Basta un battito di ali di erede della famiglia Berlusconi per animare il confronto politico italiano ed accendere i riflettori su vizi, virtù e prospettive di Forza Italia. D’altronde, questo è naturale. La Forza Italia che ha ereditato Antonio Tajani è, sostanzialmente, un partito proprietario. In cui, per ragioni patrimoniali e finanziarie la proprietà è della famiglia Berlusconi. Tajani ha intelligentemente puntato a far evolvere questo partito proprietario a partito-organizzazione e partito radicato sul territorio. Ciò che ha permesso di raggiungere, nelle ultime tornate elettorali, quella soglia del 10% e quel superamento della Lega non poco significativi.
La visione degli eredi
Marina Berlusconi, nei giorni scorsi, aveva suonato la sveglia a Forza Italia invitandola a divenire partito dei diritti civili, essendo nata – fra l’altro – come “partito della libertà”. Ora, l’altro erede Pier Silvio Berlusconi dice che occorre passare dalla posizione di partito “di resistenza” a quella di partito “di sfida”, richiamando l’esigenza di una nuova, più giovane e determinata, classe dirigente per il partito. E se, sostanzialmente, quello apportato dagli eredi di Berlusconi fosse un valore aggiunto utile e opportuno per la Forza Italia di Tajani? E se, forse, in tal modo, offrissero sponde importanti?
In Italia, la vera cultura politica, per molti versi, è sfumata e sparita. Magari, qualche “grande vecchio” la conserva nella sua memoria, ed è noto che ad ispirare gli eredi di Berlusconi ci sono figure di “grandi vecchi”. Non solo, anche per ragioni aziendali, Fedele Confalonieri, ma soprattutto Gianni Letta, al quale il senso della vera cultura politica non manca.
Letta ha certamente presente il fatto che alla nascita di Forza Italia Berlusconi si volle circondare di alcuni grandi intellettuali del pensiero liberale. E forse ha presente anche quanto pesi la questione della selezione delle classi dirigenti in questo Paese. Forse è uno dei pochi che ha letto e ricorda bene ancora sia la lezione di un grande liberale conservatore come Gaetano Mosca sulle classi politiche, sia la lezione di Guido Dorso sulla questione delle classi dirigenti del Mezzogiorno.
Il nodo di Forza Italia
Forse è per questo che Pier Silvio Berlusconi e chi lo ispira apre anche la questione dell’attrazione, da parte di Forza Italia, del voto di quei moderati che sono la parte prevalente degli elettori italiani.
C’è un nodo, però che viene insieme prima e dopo tutto questo. Non si vive solo di diritti civili, che pur sono molto importanti per distinguersi da certa destra. Una Forza Italia che voglia davvero attrarre il voto moderato deve anche indicare qual è il vero percorso per il rilancio dell’economia. E qui sale alla mente una delle parole più dimenticate nel confronto politico italiano e più temute sia dalla sinistra che dalla destra: si tratta del concetto di “concorrenza”.
Quella concorrenza su cui è vissuta e cresciuta Mediaset nel confronto con la Rai. Quella stessa concorrenza, però, che è la vera palla al piede dello sviluppo dell’economia italiana. Se sono trent’anni che l’Italia non cresce e i salari sono fermi è soprattutto perché il vero gap tra economia e società italiana e le altri grandi economie e società europee è che in Italia viene praticato al minimo il concetto di concorrenza.
Ebbene, se si vuole una nuova classe dirigente giovane per Forza Italia, nella borsa degli attrezzi di questa classe dirigente non è che ci possano stare solo i pur importanti e necessari diritti civili. Bisogna mettere qualcosa che funga da ossigeno per lo sviluppo economico del Paese. È infatti su idee, contenuti e progetti che chi si rivolge ai moderati con un pensiero innovativo dovrebbe sfidare le altre forza politiche. Meloni ha aperto il fronte del merito, che la sinistra aveva sempre tenuto nascosto o non aveva mai colto.
Ma non può esistere una società basata sul merito se essa non è contemporaneamente basata su una sana concorrenza, e se non si spezzano quelle catene corporative di cui è piena l’economia e la società italiana.
Non ho certo titolo a insistere più di tanto perché non sono né un erede Berlusconi, né sono un iscritto a Forza Italia. Ma, forse, le opzioni di fondo di Tajani e dei fratelli Berlusconi potrebbero essere complementari e formare un cocktail opportuno.
A questo cocktail manca, però, l’angostura di una visione di politica economica e sociale. Quella basata sulla diffusione della concorrenza, sullo spezzare le troppe catene corporative, potrebbe essere quel segnale di cui hanno paura le altre forze politiche che potrebbe caratterizzare una Forza Italia che punti davvero ad attrarre con posizioni innovative il largo bacino del voto moderato.
Luigi Tivelli – Già consigliere parlamentare e capo di Gabinetto, saggista, presidente dell’Academy Spadolini