Eleonora Duse è ancora “The greatest”, come diceva Charlie Chaplin. E il film di Sonia Bergamasco la sa evocare, raccontare. E ce la fa amare. Parte I

Duse è la guida e la magnifica ossessione di Bergamasco, che le ha dedicato ricerche da storica e documentarista confluite in un clamoroso film-documentario

Quando era una studentessa diciottenne, Sonia Bergamasco incontrò per la prima volta Eleonora Duse sulle scale che la portavano ogni mattina alla Scuola del Piccolo Teatro a Milano: Giorgio Strehler aveva voluto una gigantografia del ritratto fumigante scattato a Duse da Edward Steichen nel 1903 e consacrato dalla rivista di Alfred Stieglitz, “Camera Work”.

Allora Sonia Bergamasco somigliava già a una delle eroine tragiche ritratte dal preraffaellita John William Waterhouse in atteggiamenti non lontani da quelli di Eleonora Duse. Da quel momento Duse fu guida e magnifica ossessione di Bergamasco, che le ha dedicato ricerche da storica e documentarista confluite nel film documentario Duse. The Greatest presentato fuori concorso il 21 ottobre 2024 al Festival del Cinema di Roma e gratificato da riconoscimenti internazionali. Anche perché spiega Duse senza eccessi o travisamenti da studi di genere, Duse. The Greatest è un profondo film documentario d’autrice: oltre che regista, Bergamasco è ideatrice del soggetto e cosceneggiatrice con Maria Paola Pierini (professoressa ordinaria di Storia del cinema all’Università di Torino).

La gigantografia del ritratto scattato da Edward Steichen a Eleonora Duse sulla scala della Scuola del Piccolo Teatro. Da Duse. The Greatest

La storia della fascinazione di Bergamasco per Duse dura da 40 anni, ha coinciso con la formazione continua da attrice e ha avuto già affondi teatrali (in tournée anche nel 2025 è La Duse e noi. Ritratto plurale di un’artista, in cui dalle lettere ricevute dall’attrice si delinea un ritratto con l’occhio del tempo). Durante la pandemia, Bergamasco ha individuato nella lingua del cinema la forma più adeguata per spiegare a un pubblico vasto le ragioni del mito della Duse e, contemporaneamente, le ragioni del mestiere di attrice e la sua funzione biografica e sociale, parallelamente a una ricerca sul corpo che recita affidata al libro Un corpo per tutti (Einaudi 2023).

Bergamasco riesce a mostrare che perfino chi non frequenta i teatri ha sentito nominare la divina attrice: anche i pescatori di Chioggia sanno chi era Eleonora Duse quando, con tono partecipe e soave, la regista interroga due lavoratori al mercato del pesce.

Eleonora Duse, ancora l’attrice per antonomasia

Duse, originaria di Chioggia, è forse l’attrice per antonomasia anche per chi non ha mai messo piede in un teatro. Le spettano molti primati nell’ideale storia di un protofemminismo italiano: giovanissima, da Martino Cafiero che l’abbandonò ebbe un figlio morto neonato; poi lasciò il marito attore per un altro attore, crescendo da sola la figlia Enrichetta; fu tuttavia ostile al ruolo di madre come unico socialmente possibile per una donna; non mascherò mai l’avanzare del tempo con i cosmetici né aderì agli ideali estetici che volevano le attrici formose e reboanti nella voce e nei modi; fu più a suo agio negli ambienti intellettuali che in quelli teatrali (un atteggiamento oggi ovvio, inconsueto allora); fu collaboratrice e non vaga musa di intellettuali come Arrigo Boito e Gabriele d’Annunzio; si sottrasse al gossip scandalistico pur provocando scandali pubblici con la propria libertà professionale e privata; fu un’energica capocomica autonoma (cioè imprenditrice e produttrice); non fu mai una donna di casa rifiutando di avere a lungo un domicilio stabile in un unico posto; nata in una locanda, in un albergo finì la sua vita durante una tournée americana.

Una pagina del copione di La porta chiusa di Marco Praga, con le annotazioni di Duse al finale della scena terza del III atto (post 1922). Venezia, Fondazione Cini, Fondo Duse (https://archivi.cini.it/teatromelodramma/detail/IT-CST-ST0002-000055/la-porta-chiusa-2.html)

Durante tale tournée, a Los Angeles due mesi prima che morisse Duse fu vista recitare in La porta chiusa da Charlie Chaplin, che con Il monello era allora una celebrità del cinema muto. Chaplin la raccontò al “Los Angeles Times” il 20 febbraio 1924 (in “Duse seen as soul of art”) come “la più grande artista che io abbia mai visto” (“the greatest artist I have ever seen”). Dalla stima del collega americano viene il superlativo relativo “The Greatest” che fa da sottotitolo al film.

Duse, un mito in assenza che la voce di Bergamasco sa evocare

Duse è un mito in assenza: assenza di sue performance registrate, assenza della sua voce della cui singolarità scrissero ammiratori e detrattori. Ecco, è subito una questione di voce. Sonia Bergamasco ha forse la voce più riconoscibile e capace di modulazione tra le attrici italiane, anche in virtù della caratteristica unica di diplomata in un conservatorio, che consentì presto a osservatori attenti come Giulia Lazzarini e Carmelo Bene di incoraggiarla come “attrice musicale”. Questa attitudine naturale, affinata dallo studio, non avrebbe riscontro nella voce cangiante e strana della amata Duse, almeno stando alla ricezione che ne ebbe la maggior parte dei contemporanei. Sulla voce contraddittoria di Duse, leggera ma abbastanza scura da poter cantare un lied di Beethoven, la regista si interroga nel film. Ecco qualche riscontro tra le fonti contemporanee di Duse raccolte da Bergamasco: secondo chi la ascoltò, la voce di Duse a 25 anni era “esile e svuotata” come quella “dei tisici, debolissima e sovente poco gradevole”; a 27 era “secca e penetrante”; a 35 tale voce “non possiede un grande registro di tonalità e nella tensione suona leggermente acuta. […] Se la situazione lo richiede, l’attrice parla così piano che la si capisce solo dalle prime file della platea e quando il flusso del suo discorso acquisisce un veloce movimento, le parole sgorgano in modo tale dalla sua bocca che è assolutamente impossibile afferrarle singolarmente”; a 39 anni la voce di Duse suonava per la collega Adelaide Ristori “velata, di testa, che si arrochiva e diventava gutturale, se appena forzata […] e “nei momenti di forza diventa quasi un rantolo”; “sottile, talvolta leggermente stridente, un poco nasale”.

Sonia Bergamasco durante uno dei provini d’esame alla Scuola del Piccolo Teatro a Milano. Foto: Ciminaghi (dal sito dell’artista)

Fu la tecnica padroneggiata da Duse anziana per calibrare la voce che rapì Lee Strasberg, il creatore del “Metodo”, anche se questi non conosceva l’italiano in cui Duse recitò La donna del mare di Ibsen, il primo dramma da lei portato a New York all’inizio degli anni Venti: “si era abituata a utilizzarla in modo estremamente preciso […]; la voce non sembrava essere proiettata nella tua direzione; piuttosto, sembrava semplicemente fluttuare verso il pubblico”.

Se in assenza di testimonianze della sua recitazione a teatro si continua a celebrare il mito della Duse, oggettivi sono i riscontri sulle fotografie che documentano i mutamenti dell’aspetto dell’attrice nel tempo; difatti, per sapere come recitava ricorriamo all’unico film che accettò di fare, Cenere, che però non è la ripresa di uno spettacolo teatrale e non restituisce la sua voce perché è muto. Anche della impressionante e, pare, inimitabile recitazione della Duse, Cenere parla per pochissimi cenni: nel film, quel volto famoso per essere estremamente cangiante e quel corpo che faceva nervosamente decine di cose tutte insieme sul palcoscenico, si sottraggono il più possibile alla macchina da presa. In Cenere, nonostante i 58 anni che sembrano almeno 20 di più, e nonostante imperassero al cinema convenzioni estetiche applicate anche agli attori uomini e giovani, Duse non si fa truccare né colora i capelli bianchi, restando fedele alle sue abitudini a teatro e nella vita quotidiana (il regista e suo partner in Cenere, Febo Mari, ha gli occhi bistratissimi; in Duse. The Greatest si ascolta la testimonianza d’archivio della vedova, che fu buona amica di Duse).

Una fotografia di Duse, parte dei materiali archivistici mostrati in Duse. The Greatest

Man Ray, La marchesa Casati, 1922, cartone dorato e stampa ad albumina, 213 x 160 mm, dedica di Casati a d’Annunzio del 17 dicembre 1923, Gardone Riviera, Fondazione Il Vittoriale degli Italiani.

Né truccata né vestita in modo ricercato

Duse non si truccava né vestiva in maniera ricercata mai, tanto da apparire sciatta ai suoi contemporanei. Questa sprezzatura perseguita da una donna di spettacolo, per giunta la più nota tra coloro che ebbero relazioni con d’Annunzio, rende ancora più indomito e vicino alle donne di oggi il mito in vita e in morte della Duse. Invece proprio sull’abbigliamento eccezionale, sui capelli innaturali e sul trucco da diva del muto enfatizzato fino a sfiorare il mostruoso si fonderà, fin dall’inizio della saltuaria relazione con d’Annunzio, la celebrità della marchesa Luisa Casati Stampa, la donna a cui, alla fine della passione con Duse, d’Annunzio attribuirà uno degli appellativi letterari dell’attrice nel romanzo scritto su di lei, su una nuova idea di teatro e sulla nascente regia, Il Fuoco: Duse fu “Persefone”, a Casati toccò la variante “Coré” (del passaggio di consegne ho scritto nella voce Corè nell’Enciclopedia dannunziana).

Bergamasco nella casa romana di Pirandello, sul set di Duse. The Greatest. Regia: Sonia Bergamasco

(prima parte)

The Greatest. Regia: Sonia Bergamasco. Produzione: Propaganda Italia – Quoiat Films – Luce Cinecittà in collaborazione con Rai Cinema. Italia, 2023)

 

Floriana  Conte – Professoressa associata di Storia dell’arte  a UniFoggia e Socia corrispondente dell’Accademia dell’Arcadia.

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