Dal Satyricon ai Diamanti di Ozpetek: l’epopea dei costumisti italiani. Ed un inchino a Piero Tosi

La creazione dei costumi è uno dei mestieri più belli, importanti e misconosciuti a concorrere alla magia del cinema e del teatro. Il film di Ozpetek parla di questo. E noi cogliamo l’occasione per ricordarne i più grandi: tra i tanti, Gabriella Pescucci, Milena Canonero, Danilo Donati. E il grande maestro toscano prediletto da Fellini e corteggiato da Kubrick
Una scena di Diamanti, l'ultimo film di Ferzan Ozpetek - Ph. Stefania Casellato

“Chi ha fatto le teste del Satyricon?”. Questa domanda, in una delle prime scene del nuovo film di Ferzan Ozpetek Diamanti, viene rivolta a una giovane apprendista da Alberta Canova, che insieme alla sorella Gabriella gestisce una prestigiosa sartoria specializzata in costumi per cinema e teatro. La ragazza, pensando di cavarsela a buon mercato, risponde sicura: “I costumi del Satyricon sono di Danilo Donati…”. Ma la domanda nascondeva un trabocchetto, che è anche una delle più amate leggende del cinema italiano almeno per quanto riguarda la voce “trucco, parrucco e costumi”. La soluzione è verso la metà di questo pezzo.

Diamanti è un film corale, in cui compaiono praticamente tutte le attrici italiane viventi, sul lavoro di creazione dei costumi. Che è uno dei mestieri più belli, importanti e misconosciuti che concorrono alla magia del cinema e del teatro. Le sorelle Canova – interpretate da Luisa Ranieri e Jasmine Trinca – alludono ad alcune note sorelle attive nel ramo. Come le famose sorelle Ferroni, Caterina ed Elisabetta, che portano avanti un’attività iniziata da Benedetto Ferroni nel lontano 1911; o le altrettanto celebri sorelle Fontana, Zoe Micol e Giovanna, emiliane attive a Roma fin dagli anni ’30. Il film racconta le sorelle Canova e il coro di lavoranti – tutte donne – che riempiono di vita, di liti, di affetto e di dolori una sartoria che una di loro, la più sfrontata (guarda caso interpretata da Geppi Cucciari) definisce “un vaginodromo”.

A chi si ispira Bianca Vega

A un certo punto, nella sartoria irrompe come un tornado Bianca Vega, la più grande costumista italiana di sempre! La interpreta Vanessa Scalera e ci viene detto che ha appena vinto due Oscar. Deve preparare un film ambientato nel ‘700, quindi c’è lavoro in abbondanza. Secondo alcune recensioni siamo alla fine degli anni ’70, ma il film non ha una connotazione temporale precisa: siamo in un mondo senza cellulari, ma il periodo è volutamente vago. È quindi arbitrario, e al tempo stesso divertente, indovinare a quale grande costumista si ispiri il personaggio di Bianca Vega.

Vogliamo ipotizzare che il film in lavorazione alluda al Casanova di Fellini? Beh, i costumi di quel capolavoro furono realizzati proprio dal suddetto Danilo Donati, che vinse uno dei suoi due Oscar. Alla fine degli anni ’70 una sola donna italiana aveva vinto l’Oscar per i migliori costumi: Milena Canonero, in coppia con Ulla-Britt Soderlund, per Barry Lyndon di Stanley Kubrick. Ma è ovvio che Bianca Vega è un personaggio “multiplo”, che rende omaggio a varie persone realmente esistite ed esistenti. E tutto Diamanti è un omaggio a un mestiere, al quale anche noi vogliamo rendere omaggio con questo articolo.

Una scena di Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, costumi di Milena Canonero - Courtesy 20th Century Fox
Una scena di Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, costumi di Milena Canonero – Courtesy 20th Century Fox

Costumisti italiani da Oscar

Partiamo dagli Oscar. I costumisti italiani che hanno vinto l’Oscar per i costumi sono tanti – e tante. Eccoli.

Piero Gherardi nel 1962 per La dolce vita di Federico Fellini.

Di nuovo Piero Gherardi nel 1964, per Otto e mezzo, ancora di Fellini.

Danilo Donati nel 1969 per Romeo e Giulietta di Franco Zeffirelli.

Vittorio Nino Novarese nel 1971 per Cromwell, un film britannico, diretto da Ken Hughes.

La suddetta Milena Canonero nel 1976 per Barry Lyndon.

Bis di Danilo Donati nel 1977 per il citato Il Casanova di Fellini.

Milena Canonero (e due!) nel 1982 per Momenti di gloria di Hugh Hudson.

Franca Squarciapino nel 1991 per Cyrano de Bergerac (è l’anno d’oro per l’arte italiana del costume: in cinquina ci sono anche la solita Canonero per Dick Tracy di Warren Beatty e Maurizio Millenotti per Amleto di Mel Gibson).

Gabriella Pescucci nel 1994 per L’età dell’innocenza di Martin Scorsese.

Milena Canonero (e tre!) nel 2007 per Maria Antonietta di Sofia Coppola.

Milena Canonero (e quattro!) nel 2015 per Grand Budapest Hotel di Wes Anderson.

I costumi realizzati da Piero Tosi per Il Gattopardo di Luchino Visconti - Wikimedia Commons
I costumi realizzati da Piero Tosi per Il Gattopardo di Luchino Visconti – Wikimedia Commons

Mastro Tosi, corteggiato da Kubrick

In questa prestigiosissima lista manca un nome. Ogni costumista, ogni esperto del ramo sarebbe in grado di individuarlo in mezzo secondo. È l’uomo che molti considerano il più grande creatore di costumi della storia del cinema. E, sì, l’avete capito: è l’uomo che ha fatto “le teste” del Satyricon. Nella scena suddetta, quando la ragazza tira fuori il nome di Danilo Donati, Alberta Canova le risponde sprezzante: “Le teste del Satyricon le ha fatte Piero Tosi”. La ragazza perde l’occasione per stare zitta: “Ah, sì, Piero Tosi, l’ho sentito nominare”, e Alberta Canova giustamente la gela: “Tu vuoi fare la costumista e hai SENTITO NOMINARE Piero Tosi?”. Sappiate che Alberta Canova, per quanto stronza, ha ragione. E noi ora partiremo da Diamanti per dire alcune cose su Piero Tosi.

Il costumista Piero Tosi - Wikimedia Commons
Il costumista Piero Tosi in uno scatto del 2001 – Wikimedia Commons

Piero Tosi è nato a Sesto Fiorentino nel 1927 ed è morto a Roma nel 2019. Figlio di un fabbro, è riuscito con immani sacrifici a studiare all’Accademia di Belle Arti di Firenze ed è stato introdotto nel mondo dello spettacolo da Zeffirelli e poi da Luchino Visconti. Ha ottenuto cinque candidature all’Oscar: per tre film di Visconti (Il Gattopardo, Morte a Venezia, Ludwig), per La Traviata di Zeffirelli e per Il vizietto di Edouard Molinaro. Non ha mai vinto. Anche all’Academy sanno benissimo che è una cosa di cui dovrebbero vergognarsi, tanto è vero che nel 2014 gli hanno dato l’Oscar alla carriera. Lui ha mandato a ritirarlo la sua amica Claudia Cardinale, perché Tosi ha sempre avuto un difetto – almeno dal punto di vista di Hollywood: non prendeva l’aereo. Per questo motivo ha rinunciato a film importantissimi.

E volete sapere una storia? Stanley Kubrick lo voleva per Barry Lyndon e gli fece una corte serrata. Lui disse: “Grazie, Stanley, io non posso ma ti mando una mia allieva”: Milena Canonero, per altro già collaboratrice di Kubrick per Arancia meccanica. E Milena vince l’Oscar. Anni dopo, Martin Scorsese avrebbe fatto carte false per averlo in L’età dell’innocenza, che era poi il suo modo di “rifare” Il Gattopardo. L’avrebbero coperto d’oro, ma Piero disse: “Grazie Martin, io non posso ma ti mando una mia allieva”: Gabriella Pescucci, che vince l’Oscar. Quei due Oscar sono idealmente di Piero Tosi.

Tutti i suoi allievi

La parola “allieva” è fondamentale. Tosi era talmente pigro e schivo che a un certo punto smise, o quasi, di lavorare nel cinema e si dedicò anima e corpo all’insegnamento presso il corso di Costume del Centro Sperimentale. Sono stati TUTTI suoi allievi. Il più bravo è oggi Massimo Cantini Parrini, il prossimo che vincerà l’Oscar appena azzeccherà il film giusto (per ora ha avuto due candidature, Pinocchio di Matteo Garrone e Cyrano di Joe Wright).

Massimo racconta sempre con le lacrime agli occhi il suo esame di ammissione al Centro: “Alla prova di disegno Piero veniva al mio banco, prendeva i miei disegni e li stracciava. Senza spiegarmi cosa fosse sbagliato. Io non so disegnare benissimo ma mi incazzai di brutto, e lui mi zittì in malo modo. All’orale ero pronto a essere sbranato. Mi rovesciò sul tavolo una scatola di bottoni tutti diversi e mi ordinò: mi dica le date, per ciascun bottone. Botta di culo: i bottoni sono la mia passione! Glieli datai tutti alla perfezione, senza sbagliare di un giorno. Mi prese come allievo e mi ha insegnato tutto quello che so”.

Un'immagine dal "Satyricon" di Federico Fellini (1969) - Cineriz - Diamanti
Un’immagine dal “Satyricon” di Federico Fellini (1969) – Cineriz

Le tre teste del Satyricon

Ora è venuto il momento di spiegare la storia delle “teste” del Satyricon. Tosi era collaboratore fisso di Visconti. Fellini gli faceva una corte spietata. Lasciamo che sia lui a raccontare (citiamo a memoria da un libro fondamentale, Piero Tosi. Esercizi sulla bellezza. Gli anni del CSC 1988-2016, CSC-Edizioni Sabinae, 2018): “A ogni film Federico veniva da me e mi chiedeva: Pierino, stavolta potrò avere da te almeno il regalo di una scarpina… Una volta, in preparazione di un film, mi invitò a stare con lui a Fregene. Dormivo in una dependance della sua villa. La mattina, verso le cinque, sentivo i suoi passi sulla ghiaia, e poi quella vocina: tesorino, dormi? Andiamo a fare due passi, e parliamo… scappai alle quattro di notte, quando dormiva ancora. Per Il Casanova mi incastrò. Il progetto era bellissimo, sarei stato felicissimo di farlo. Ma posi una condizione: visto che c’erano un sacco di soldi, pretesi un atelier tutto mio, un vecchio capannone industriale dovrei avrei potuto lavorare senza avere Federico tra i piedi, e feci mettere per iscritto nel contratto che solo io avrei avuto la chiave. Ok. Comincio a lavorare senza notare che in fondo al capannone c’è una porticina, alta sì e no un metro e mezzo. Un giorno, mentre sto disegnando abiti settecenteschi, vedo che la porticina si apre ed entra, tutto curvo, Federico. La solita vocina: Pierino, come va?… sono scappato. Il film l’ha fatto Donati”.

Nota a margine: altro Oscar!

Tre passi nel delirio con Fellini

L’unica volta in cui Fellini “incastra” Tosi è a cavallo fra il ’68 e il ’69. Tosi fa i costumi per Toby Dammit, l’episodio felliniano di Tre passi nel delirio, e poi collabora con Donati elaborando trucco e parrucco delle “teste”, ovvero di tutti i personaggi di contorno che dovevano conferire al Satyricon un aspetto da film di fantascienza girato nell’antica Roma. È un contributo “ufficioso”, una sorta di favore a un amico adorato ma assillante. E poi Tosi era “uomo di Visconti”, che a sentir lui era per certi versi più esigente di Fellini, e molto competente in fatto di moda e vestiti, ma quando si fidava, si fidava; inoltre non era facilissimo in quegli anni passare dalla corte del nobile milanese al clan del genio romagnolo.

Helmut Berger e Romy Schneider in Ludwig, di Luchino Visconti. Costumi di Piero Tosi (1973)
Helmut Berger e Romy Schneider in Ludwig, di Luchino Visconti. Costumi di Piero Tosi (1973)

In Diamanti il regista del kolossal settecentesco, interpretato da Stefano Accorsi, non assomiglia né a Visconti né a Fellini, ma come dicevamo il film a cui si allude potrebbe essere un mix di Casanova e di Ludwig (che non si svolge nel ‘700, ma è l’altro grande kolossal in costume del decennio). Tornando a Bianca Vega, il suo carattere fumantino e la sua fama dovuta a DUE Oscar porterebbero a identificarla in Milena Canonero, poiché Gabriella Pescucci ha vinto – ingiustamente – un Oscar solo ed è una persona dolcissima.

Canonero non è certo una belva, absit iniuria, ma si è costruita una fama di artista “difficile”, che lavora solo con certi registi. La sua filmografia è abbastanza ridotta, e i nomi ricorrenti sono sempre quelli: a parte Kubrick, c’è la famiglia Coppola (il suo ultimo lavoro è Megalopolis), Wes Anderson, Steven Soderbergh, Warren Beatty, Roman Polanski e pochi altri. E come vedete non ci sono, o quasi, nomi italiani. Quindi diciamo, non avendo conosciuto Franca Squarciapino, che Bianca Vega è forse un mix di Canonero, Pescucci e tanti altri artisti, uomini e donne, che hanno reso la sartoria italiana per cinema la migliore nel mondo.

Alberto CrespiCritico cinematografico e giornalista

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