Guerra e violenza, alla ricerca dell’alternativa

Ricordando Aldo Capitini, la studiosa in questa intervista smonta il pregiudizio secondo cui la non violenza sarebbe una scelta debole e un po’ vile; "invece è una scelta attuale, necessaria, politicamente potente". E in un libro spiega perché.

Il termine “guerra” è tornato prepotentemente nelle nostre vite negli ultimi venti giorni. Il conflitto ucraino-russo ha portato all’attenzione di tutti il lato oscuro dell’umanità: tra villaggi distrutti, vittime e violenza. La brutalità della guerra ha connotato la storia delle relazioni umane ed è un male dal quale è necessario liberarsi: ma come? Parliamo con Roberta Covelli, autrice del saggio “Potere Forte”.

Quali sono i fondamenti del movimento non violento?

Quando parliamo di un movimento non violento intendiamo la non violenza che ha una serie di definizioni molto ampie. Pietro Pinna, uno dei primi obiettori di coscienza in Italia, per ragioni ideologiche e non per ragioni confessionali o religiose, sosteneva che la non violenza fosse una filosofia pratica e di vita e anche un metodo. In che cosa consiste questo metodo? Nella valorizzazione del conflitto ossia nella capacità di ascoltare l’altro, di persuadere e nello stesso tempo nell’essere pronti a essere persuasi a propria volta.

E basta questo?

Naturalmente no, non basta. Bisogna essere intransigenti sulle questioni di principio e quindi rifiutare la violenza.  Il rifiuto avviene attraverso due requisiti di base: il primo è la gradualità dei mezzi quindi la capacità di capire la realtà e di adattare i propri mezzi alla realtà e soprattutto nella consapevolezza che i mezzi sono i fini. Questo è un concetto suo complesso che è stato espresso da Gandhi stesso e che ci viene semplice spiegare con un motto: quello della guerra, in latino, che conoscono tutti “se vuoi la pace prepara la guerra”. Il non violento si oppone a questo motto perché è consapevole che non si può portare la pace se non con mezzi di pace e preparandola pazientemente in tempo di pace. 

Ad oggi in effetti sembra essersi riscoperta la parola “disarmo”. Come trattato all’interno delle dottrine non violente.

Con una vastità incredibile di posizioni, la nonviolenza è una metodologia aperta che accoglie tra le sue file chiunque si riconosca in un rifiuto della violenza e che per l’appunto prevede diverse scuole di pensiero. Ci sono dei non violenti pacifisti che riconoscono nell’azione di difesa una qualche dignità e ci sono non violenti di diverso genere che invece sono per un totale bando delle armi. Il problema del disarmo è che richiede un impegno e una fiducia nei confronti dell’altro e per questa ragione per renderlo possibile si cerca di rafforzare le pratiche e politiche internazionali che permettano un’alleanza tra Stati e soprattutto un’alleanza tra popoli che permetta il superamento dei meccanismi militari di risoluzione dei conflitti che sono del tutto contrari alla violenza.

Quanto è avvenuto in Ucraina ha indotto in Italia alcuni enti a valutare la necessità di creare una rete non violenta. Ma esiste questa possibilità di creare una rete non violenta in Italia?

Una rete nonviolenta in Italia già esiste, il problema è che è spesso inascoltata. Qualche anno fa il movimento non violento, inteso proprio come un gruppo politico, aveva presentato insieme ad altri movimenti italiani una proposta che sviluppa le strategie non violente nell’ambito della difesa. La proposta “Un’altra difesa è possibile” era di educare la popolazione alla difesa nonviolenta. Gli esempi storici ci sono, in generale per parlare di nonviolenza è sempre necessario svincolarsi dall’idea di successo immediato, non abbiamo modo di verificare quanto una strategia nonviolenta abbia avuto successo o meno.

Ci sono stati casi di esercizio della non violenza durante la seconda guerra mondiale?

Ci sono stati in Danimarca durante l’invasione nazista, abbiamo visto in Norvegia sempre in quel periodo la resistenza degli insegnanti ma anche sotto il blocco sovietico la resistenza della Primavera di Praga che è terminata con la sconfitta dei non violenti di fatto. Abbiamo visto l’uomo del carro armato in piazza Tienanmen che è stato evidentemente sconfitto perché non sappiamo quale sia il suo nome e forse è stato arrestato o si è dovuto nascondere ma dobbiamo pensare a quanto impatto abbia avuto quell’immagine sulla popolazione.

Rimanendo sulla questione guerra mi viene da chiedere quali sono i casi di resistenza non violenta che è possibile ancora oggi attuare durante un conflitto armato?

Molti esempi si vedono nella fraternizzazione tra la popolazione che subisce l’invasione e quei soldati che sono chiamati a mettere in atto delle belle decisioni governative e si oppongono e comunque riconoscono gli altri. C’è stato qualche giorno fa il video di un soldato russo catturato dalla popolazione ucraina che lo ha accolto e gli ha permesso di chiamare la madre.Tutte queste manovre permettono al soldato di riconoscere non un ordine ma delle vittime dinnanzi a sé e nello stesso tempo la possibilità di comprendersi e di rifiutare gli ordini ingiusti. Queste manovre di fraternizzazione sono necessarie per creare di fatto atti di obiezione di coscienza che altrimenti non ci sarebbero.

Ci sono altri tipi di atti?

Ci sono poi altre manovre che senz’altro sono non violente in periodo di guerra, e sono quelle del sabotaggio: sempre in Ucraina vediamo il furto di carri armati e lo spostamento dei carri armati tramite i trattori. Sono atti totalmente spontanei che spontaneamente le persone mettono in atto pur senza conoscere la non violenza.

Se si dovesse consigliare un autore o un libro per cominciare a comprendere il pensiero nonviolento, da quale si dovrebbe cominciare?

Le scelte sarebbero moltissime. Segnalo senz’altro qualunque libro di Aldo Capitini, il filosofo della nonviolenza in Italia, mancato nel 1968. In particolare c’è un volumetto molto agile “Tecniche della nonviolenza”, che ha una parte teorica e un elenco delle tecniche non violente dalle alle più celebri anche alle più piccole. In ogni caso il consiglio è sempre quello: c’è la consapevolezza che la non violenza è qualcosa di creativo e non innato perché è contraria alla nostra sopravvivenza in alcuni frangenti ma che è estremamente vicina alla nostra natura interiore umana. In questo senso quindi qualunque modo di comportarsi comprenda la valorizzazione e il riconoscimento della dignità altrui e di se stessi e il ripudio della violenza è un’azione nonviolenta.

 

Francesco Fatone – Giornalista

 

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