È chiaro che, secondo l’intento di chi ha creato lo sconquasso, un voto sul ciglio dell’estate o giù di lì, è faccenda che può riguardare solo le forze politiche che già ci sono, troncando in radice ogni velleità dei nuovi partiti, dei pezzetti che si vorrebbero mettere insieme ma ancora non hanno capito come, insomma di tutti quelli che avrebbero difficoltà ad intercettare un elettorato distratto e disaffezionato.
Quindi i vecchi brand, spazzando l’eventuale concorrenza sul mercato elettorale, pensano di lucrare così il “di più” che il popolo non gli concederebbe mai se andasse a votare in massa. Perché per imporre un nuovo marchio politico occorre tempo e mezzi immani: persino Berlusconi che aveva tv, giornali, mille penetrazioni aziendali sul territorio, e sicuramente non difettava in danari, ebbe bisogno di qualche mese.
Chi potrebbe oggi pensare di fare un blitz in una campagna elettorale che partirebbe tra una manciata di giorni pensando di portare a casa un risultato? Solo chi avesse già consolidato una reputazione su un segmento importante del popolo, coltivandone quotidianamente un rapporto capace di proporsi come un’alternativa, magari guardando ad un elettorato giovane e giovanissimo, che in genere si tiene lontano dalla politica.
Allora siamo in grado di anticipare una clamorosa discesa in campo: quella di Chiara Ferragni e di Fedez, il marito rapper. 27 milioni di follower sul social di maggiore tendenza, l’aura quasi sacrale di una icona di stile, ma anche di modello di vita familiare preso a riferimento da adolescenti e da ragazzi in età di voto.
La prima influencer italiana ha già esondato in area “istituzionale” chiamata dallo Stato per testimoniare la grande bellezza degli Uffizi e poi ha ricevuto la consacrazione definitiva con l’invito della senatrice Segre, testimone ineccepibile di una dolorosa storia personale che racconta degli effetti devastanti dell’intolleranza e della necessità di avere una piena consapevolezza dei valori democratici.
Insomma: il pedigree alto e istituzionale c’è. La sua attenzione ai diritti dei discriminati e dei più fragili, le sue strizzatine d’occhio al politically correct, la collocherebbero automaticamente nel quadrante dell’area progressista, oggi alquanto in difficoltà.
In fondo, a ben vedere, l’immediatezza di quella che sembra ormai essere una vera e propria “discesa in campo”, giocherebbe sul fattore sorpresa di cui si giovò Berlusconi 28 anni fa, quando nessuno si aspettava che potesse fare politica in prima persona.
Lui utilizzò i media dell’era analogica, in primis la tv, molto più costosi e trasversali. Chiara Ferragni sarebbe la vestale del digitale, a costo infinitesimale, anzi a guadagno, e con una pervasività totale per un target generazionale giovane e giovanissimo. Che non solo non ha nessun interesse per la politica, ma non va neanche a votare se non per seguire la sua influencer.
Mettiamo pure che una metà dei follower dei Ferragnez (Ferragni più Fedez, per quei due o tre che non sanno) siano under 18 oppure abbiano altre preferenze politiche, resterebbero 13,5 milioni di voti puliti puliti. Roba da Democrazia Cristiana dei tempi d’oro. Dalle voci che si raccolgono si stanno vagliando nomi per battezzare il nuovo movimento, lavorando sui concetti di giovani, riforme, solidarietà.
Chissà se Chiara e Fedez potrebbero accettare qualche alleato minore nel loro primo governo di legislatura. Potrebbero degnarsi di “allargare il loro campo”. Chissà..
Pino Pisicchio – Professore ordinario di Diritto pubblico comparato. Già deputato in varie legislature