Ho seguito attentamente il duello, per dire, tra lo sfrontato Trump e il discreto Biden. Non ne ho tratto le conclusioni che universalmente i media hanno voluto apoditticamente decretare al cospetto del mondo intero. Il vecchio Joe non deve affatto ritirarsi dalla corsa per la Casa Bianca. Anzi, deve insistere. E sebbene non possa più sgambettare, non gli nuocerà l’incerta camminata da ottuagenario. La pannocchia dorata che campeggia sulla fronte di Donald, nascondendogliela del tutto, serve a coprire una testa piena di vuoto. La testa di Biden, invece, avrà pure qualche vuoto, che l’età giustifica, non la malattia. Alle domande, Trump non ha mai risposto, ma opposto i farfugliamenti ipotetici di una mente fanatica e faziosa.
Le sue menzogne erano sistematiche, smaccate, incredibili, puerili. Il vecchio Joe ha sbagliato a replicare sciorinando atti e fatti della sua presidenza contro un bugiardo incline a mentire per mancanza di argomenti. Il geniale Stanislaw Lec invitava a “non mentire se la verità rende di più” .Trump, non possedendo una qualche verità da far valere, era costretto a mentire candidamente, mentre Biden poteva esporre le tante verità della sua presidenza, che rendevano molto nella discussione, se le avessero ascoltate con attenzione i detrattori fossilizzati invece sulla postura di Joe, che lo faceva sembrare distratto e, a momenti, assente.
Il curioso di questo duello politico, niente affatto decisivo, non è né la vittoria di Trump, che non c’è, né la sconfitta di Joe, che neppure c’è, ma l’unanimità dei media mondiali come mai su nessun argomento di eguale importanza. Un abbaglio gigantesco del giornalismo mondiale dove anche la crema professionale s’è inspiegabilmente inacidita. Ebbene, sto con la minoranza, davvero infima al momento mentre pur crescono i resipiscenti, tuttavia convinta che Biden, per diversi motivi, prevarrà nel voto per la presidenza degli Stati Uniti.
Il primo motivo è che al vecchio nonno di casa si perdona con affetto qualche scivolata mentale. Far affidamento sulla saggezza ed esperienza dell’età è rassicurante, come sulla prudenza che l’una e l’altra gli fanno adoperare di fronte ai casi complessi e imprevisti. Trump, invece, essendo quasi del pari vecchio, usa l’azzardo come canone politico e perciò rappresenta un pericolo per sé e per gli altri, come dimostrano i suoi coinvolgimenti negli atti sovversivi della democrazia repubblicana, illegali e fomentatori di disordini, fino all’assalto del Congresso, un “para-colpo di Stato” ancora sub iudice, forse.
Il secondo motivo è che, come recita un proverbio partorito dal senno siciliano, “meglio il male provato che il buono da provare”. Trump per gli americani non rappresenta neppure “il buono da provare” perché l’hanno già provato e sperimentato: avventure senza progresso, mentre Biden rappresenta il progresso senza avventure, come la sua presidenza ha dimostrato portando al massimo l’occupazione, riducendo l’inflazione, incrementando il prodotto nazionale, tenendo fede alle alleanze con i fatti. The Donald, un miliardario che millanta di difendere i soldi dei concittadini che sarebbero insidiati dagli alleati anziché dai nemici. Chi può credergli? Nella democrazia statunitense esiste una “intelligenza politica del popolo” che nei momenti cruciali ha schierato gli americani dalla parte giusta della storia. È uno di quei momenti, per loro, per noi europei, per le nazioni libere.