La pandemia e le conseguenti restrizioni hanno rivoluzionato il nostro modo di vivere e di relazionarsi. Il fenomeno è stato trattato da tanti punti di vista: sociale, sociologico, antropologico, culturale, economico, psicologico, scolastico. A conferma che il fenomeno pandemico è omnipervasivo.
Prima ci salutavamo con due baci. Ora non sappiamo se con i pugni, gomito a gomito oppure con una sorta di inchino. Il covid sta cambiando il nostro modo di interagire. Ma non è solo la paura del coronavirus a farci prendere le distanze.
La pandemia ha accelerato un trend precedente, derivato dall’automazione digitale di molti processi quotidiani, che ci porta alla cosiddetta economia senza contatti (contactless), e da lì alla società “contactless”, o quantomeno, con molto meno contatto umano.
L’emergenza Covid è stata salutata dal ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale Vittorio Colao come una grandissima opportunità per spingere l’Italia verso il digitale. Il riferimento è al ruolo che il digitale può svolgere nel garantire, in tempi di pandemia, la continuità delle attività economiche nonché di servizi essenziali quale l’istruzione e, più in generale, la gran parte dei servizi erogati dalle pubbliche amministrazioni.
Poco dopo l’inizio della pandemia, nel giugno 2020, Satya Nadella , direttore di Microsoft, confermò che in soli due mesi c’era stato un salto di qualità nella digitalizzazione. Lo smart working si è poi diffuso, le lezioni scolastiche e la maggior parte degli incontri sono diventati telematici e il denaro è stato “sostituito”.
Banconote e monete sono state soppiantate dalle carte di credito e da altri sistemi di pagamento senza alcun contatto, tramite telefoni cellulari. Alcune di queste forme di relazione senza contatto sono penetrate quasi senza rendersene conto.
È già un’esperienza molto comune dover interagire a lungo con una macchina in un dialogo basato su numeri e brevi frasi per poter accedere a qualsiasi servizio. Compresi i servizi medici. Anche lì il covid sta accelerando una transizione tecnologica che dovrà essere attentamente monitorata per evitare che il sovraccarico di cure e la mancanza di risorse umane portino pericolosamente alla medicina senza contatto.
Molte di queste tecnologie hanno dei vantaggi, non c’è dubbio. Semplificano la vita, aumentano la produttività e possono darci molto tempo. Anche per flirtare, sembrerebbe più semplice, se non più desiderabile, ricorrere a una piattaforma di incontri che girovagare per bar e club per vedere se sei fortunato.
Ma vivere la vita da un’app all’altra ha anche il suo lato oscuro. La società del distanziamento ci porta a un’interazione sociale governata da algoritmi, automi e spersonalizzati, che a volte finisce sorprendentemente bene ed altre volte con effetti funesti. Le macchine non sorridono né si arrabbiano. Non c’è emozione nell’intelligenza artificiale.
Iniziamo a notare le conseguenze del vivere permanentemente connessi alle cose e disconnessi dalle persone. Se la solitudine era già una pandemia silenziosa prima della pandemia, cosa accadrà quando l’economia del distanziamento sarà pienamente sviluppata?
Il filosofo Byung–chul Han ci mette in guardia in “L’espulsione del diverso”, dove mostra la scomparsa della figura dell’Altro in un mondo dominato dalla comunicazione digitale e dai rapporti neoliberistici di produzione.
“Ascoltiamo tante cose, ma perdiamo sempre più la capacità di ascoltare gli altri e di prestare attenzione al loro linguaggio e alla loro sofferenza. In qualche modo, ognuno è lasciato solo con il proprio dolore e le proprie paure”.
E aggiunge: “Si prende atto di tutto senza mai giungere a una conoscenza. Si ammassano informazioni e dati senza mai giungere a un sapere. Si bramano esperienze vissute ed emozioni eccitanti in cui però si resta sempre uguali. Si accumulano amici e follower senza mai incontrare veramente l’Altro”.
I cambiamenti tecnologici sono inarrestabili ma possiamo modulare il loro ritmo e la direzione che prendono, in modo che l’economia senza contatto non porti a una società di isolamento. Chissà se la “cultura del distanziamento” permarrà anche dopo la fine dell’emergenza sanitaria? Non è dato saperlo con certezza, è certo però che sarebbe una prospettiva poco desiderabile.
Clara Ballari – Giornalista