FI 30 anni dopo. Brevi appunti per una fenomenologia di Berlusconi e del berlusconismo

Italiani divisi tra nostalgia e damnatio memoriae, peraltro secondo un dualismo tipico del plurisecolare costume italico (guelfi e ghibellini, lancia o alfa romeo, vespa o lambretta, Coppi o Bartali e così via dividendosi.

Sono passati 30 anni da quel famoso videomessaggio del miracolo italiano con incipit fulminante («L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore*») scritto dall’”elefantino rosso” Giuliano Ferrara per Silvio Berlusconi.

Il 26 gennaio 1994 tutto sembrava improvvisamente vecchio tra le macerie polverose dei partiti di governo della cosiddetta Prima Repubblica, disintegrati da Mani pulite e dalle bombe stragiste dei mafiosi.

Erano i tempi di “Drive in” e “Colpo grosso”, _ del “Pranzo è servito” e “Ok il prezzo giusto”: trasmissioni “nazional popolari” in onda sulle reti di Fininvest, poi diventata Mediaset. Per cui ad una parte degli italiani, cresciuta fin dagli anni Ottanta con la tv commerciale, con nuovi canoni estetici e la voglia di ammirare cose nuove, non poteva non piacere quel cinquantenne di successo, imprenditore in vari campi (tv, edilizia, calcio), che parlava in maniera non paludata, usava kit e meccanismi comunicativi del marketing aziendale.

Quei nove minuti e rotti di trent’anni fa sembrano durare ancora, nonostante la recente dipartita. Il Cavaliere aveva sdoganato il Movimento sociale italiano di Gianfranco Fini e una comunità politica di destra che solo grazie o a causa di quella scelta ora è tutta al potere con una donna sola al comando.

Oggi, a seconda delle preferenze personali, è il giorno della nostalgia o della damnatio memoriae.

Un Paese che è tornato ad essere diviso in fazioni ideologiche che la Storia oltre a condannare sembrava aver dimenticato si ritrova a salutare romanamente un “presente” incerto, che suscita speranze ma anche perplessità e incertezze sul futuro.

Ecco che tra le esibite coppe stellari del Milan e quelle dei wonderbra_ di “Drive in”_ sarebbe bene – avvertono coloro che hanno duramente osteggiato Berlusconi –  non dimenticare i danni profondi che il “De cuius” di Arcore ha perpetrato al sistema culturale del nostro Paese. Per cui i suoi detrattori maliziosi hanno pensato che più che l’Italia, Berlusconi amava se stesso e le sue aziende.

Ma continuano a pensarlo?

Ci sono anche dei “pentiti” o presunti tali.  Come Dacia Maraini, per esempio. Su internet è circolata per molto tempo una dichiarazione molto critica su Berlusconi ma soprattutto sul berlusconismo al quale la scrittrice rimproverava di aver instillato negli italiani l’idea che tutto si può comprare, e quindi l’idea della mercificazione. Di persone e cose. Un disastro culturale, rincarava la Maraini. Su questa dichiarazione gli antiberlusconiani, da quelli viscerali a quelli meno prevenuti, si sono buttati con impetuosa voracità facendone un trofeo di battaglia contro il berlusconismo.

 

 

 

Ma poi è arrivata la sorpresa: Maraini ha smentito: non ho mai detto quelle parole, quella dichiarazione non l’ho mai pronunciata. Un piccolo “giallo”, mai chiarito

 

Vincenzo Candido RennaAvvocato, esperto di diritto societario e di compliance

 

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