Capiamo ogni giorno di più l’importanza geo-strategica del Mediterraneo nel difficile contesto delle relazioni internazionali di questi ultimi anni. Ce ne siamo accorti con i movimenti di navi militari russe e della Nato al largo delle nostre coste dopo l’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe di Putin. Lo abbiamo visto soprattutto quando i missili Houti hanno di fatto chiuso il transito delle navi mercantili nel Mar Rosso e l’accesso principale del Mare Nostrum all’Estremo Oriente.
Ma il Mediterraneo è molto più di una via di commercio o un passaggio tra un oceano e l’altro. Pur occupando solo l’1% della superficie globale degli oceani, esso ospita una straordinaria biodiversità e soprattutto una densità abitativa che porterà le popolazioni che vi si affacciano e che in buona misura dipendono da esso a superare il mezzo miliardo di persone entro il 2050.
È un mare instabile politicamente. Ma è soprattutto un mare “fragile”, vulnerabile sotto molteplici punti di vista: dal sovrasfruttamento delle sue risorse biologiche, all’inquinamento da plastica e microplastica, dalla pressione del turismo costiero agli effetti del cambiamento climatico. Al tempo stesso esso rappresenta una straordinaria risorsa per lo sviluppo economico, sociale e culturale delle popolazioni che lo abitano. Culla di civiltà e crocevia di scambi tra tre continenti, questo mare chiuso fisicamente, ma aperto culturalmente, va preservato e difeso per noi che lo viviamo oggi e per le generazioni future.
L’Unione per il Mediterraneo (UpM), organizzazione che riunisce i Paesi dell’Unione Europea e i Paesi terzi della sponda meridionale e orientale, ha da tempo creato un gruppo di lavoro sull’Economia Blu Sostenibile che si occupa proprio di identificare e sviluppare soluzioni comuni per la tutela e lo sviluppo di opportunità di crescita economica intorno alle risorse del nostro mare. Nel febbraio 2021 i Governi dei 42 Paesi membri dell’UpM hanno adottato un’ambiziosa Dichiarazione Ministeriale con la quale hanno definito dieci priorità fondamentali da affrontare congiuntamente proprio nell’ottica dello sviluppo comune. La Commissione Europea, motore finanziario del processo, che già in passato aveva posto il Mediterraneo al centro della propria attenzione, dal 2021 ha progressivamente raffinato gli strumenti di assistenza e sostegno agli Stati della regione migliorando l’efficacia dei propri programmi di sviluppo ed estendendoli progressivamente anche ai Paesi non membri dell’Unione.
La Dichiarazione del 2021 rappresenta un passaggio centrale per la definizione di un approccio comune ai problemi e alle opportunità del Mediterraneo che abbracci integralmente i temi dell’economia circolare e della neutralità climatica e definisca la strada per la convergenza e il coordinamento delle risorse e delle progettualità di Amministrazioni centrali, Enti locali e centri di ricerca.
La cooperazione tra i Paesi dell’UpM è espressa in particolare da una Road Map per l’attuazione della Dichiarazione, supportata da un sistema di monitoraggio e valutazione che fornisce una panoramica periodica delle iniziative in corso e dei progetti più promettenti.
La Conferenza degli Stakeholder che si è riunita ad Atene da 19 al 21 febbraio 2024 è parte di questo processo. Con un focus su percorsi e politiche sostenibili e trasformative, e in linea con le 10 priorità della Dichiarazione Ministeriale, essa si è articolata su undici workshop tematici che hanno affrontato le grandi sfide e le opportunità nei principali settori dell’economia blu del Mediterraneo: l’alimentazione sostenibile dal mare; il turismo marino e costiero; il trasporto marittimo sostenibile e climaticamente neutrale con lo sviluppo di carburanti alternativi e tecnologie a ridotto impatto; le interferenze dell’inquinamento marino sullo sviluppo dell’economia blu; le nicchie emergenti delle energie rinnovabili dal mare e delle biotecnologie blu.
Altri workshop hanno riguardato gli strumenti e gli abilitatori chiave dell’economia blu sostenibile: la cosiddetta “finanza blu”; i cluster marittimi; la digitalizzazione dei servizi; le professionalità del mare; la ricerca e l’innovazione; la decarbonizzazione e l’economia circolare; la gestione integrata delle zone costiere e la pianificazione dello spazio marittimo; la sicurezza delle attività dell’economia blu. Alla fine, oltre 300 partecipanti provenienti da tutto il Mediterraneo si sono incontrati, hanno discusso e soprattutto hanno fatto rete, elaborando best practices, discutendo gli impieghi delle nuove tecnologie e sviluppando insieme modelli di business innovativi al tempo stesso sostenibili e competitivi sui mercati globali.
In questo contesto, l’Italia ha fatto egregiamente la sua parte. Alla Conferenza degli Stakeholder, la delegazione del nostro Paese era la più numerosa dopo quella degli ospiti greci: è un dato di fatto generale che torna leggendo le statistiche dei progetti a leadership o a partecipazione italiana finanziati dall’Unione Europea nei diversi settori della Blue Economy. È una leadership visibile nel settore industriale dei trasporti e dei servizi, della pesca sostenibile e soprattutto della ricerca. Il sistema dei cluster marittimi italiani, quello industriale e quello scientifico e tecnologico, sapientemente integrati, costituiscono un humus prezioso del sistema mare italiano che possiede le capacità per guidare la transizione ecologica marittima, trainando l’innovazione e creando reti di cooperazione a livello regionale. La creazione di strumenti istituzionali adeguati, a partire dal Ministero delle Politiche del Mare, e un intelligente contributo pubblico allo sviluppo della marittimità italiana possono oggi costituire il trampolino per proiettare l’economia blu italiana nel posto di privilegio che merita nell’ambito del Sistema Paese.
L’Unione Europea si è posta il duplice obiettivo di promuovere la transizione verde e digitale e di rendere l’economia europea più equa, resiliente e sostenibile per le generazioni future. Sul mare, l’Italia dimostra ogni giorno di poter contribuire al raggiungimento degli obiettivi di questa doppia sfida: se avviato su un percorso di sostenibilità e competitività, questo processo potrà diventare fonte di azioni e di idee in grado di generare innovazione, stimolare una crescita rapida e duratura e contribuire a proteggere il nostro pianeta.
* Le opinioni sono espresse a titolo personale e non sono riconducibili al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale
Daniele Bosio – Funzionario diplomatico, coordinatore per le questioni marittime del Ministero degli Affari Esteri