Mentre il Medio Oriente s’infiamma e l’attenzione dei media oscilla tra Israele e Ucraina, sembra opportuno continuare a vigilare su quanto accade nel Pacifico e considerare se non vi sia un filo conduttore che lega la guerra che distrugge economicamente l’Europa per logorare la Russia, il conflitto in cui sta annegando Israele e gli interessi statunitensi nell’area dell’Oceano Pacifico.
Il viaggio di Putin a Pyongyang e gli accordi presi con il Presidente nordcoreano Kim Jong Un il 19 giugno 2024, hanno suscitato allarme negli Stati Uniti che vi hanno visto possibili implicazioni rispetto all’assetto di guerra che sempre più sembra prendere consistenza alle porte della Cina, in quell’area di cui gli USA vogliono mantenere l’indiscutibile supremazia. Mentre il Sud globale si compatta (summit di Astana), gli States, che non sembrano voler accettare l’idea di un mondo multipolare, si armano e obbligano altri Paesi ad armarsi.
Vane paiono, a questo proposito, le proteste del Giappone che inutilmente ricorda come la propria Costituzione, scritta e imposta direttamente dai vincitori statunitensi, voglia il Paese del Sol Levante votato al perenne disarmo. Non trova eco, parimenti, la ritrosia dei sudcoreani ad agguerrirsi e a scorgere nei nordcoreani quel pericolo esistenziale che gli statunitensi li costringono a vedere. I coreani che siano del Nord o del Sud certo non amano la bandiera a stelle e strisce. Anzi, forse è quanto più temono. Nel 1999 è stato possibile accedere agli archivi che secretavano documenti su quanto accadde in Corea nel dopoguerra, e quella che era una guerra dimenticata è riemersa con il suo orrendo fardello di crimini che mai hanno avuto né avranno Giustizia. L’uomo dimentica la Storia velocemente, ma questa sembra essere inesorabilmente ripetitiva. Vi è, per lo più, solo un cambio di protagonisti. L’ossessione degli Stati Uniti, dalla fine del secondo conflitto mondiale fino ad oggi, è stata quella di ricoprire il ruolo di unica potenza mondiale e di non permettere ad alcuno di avvicinarsi al proprio territorio. Il criterio di reciprocità, nello specifico, non è ammesso. Se guardiamo una mappa (ne prendiamo una non aggiornata, datata 2020, ma ‘ufficiale’, validata dalla University of California Press) gli States hanno disseminato e imposto proprie basi in casa d’altri e alle porte di casa d’altri, giungendo anche sull’orlo di una guerra atomica allorché l’URSS si permise di porre rampe missilistiche in Cuba in risposta alle rampe installate dagli USA in Turchia (crisi di Cuba 1962).
La guerra che si consumò in Corea tra il 1950 e il 1953 avrebbe dovuto e dovrebbe essere materia di studio obbligato, nel nostro Occidente. Sulla scacchiera vi erano gli USA di Truman, l’URSS di Stalin, la Cina di Mao e una disgraziata Corea tagliata in due su richiesta statunitense a evitare il pericolo comunista troppo vicino a casa. Ai detentori della bomba atomica che aveva polverizzato due città giapponesi indifese e già arrese non si poteva dire di no. Anche se inizialmente la Corea era stata assegnata ai Sovietici, che avrebbero dovuto guidarla in otto anni verso una completa autonomia, Stalin fu costretto ad accettare, e il Paese asiatico, in meno di mezz’ora, venne segato in due al 38° parallelo dai colonnelli Dean Rusk e Charles H. Bonesteel III. I coreani furono ‘oggetti’: nessuno li interpellò mai. Il Sud con la capitale Seul (a ridosso del confine) andò così agli USA, il Nord ai ‘Comunisti’.
Ai giapponesi, che avevano perso la guerra, subentravano, nel Sud, gli statunitensi. Se i primi, nei 45 anni del loro protettorato, avevano brutalmente schiavizzato la popolazione, i secondi avrebbero presto trasformato la Penisola asiatica in una delle più cruente ‘macellerie’ del XX secolo. Nei tre anni di guerra di Corea, gli statunitensi scaricarono sul Paese più bombe di quante non ne furono gettate in tutta la seconda guerra mondiale, dando anche fondo alle proprie riserve di Napalm, carbonizzando villaggi e Persone. L’inizio della guerra fredda tra USA e URSS fece da catalizzatore. Stalin, impegnato a consolidare la propria influenza in Europa, non guardava al Pacifico, ma il ‘pericolo rosso’, rappresentato anche dalla Cina di Mao e, soprattutto, dal diffondersi dell’ideologia comunista, rodeva il governo Truman in quella che era diventata una sfida per la supremazia mondiale.
Nella Corea del Sud gli Stati Uniti imposero al governo un loro uomo, Syngman Rhee, già patriota nella lotta contro i giapponesi, rifugiatosi poi negli States e laureatosi all’Università di Princeton. Intelligente, dotato di carisma, avrebbe forse potuto essere un accettabile Presidente se la follia statunitense non l’avesse indotto a sterminare chiunque fosse anche solo in ‘odore’ di ‘comunismo’ oltre che a coltivare progetti di riunificazione della Corea a qualsiasi prezzo.
Decine di migliaia di oppositori o presunti tali furono barbaramente eliminati sotto l’occhio di Washington. Contemporaneamente, nella Corea del Nord, assumeva il ruolo di leader Kim Il Sung, uomo di Mosca, già patriota anch’egli nella lotta contro i giapponesi, riparato poi nell’Unione Sovietica dove si era fatto apprezzare tra i dirigenti di Partito. Il Nord non ha capitale (Seul è agli USA). Questa viene creata in Pyongyang. Il primo obiettivo da leader di Sung è quello di costituire un’armata in grado di proteggere il proprio territorio e, puntando sul vivo ricordo delle violenze subite sotto i giapponesi, riesce a farlo in tempi record.
Nella sua mente vi è lo stesso progetto di riunificazione delle due Coree che gli States sollecitano in Rhee. La presa di potere di Mao in Cina, permette di considerare che i tempi sono maturi. È necessario informare Mosca. Stalin è chiaro sul punto: non vi sono veti sovietici a una legittima guerra di riunificazione, ma l’URSS non vuole conflitti con Washington e non interverrà direttamente per portare aiuto in caso di disfatta. Sung si rende a Pechino. Mao ha un immenso esercito e un indiscusso potere.
È favorevole alla riunificazione della Corea e considera che, benché Rhee abbia eliminato tutti i comunisti o presunti tali, il desiderio di ricostituire la Patria perduta e di liberarsi di un dittatore sanguinario potrà trovare ampia eco anche tra i sudcoreani. È il 1950. Nella notte del 25 giugno, i nordcoreani violano il 38° parallelo. L’esercito sudcoreano mal preparato e soprattutto poco motivato si arrende subito. In tre giorni Seul è presa, mentre l’invasione continua. Intanto gli statunitensi di stanza nel Sud iniziano il 4 luglio 1950 con il massacro di Taejeon. Nella vallata sono assassinati 7000 uomini sudcoreani.
Viene detto che sono prigionieri politici, ma i più sono uomini comuni, prelevati e portati a morire ad evitare che possano unirsi all’esercito del Nord. Materialmente sono i sudcoreani ad assassinare i propri fratelli (ciò è quanto gli statunitensi sosterranno poi), ma questo si consuma davanti a militari americani cui si devono anche le foto-documento che abbiamo. Nulla, inoltre, può avvenire nel Sud senza accordo con Washington.
Gli USA, spiazzati, davanti all’impeto del Nord, decidono per un intervento militare diretto affidando il compito al generale Douglas MacArthur, eroe della seconda guerra mondiale, di stanza nell’occupato Giappone. MacArthur, stratega e uomo ‘pratico’, dichiara che questa guerra la vincerà con un braccio legato alla schiena. La sua praticità si scontra, tuttavia, con la realtà di uno scarso contingente a sua disposizione. Dal momento che gli USA sono gli unici a possedere la bomba nucleare, essi si sono formati l’idea che non sia necessario impiegare troppi uomini. Riservisti e giovani leve sono così velocemente addestrati e spediti al fronte. Ci si illude che in pochi giorni i nordcoreani saranno sconfitti. L’arroganza statunitense subisce, però, un pesantissimo ridimensionamento.
L’amministrazione Truman traballa. Perdere in Corea è perdere l’Europa e la supremazia del mondo. Il Presidente, a questo punto, ha un colpo di genio: salta il Congresso e si rivolge direttamente all’ONU, su cui gli USA hanno la massima presa, per ottenere uno scontato voto favorevole. La guerra di Corea diventa una guerra degli ‘Alleati’ a guida americana contro i nordcoreani. Nelle pubbliche opinioni occidentali la propaganda fa credere che non si tratti di una vera e propria guerra, ma di un semplice intervento per ristabilire la pace. Nel luglio del 1950 una coalizione di 350.000 soldati sbarca nella penisola asiatica.
Dopo meno di un mese di conflitto, tuttavia, la sconfitta è cocente. I coreani combattono con un eroismo senza limite, assaltano da tutte le parti, hanno un tale coraggio che si fanno congetture: forse sono drogati con droghe sconosciute che solo i comunisti hanno; forse il loro cervello è stato ‘programmato’ da Mosca. Forse….
La realtà cui i soldati americani sul campo devono piegarsi è che i coreani combattono disperatamente per liberare la loro Terra, per la loro Patria riunificata, per disfarsi del giogo straniero e si immolano per un ideale che le truppe ONU, al soldo degli USA, non possono avere. Questo i militari statunitensi, nonostante la propaganda martellante, lo comprendono da soli e la sfiducia in questa ‘sporca guerra’ dilaga. Le truppe coreane stanno liberando la Penisola. Resta l’area di Pusan, all’estremo limite meridionale, ancora in mano americana. È fine luglio. La guerra sembra persa, quando i marines sbarcano. In tutto questo si consuma il dramma dei profughi. Gli statunitensi obbligano i civili a spostarsi, li convincono che se vogliono salva la vita devono lasciare le loro case e muoversi verso i centri che vengono loro di volta in volta indicati. Si formano lunghe interminabili file di donne, vecchi, bambini, carichi di quanto possono portare. Lasciano tutto credendo nella parola degli occidentali, ma, gli statunitensi, mentre costringono i civili a lasciare case e villaggi, contemporaneamente ordinano a militari e aviazione di sterminarli. Con le stragi di civili, gli americani raggiungono un duplice obiettivo: risolvono il problema della gestione dei rifugiati e ‘svuotano’ il territorio per avere più libertà di azione.
Tale ‘sistema’ caratterizzerà tutta la guerra di Corea. Oramai vedere il volto di un soldato americano è guardare in volto la Morte. Questa guerra trasforma gli americani in mostri o forse rivela quello che sono sempre stati. È di fine luglio il massacro di No Gun Ri. I civili attaccati allo scoperto dall’aviazione si nascondono in massa in due tunnel ferroviari. Per tre giorni e tre notti gli americani sparano contro di loro. Si contano 300 vittime tra donne, anziani, bambini, neonati. Sopravvive Hyang Hye-Suk, una ragazzina di tredici anni gravemente ferita (è stata accecata a un occhio), protetta dal corpo assassinato della madre e che ha la forza di fingersi morta. Tutte le guerre sono orribili, ma la guerra di Corea a tutt’oggi vanta il più alto numero di civili sterminati deliberatamente dai detentori della democrazia occidentale. All’inizio di agosto sono i nordcoreani a compiere il crimine classificato quale il ‘massacro della collina 303’. Ammazzano 20 feriti statunitensi fatti prigionieri, mani legate, colpo alla nuca. Dopo questo episodio, da parte dei soldati dell’ONU tutte le atrocità, anche quelle indescrivibili, sono permesse. Quando sembra ci si debba rassegnare comunque a una guerra persa, MacArthur fa il colpo di mano. Organizza tra il 15 e 26 settembre lo sbarco in massa in Inch’ŏn, area considerata impraticabile e, proprio per questo, poco protetta. I nordcoreani, accerchiati e fortemente inferiori in numero, devono cedere. È la volta dell’avanzata statunitense che non si limita a ripristinare il confine del 38° parallelo, ma sconfina, determinata a prendersi tutta la penisola. Forte della supremazia aerea, che stermina a tappeto militari e civili, e di nutriti contingenti di terra, in ottobre arriva a Pyongyang. L’esercito nordcoreano non esiste di fatto quasi più. MacArthur formula con Washington il progetto di entrare in Cina. Il ‘Thanksgiving Day’ del 1950 è celebrato euforicamente dai soldati statunitensi sulle colline innevate di Chosin con un freddo intenso che arriva a quasi meno 50 gradi. Il risveglio è durissimo. All’alba del giorno successivo 200.000 soldati cinesi attaccano di sorpresa ingabbiando gli statunitensi in una sacca.
Non si contano i morti. Messi gli americani in fuga, nordcoreani e cinesi entrano a Seul. A questo punto, governo e forze armate statunitensi, con il plauso della popolazione, decidono di chiudere la partita per via atomica, distruggendo completamente la Corea e piegando la Cina. MacArthur vagheggia l’eliminazione di Mao e anche di Stalin e considera di lanciare 24 bombe atomiche. Le atroci immagini di Hiroshima e Nagasaki non sembrano sfiorare gli statunitensi che per il potere sono disposti a ripetere e compiere ogni crimine, forti dell’impunità loro concessa. L’URSS, tuttavia, pare certo che abbia messo a punto anch’essa armi atomiche e mentre gli States vivono il loro delirio omicida, nel Regno Unito il primo ministro Clement Attlee è fortemente allarmato. Vola a Washington.
Non vi sono remore ‘umane’, ma calcoli precisi. Attlee dimostra a Truman, conti e statistiche alla mano, che se scoppia la terza guerra mondiale, questa volta atomica, non ci sono le risorse né economiche né militari per farvi fronte. Si apre il conflitto di potere tra Truman e MacArthur, che il Presidente finisce per rimuovere con un discorso alla nazione in favore di una scelta di pace da conseguire per via diplomatica. Questo costa a Truman un alto prezzo. Sotto gli attacchi dei repubblicani e dell’opinione pubblica, oramai elettrizzata dall’idea di una guerra di sterminio atomico, la sua popolarità crolla e addirittura rischia l’impeachment. Nell’aprile del 1951 Matthew Bunker Ridgway sostituisce MacArthur. L’ordine è di temporeggiare. Inizia un duro conflitto di trincea volto a favorire gli scambi diplomatici verso un cessate il fuoco. È la volta di Stalin, ora, a decidere delle sorti della guerra. Ogni negoziato per la fine delle ostilità trova, alle Nazioni Unite, l’opposizione sistematica di Mosca. L’URSS non vede nulla di meglio degli USA che si indeboliscono economicamente e militarmente in una guerra di logoramento contro la Cina senza rimetterci un solo uomo russo. È la sua ‘guerra per procura’. Si vocifera che Mosca voglia sfiancare gli States ‘fino all’ultimo cinese’. Intanto la Corea è rasa al suolo. L’aviazione statunitense lamenta di non avere più obiettivi perché oramai si può solo bruciare sul bruciato. Le quantità esorbitanti di Napalm hanno devastato anche la devastazione. La distruzione totale della Corea, l’assassinio dei suoi abitanti sono il prezzo per costringere all’armistizio.
Nel marzo 1953, seppellito Stalin, la situazione si sblocca. Mentre militari e diplomatici disegnano sulla carta i dettagli per mettere in sicurezza il 38° parallelo, sul fronte, tuttavia, si continua a morire. Gli statunitensi perdono mille uomini per difendere una zona che non avrà poi alcun interesse strategico. Finalmente l’accordo è fatto e sono istituite aree demilitarizzate ai due lati del 38° parallelo. Gli americani ritornano a casa, nelle loro case linde e intatte accolti dalle proprie famiglie. I morti sono stati circa 30.000, ma i coreani massacrati sono stati almeno 3.000.000 e non ci sono città, villaggi, case, solo sterpaglia bruciata. Ripristinato il governo di Rhee, gli statunitensi si sono reinsediati in un Sud dove la democrazia altro non è che corruzione, la dignità è parola vuota e in cui si muore di fame.
Nel Nord, il comunismo impone di rimboccarsi le maniche. Fabbriche, scuole, ospedali, risaie, agricoltura. Tutto è condiviso. Ci vorranno decenni prima che il Sud abbia una ripresa e resterà, comunque, un Paese occupato dalle forze straniere americane. L’esperienza atroce di questa guerra che l’Occidente ha preferito dimenticare e i cui crimini non saranno mai puniti, ha segnato le generazioni di coreani che si sono susseguite e continuerà a farlo. Se nel Sud, occupato dagli USA, nel 1994 è stato inaugurato in Yongsan-dong (Seul) l’imponente ‘War Memorial of Korea’, un Museo dedicato a commemorare i veterani americani che persero la vita nella guerra di Corea, nel Nord, dal 1958, si è aperto in Sinchon (dove durante l’occupazione di MacArthur fu in un mese assassinato oltre ¼ della popolazione nelle maniere più atroci) il ‘Museum of American War Atrocities’ che illustra l’orrore di cui gli USA si sono macchiati e permette di ripercorrere il calvario del popolo coreano. Le visite organizzate sono volte a raccogliersi nel ricordo dei civili martirizzati e si concludono con un giuramento che sorgerebbe forse e comunque spontaneo ‘Eliminate gli americani e riunite il Paese’.
Mentre gli States si preoccupano di una Corea del Nord armata nuclearmente, considerate le basi americane disseminate nel Pacifico volte a strangolare Nord Corea e Cina e studiata la Storia di quella Penisola martoriata, viene spontaneo chiedersi se il terrore di un attacco USA (Maestri in colpi di Stato, guerre illegali e atrocità impunite) non giustifichi ampiamente il bisogno di proteggersi di Kim Jong Un.
L’espansione, senza alcun ritegno per timori e interessi altrui, di proprie basi militari (nucleari incluse e su cui solo gli USA possono decidere) è un ‘unicum’ mondiale messo in atto dagli Stati Uniti in proprio o tramite la NATO. È consequenziale che il mondo multipolare che sta emergendo non sia disposto a tollerare oltre la minaccia che esse rappresentano. Se guardiamo alla guerra di Corea sopra descritta e la mettiamo a confronto con i conflitti che ora funestano Europa e Medio Oriente, gli USA, per quanto riguarda l’Ucraina, sembrano occupare quello che fu il ruolo di Stalin: in questo caso sono gli americani a volere una guerra per procura ‘fino all’ultimo ucraino’ per lo sfiancamento economico e militare della Russia, il crollo della Germania, locomotore d’Europa, e il foraggiamento dei terroristi di Al Qaeda e dell’Isis (che l’Ucraina arma con i nostri soldi in Africa contro Mosca), senza rimetterci un solo uomo.
Nella guerra del Medio Oriente, gli USA si sono opposti sistematicamente a un ’cessate il fuoco’ su Gaza, assistendo per mesi allo spostamento programmato di profughi regolarmente massacrati e non è da sottovalutare che vogliano estendere il conflitto anche all’Iran servendosi di Israele. Sia Zelenskyy che Netanyahu non sembrano altro che due personaggi da gestire con fili. La guerra d’Ucraina, tuttavia, ha permesso di fare emergere quanto sia USA che NATO siano in condizione di debolezza rispetto agli armamenti necessari per aprire un nuovo importante fronte di guerra se tradizionalmente intesa. Potrebbe essere il momento, questo, per la Cina, abilissima nel tessere tele diplomatiche che, senza spargimento di sangue, tolgono terreno agli USA (vedi accordo Arabia Saudita-Iran), di rivendicare nel Pacifico il ruolo che le spetta come potenza mondiale e sfidare gli States su Taiwan, prima che l’apparato che Washington sta mettendo a punto nell’area sia pronto.
Restano gli armamenti nucleari. Se la Russia con quel ‘pazzo’ di Putin, pur godendo di una provata supremazia, malgrado sia continuamente messa alla prova da un’escalation occidentale deliberatamente voluta, non vi ha ancora messo mano, è in dubbio che gli States avrebbero le stesse remore nell’utilizzarli. Le 24 atomiche di MacArthur sono sempre sullo sfondo. Manca, sulla scacchiera attuale, la figura chiave del premier britannico Clement Attlee che fu in grado di fare ragionare Truman e salvare il mondo. L’attuale UK ci ha dato un Boris Johnson (senza il cui intervento su Zelenskyy la guerra d’Ucraina sarebbe terminata ancora prima di iniziare) e, ora, un Keir Starmer. Le guerre in casa d’altri, in fondo, hanno sempre arricchito la Gran Bretagna che, forte della Brexit, è ritornata a essere quello che è sempre stata: un’Isola.
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Maurizia Leoncini, Freelance Journalist