Dario Parrini, il non-pentito del taglio ai parlamentari: “Lo rivoterei se venisse accompagnato da altre riforme”

Intervista al vicepresidente della Commissione Affari costituzionali del Senato: "La mancata riduzione delle spese? Non era una promessa del Pd. La vera abnormità è l'eccesso di ricorso alla decretazione d’urgenza"

Dario Parrini parlamentari

Dario Parrini, senatore Pd e vicepresidente della Commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama, non è pentito di aver detto sì al taglio dei parlamentari: “Lo rivoterei se, come prevedeva l’accordo politico, fosse accompagnato da altre riforme, costituzionali e dei regolamenti parlamentari”. Racconta che a sfilarsi dal patto, che prevedeva una legge elettorale proporzionale, fu Italia Viva: “Il suo primo obiettivo divenne mandare a casa il governo Conte II”. Quanto ai mancati risparmi che ci si attendevano, taglia corto: “La riduzione delle spese è una motivazione che il Pd non ha mai dato ai cittadini. Questa domanda andrebbe posta a qualcun altro”. Ovvero a M5S.

Sono passati due anni dalle prime elezioni politiche dopo la riforma costituzionale che ha tagliato il numero dei parlamentari: da 630 deputati a 400, da 315 senatori a 200. Qual è il bilancio?

“Per quanto riguarda Palazzo Madama c’è stato di sicuro, a livello dei singoli senatori e senatrici, un aumento del carico di lavoro, non tale però da creare storture eccessive e disagi insostenibili. Di certo ha aiutato la riforma del Regolamento, approvata nel 2022, che ha portato le commissioni permanenti da 14 a 10 e ha introdotto importanti snellimenti procedurali. Lo stesso può dirsi, tutto sommato, anche per la Camera, dove il numero delle commissioni non è cambiato. Il bilancio sulle condizioni operative di questi due anni di attività parlamentare è negativo non tanto per la riduzione del numero dei parlamentari quanto per come questo governo intende il Parlamento”.

Camera dei deputati

Il tabellone delle votazione alla camera dei deputati

L’eccesso di decreti legge, non è una prassi nuova, purtroppo.

Servirebbe una solida volontà politica orientata a maggiore rispetto della centralità del Parlamento. Ciò che abbiamo visto finora in questa legislatura non ci fa ben sperare, basti pensare all’eccesso di ricorso alla decretazione d’urgenza: un fenomeno politicamente degenerativo che in questi due anni ha superato ogni livello di guardia, trasformando le camere in un “convertificio” di decreti governativi. Se non si limita questa abnormità, ogni altro intervento rischia di essere un palliativo”.

La legge sul taglio dei parlamentari, voluta dal M5S, fu sostenuta dal Pd e votata, al quarto e decisivo passaggio parlamentare, da tutte le forze politiche. Col senno di poi, è stato un errore? Lei personalmente la rivoterebbe?

“La voterei di nuovo se, come peraltro prevedeva l’accordo dell’estate 2019 con il M5S, fosse parte di un insieme di strumenti finalizzati a razionalizzare il nostro Parlamento. Come dicemmo nel documento d’intesa politica alla base del secondo governo Conte, la diminuzione del numero dei parlamentari doveva essere accompagnata da altre riforme, costituzionali e dei regolamenti parlamentari”.

È vero che l’accordo era di ridurre i parlamentari e cambiare la legge elettorale. La prima cosa è stata fatta, la seconda no. Chi ha tradito i patti?

“Oltre che con una diversa legge elettorale bisognava accompagnare la riduzione del numero dei parlamentari con passi concreti verso il superamento o almeno la correzione dei principali guasti del bicameralismo paritario: Francia, Regno Unito e Spagna prevedono l’elezione diretta di rispettivamente 577, 600 e 618 parlamentari. L’Italia  è scesa da 945 a 600. La nostra anomalia non consiste nel numero di parlamentari eletti direttamente (uno ogni circa 100 mila abitanti, più o meno come in Francia e Regno Unito), ma nel fatto che sono distribuiti in due camere con poteri equivalenti, a partire dalla fiducia al governo”.

Senato, Palazzo Madama

L’assemblea del Senato a Palazzo Madama

Altrove come funziona?

“Negli altri Paesi i parlamentari eletti a suffragio universale sono o parte di una sola Camera (Francia e Regno Unito) o suddivisi in due camere con poteri diversi. In Spagna 208 senatori su 266 sono eletti direttamente e 58 sono designati tra i propri componenti dalle assemblee legislative regionali, ma il Senato spagnolo non può fiduciare né sfiduciare l’esecutivo”.

Chiaro. Però alla fine la legge elettorale evaporò. Perché?

“La nostra proposta del 2019 era chiara: un proporzionale con soglia selettiva per favorire una riduzione della frammentazione parlamentare (oggettivamente esaltata dai collegi uninominali maggioritari a un turno) e aumentare la stabilità dei governi. Arrivammo a un passo dall’ufficializzare un’intesa tra tutti i partiti della maggioranza, poi però Italia Viva si sfilò perché il suo primo obiettivo divenne mandare a casa il governo Conte II”.

Per la premier Giorgia Meloni il premierato è “la madre di tutte le riforme”. Con quale legge elettorale, secondo lei?

“Ci siamo ritrovati sul tavolo la proposta di riforma costituzionale, il premierato Meloni-Casellati, già approvata in prima lettura al Senato, che prevede l’elezione diretta del premier. Questo sì che è uno sconvolgimento degli equilibri costituzionali, ben diverso dall’effetto della diminuzione del numero dei parlamentari. Ebbene, per quella riforma, che noi abbiamo osteggiato fin da subito, la maggioranza non ha ancora presentato uno straccio di proposta in merito alla legge elettorale, che pure ne è un presupposto esplicito e ineludibile. E l’altra mia grande preoccupazione riguarda la piaga dell’astensionismo. Credo che una buona legge elettorale che restituisca all’elettorato la possibilità di scegliere i parlamentari e un diverso meccanismo di selezione dei candidati interno ai partiti potrebbero di sicuro favorire il ritorno a tassi più decenti di partecipazione al voto e di fiducia nel sistema politico”.

Giorgia Meloni

La premier Giorgia Meloni

Numeri alla mano c’è stato il grande risparmio alla base della scelta? A leggere i dati degli uffici parlamentari sembrerebbe di no.

“La riduzione delle spese come base della riforma è una motivazione che il Pd non ha mai dato ai cittadini. Quindi, questa domanda andrebbe posta a qualcun altro”.

Uno dei timori principali era il difficile funzionamento a ranghi ridotti non tanto del plenum dell’assemblea quanto di commissioni e giunte. È così?

“Come ho già detto, il processo che ha visto ridimensionate la dignità e le funzioni legislative e di controllo spettanti al Parlamento di sicuro non dipende dalla riforma del 2020. Bensì prevalentemente da degenerazioni come il ricorso a valanga ai decreti legge e al monocameralismo alternato,  di fatto, per la loro conversione. Ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno, e l’esperienza di questa legislatura ce lo dimostra molto bene, è una revisione del rapporto tra governo e Parlamento all’interno della forma di governo parlamentare, che va razionalizzata, non smantellata come vogliono i fautori del premierato alla Meloni. Le attività di indirizzo e controllo vanno potenziate come anche il coinvolgimento delle autonomie locali nei lavori parlamentari. Un Parlamento sempre più debole e con prerogative compresse ostacola il buon funzionamento della democrazia”.

Maurizio Gasparri

Il forzista Maurizio Gasparri si è pentito del suo sì: parla di “spinta demagogica, populista e qualunquista”.  Che cosa ha prodotto quella stagione?

“Gasparri esagera. Sicuramente, oltre che un elemento sano (la volontà di arrivare a una politica più sobria e più vicina ai cittadini), alla base dell’insistenza del M5S per riforme costituzionali come la riduzione del numero dei parlamentari e una versione hard del referendum propositivo c’era anche un elemento insano (cioè una spinta populista e di delegittimazione del ruolo dei partiti politici e del Parlamento). Il punto non è negare altezzosamente ed elasticamente la necessità di una politica meno autoreferenziale e più aperta alle istanze della società. Si tratta di tradurre questa attenzione in proposte che irrobustiscano la democrazia parlamentare e costituzionale, al di fuori di furori demagogici. La via per farlo esiste. Va percorsa con saggezza e senso di responsabilità”.

 

Federica FantozziGiornalista

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