In un parco pubblico a Bruxelles, un signore distinto, ma turbato, fermandomi, mi ha chiesto: Che devo fare per uscire dalla mia miscredenza?
Alcuni anni fa sui muri di case e lungo strade, anche importanti, si incontrava spesso una scritta: Dio c’è. Un’affermazione o una provocazione? In verità per un attimo, leggendola ognuno in qualche modo si interrogava: Chi l’ha scritta? O fastidiosamente: Chi imbratta? Ma anche nell’intimo: Io credo? A qualcuno poteva servire per altro.
In società profondamente organizzate, effettivamente di posti «liberi» non ve ne sono o ne restano pochi. Molti edifici sacri, semplici o artisticamente spettacolari, costruiti da maestranze con capacità perdute, già destinati di per sé a «parlare» di Dio e con Dio, oggi appaiono muti e spesso vuoti; non di rado fungono da piccoli musei per turisti distratti e di passaggio, quando non convertiti ad altro: saloni per conferenze «senza Dio» o per intrattenimento, o buoni anche per abbuffate e dormitori. Alcuni li trovano una zavorra perché appesantiscono i magri bilanci di diocesi o parrocchie. In Italia, fortunatamente, molti di essi rientrano tra le cure degli edifici storici a cui lo Stato dedica una sua attenzione.
Si ha l’impressione (o è la realtà?) che in occidente Dio si sia ritirato non avendo più posto. A volte, per un vero e proprio rifiuto. Se nel contesto teologico si insegnava che il mistero della rivelazione di Dio era come il dischiudersi dei cieli ed il discendere dall’alto, oggi l’indifferenza, forse più che un rifiuto, lascia intendere: di Dio non ne abbiamo necessità; il Cielo può tornare a richiudersi, ed essere per altro!
Però siamo scandalizzati dal male, la cui presenza e forza, diceva Benedetto XVI, nasce dal rifiuto o dal distacco: tra popoli e tribù si preferisce la guerra; tra uomini e donne si scatena la violenza cieca, tra individui e società si coltiva l’odio. E anche tra ideologismi religiosi e politici, le cecità barbariche prendono il sopravvento. “Un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso” (Benedetto XVI).
La questione oggi è che Dio è ridotto ad ipotesi e perciò parlarne per ipotesi intellettualistiche, va anche bene, anzi fa chic. Ma nella sfera pubblica e privata, dove l’affermazione di una libertà assoluta si confonde con l’individualismo puro, Dio è superfluo. L’assenza è emarginazione, oppure si riduce a una questione privata, talvolta troppo irreale, almeno fin quando non si è «toccati» nel profondo dell’essere, dove, non di rado, si capovolgono le cose: Se Dio c’è, non è per colpa sua che il male esiste?
Nella confusione mentale, dove predomina il senso dell’onnipotenza e del «tutto mi è dovuto», manca quello del limite, che implica un po’ di umiltà e di assunzione di responsabilità. Non siamo «Signori» del nostro essere ed esistere, ma «Amministratori».
La questione è che ci facciamo proprio signori della vita e allora la fede, la rivelazione, il conoscere, non trovano posto; la fede non dà più senso all’esistenza, e quando c’è qualcosa, la si declassa a cerimoniale.
Anche la Chiesa ha bisogno di riprendere la sua più profonda e autentica missione. Non c’è bisogno di creare un’altra Chiesa o darsi un’altra missione; i tentativi di farne quasi una moderna ONG sono falliti più volte in passato, ma anche con forme camuffate in tempi attuali. Cambiarne la natura per adeguarla al vento di occasione in società cosiddette liquide indica solo disorientamento grave, perché senza obbedienza a Dio non ci sarà Chiesa.
Intanto: c’è ancora spazio per Dio? Sì! Ma nell’obbedienza e nell’ascolto dovuto a Cristo, sul quale si può convergere o no; ma questo accadde anche a Cristo stesso: In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» (Gv 6, 60). Eppure il dire di Cristo suscitò anche la risposta esistenzialmente più onesta: Da chi andremo tu hai parole di vita eterna! (Gv 6, 68).
Fernando card. Filoni – Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro