò vi fosse anche quello; ciò accrescerebbe la credibilità della tesi che lo fa nascere in un borgo marinaro come Aci Trezza. Inoltre, sottolineano i catanesi per rivendicarne la paternità: ben altra cosa sono la neve e le neviere dell’Etna rispetto a quelle delle Madonie, e senza abbondanza di neve e di neviere i gelati a quei tempi se li sarebbero sognati.
Ma tra le due opposte ricostruzioni, ce n’è una mediana che salva capre e cavoli. L’inventore dei gelati sarebbe nato a Palermo e si sarebbe chiamato Cutò e però giovanissimo si sarebbe trasferito ad Aci Trezza: lì avrebbe imparato l’arte di fare gelati. Questa è peraltro la versione più accreditata.
Torniamo a seguire il soggiorno parigino di Francesco Procopio dei Coltelli.
La fortuna aiuta gli audaci, si è soliti dire, e Francesco Procopio dei Coltelli fu certamente molto audace. Lo fu nell’offrire agli avventori della caffetteria liquori e caffè gustosissimi, che serviva in boccali di birra da tre quarti di litro, e granite e sorbetti contenuti dentro coppe a forma di porta uova, tanto buoni da ottenere dal Re Sole, Luigi XIV (così almeno si racconta), la licenza reale che gli garantiva alcuni privilegi di esclusività; ma lo fu anche nell’eleggere il cafè Le Procope a salotto esclusivo, lussuoso nelle sale abbellite da lampadari in cristallo, specchi, pareti decorate, e animato dagli incontri e dal gusto della conversazione (gossip compreso) che egli stesso promosse, persino fondando un giornale su cui scrivevano i frequentatori del locale.
La sua audacia gli attirò la fortuna, che gli venne incontro quando nel 1689 proprio dinanzi a Le Procope viene trasferita la sede della celebre Comédie Française. Da allora la rue des Fossés Saint-Germain è chiamata rue de Comédie (dopo, e ancor oggi, sarà la rue de l’Ancienne-Comédie). Ciò contribuisce non poco a vivacizzare lo spirito salottiero del cafè: Le Procope diventa punto obbligato di ritrovo di artisti, non solo teatrali, di intellettuali, di politici.
Francesco Procopio dei Coltelli muore nella sua Parigi nel 1727, a settantasei anni. Vita lunga, ricca di successi, sentimentalmente intensa e prolifica, la sua. Si sposa infatti tre volte e in totale ha tredici figli: otto, come detto, dal primo matrimonio, cinque dal secondo con Anne Françoise Garnier, sposata nel 1696, uno dal terzo nel 1717 a ben sessantasei anni, frutto delle nozze con la giovane Julie Parmentier, celebrate un anno prima.
Ma dopo la sua morte, non cessa affatto l’attività de Le Procope: anzi, sotto la guida degli eredi (primo tra tutti il figlio Alexandre), diventa ancora più intensa. Quel salotto culturale creato con intuito manageriale da Francesco Procopio dei Coltelli è frequentato dagli illuministi e dai protagonisti della Rivoluzione: Diderot, D’Alembert, Voltaire, Rousseau, Danton, Marat, Robespierre. Persino un giovane Napoleone Bonaparte, si racconta, si ferma a Le Procope quando, giovane ufficiale di artiglieria, vi lascia in pegno il suo cappello militare dopo avere bevuto troppo per quel che gli consentivano le sue tasche. In quel cafè passa la Storia con la s maiuscola. Diderot vi compone alcune pagine dell’Encyclopédie, Benjamin Franklin vi scrive passi della Costituzione americana.
Oggi il Cafè Le Procope è un ristorante di lusso, e anche monumento nazionale. Le sale sono dedicate agli illustri avventori del tempo e sulle pareti decorate da stoffe preziose campeggiano i loro ritratti. Chi vuole consumarvi un pranzo o una cena in tavolini segnati dalla Storia dovrà prenotare nell’apposito sito web, www.procope.com (come cambiano i tempi…). La consumazione dà diritto a una cartolina celebrativa della fondazione del cafè.
Nei tour per Parigi una visita presso “le plus antique café du monde” al civico 13 della rue de l’Ancienne-Comédie è una tappa obbligata, costi quel che costi. Per i siciliani, soprattutto. Siano essi palermitani o catanesi.
Antonino Cangemi – Scrittore