Non sono sufficienti le polemiche di maniera sul 25 aprile e il 1 maggio. Non bastano lo scivolone sul Documento di economia e finanza e gli sbarchi di migliaia di migranti ogni giorno. Non sarebbe abbastanza neanche la retromarcia sul Meccanismo europeo di stabilità con tanto di genuflessione a Bruxelles. Il castello del potere meloniano rimane e rimarrà saldo se ciascuna opposizione continuerà l’assedio in solitaria con sortite tragiche e mal concepite.
Pareva ieri l’altro al Congresso della CGIL di marzo che i vari protagonisti – Calenda, Schlein, Conte – giurassero tutti insieme appassionatamente di collaborare, e invece ciascuno da solo e senza particolare passione se ne è tornato a coltivare l’orticello suo privato. Il Terzo Polo, che avrebbe dovuto cannibalizzare Forza Italia, è abortito prima di nascere nella “lite dei narcisi”: Carlo Calenda contro Matteo Renzi in una sfida senza esclusione di colpi.
Come non bastasse la complessità degli ‘ego’ (che in politica contano assai), non è sfuggito agli osservatori la debolezza di un progetto liberale che a Parigi come altrove si scontra con il tramonto di ogni macronismo: i popoli chiedono ormai garanzia e sicurezza piuttosto che opportunità e sogni. Non vanno meglio le cose in casa democratica. La nuova segretaria Elly Schlein, forte di un’incoronazione plebiscitaria, rischia di trovarsi nel cul de sac delle divisioni di partito. Se tiene fede alla linea massimalista, accompagna i cattolici alla porta. Se modera i contenuti, porta nuove leve al mulino di Conte. Se non decide, scontenta tutti.
Ma è forse proprio dai paraggi del Movimento cinque stelle che la dimensione ombelicale della partita politica trova la sua più compiuta definizione. Abbandonati i toni barricaderi di pochi mesi fa – contro la cancellazione del reddito di cittadinanza hanno fatto più opposizione i vescovi! – i pentastellati hanno rinunciato alla piazza per preferire l’intesa con la maggioranza. Negheranno fino alla morte, ma a chi s’intende di politica non possono essere sfuggiti né il tacito patto che ha portato l’elezione dell’ex guardasigilli Alfonso Bonafede al Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria, né l’elogio del “fu avvocato del popolo” alla lettera di Giorgia Meloni sul 25 aprile. L’asse tra Movimento Cinque Stelle e Fratelli d’Italia è poi evidente sulle nomine Rai, dove l’obiettivo condiviso e neanche troppo celato è quello di spurgare la televisione pubblica dall’influenza del PD.
Non è pura retorica – in un Paese con due milioni di persone in povertà assoluta e dove i salari anziché aumentare diminuiscono – giocare la carta dell’opposizione sociale, radicale, di piazza alle scelte dell’esecutivo.
Della foto cartolina di Firenze – Schlein, Conte e Landini – i primi due non paiono tuttavia in grado di prenderne le redini: la prima perché impegnata nella costruzione di un partito radicale di massa che punta ancora assai (troppo) sul tema dei diritti civili, il secondo perché avvinto nella tattica del trasformismo politico. Le parole del senatore pentastellato Roberto Scarpinato sono emblematiche: “Pensavo che il Movimento cinque stelle fosse un partito di sinistra”.
Rimane il segretario del più importante sindacato italiano, Landini, che non ha mollato di mezzo centimetro la lotta sociale e punta a una stagione di manifestazioni e scioperi. Potrebbe essere il preludio alla nascita di un partito del lavoro? È ancora troppo presto per dirlo ma di certo la proposta – a onor del vero proveniente dalle file democratiche – per una rinascita dei circoli operai lascia intravedere una via d’uscita politica in fondo a sinistra.
Andrea Persili – Giornalista