Montecitorio, come mosche in bottiglia

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Agli occhi di noi cittadini comuni la crema della crema dei 1009 grandi elettori dal 24 gennaio stipata a Montecitorio, vale a dire i capi partito, stanno dando una penosa impressione. Sembrano mosche in bottiglia che sbattono di qua e di là senza costrutto alla disperata ricerca di una via di uscita. Per quanti sforzi facciano, restano imbottigliati e cominciano a esser presi dal panico. Perché si sta avvicinando il 3 febbraio, data di scadenza di Sergio Mattarella, e ancora è buio pesto.

Tutto si spiega, del resto. Perché tante sono le fratture che abbiamo davanti agli occhi. C’è la frattura tra le due coalizioni contrapposte, che hanno avviato un dialogo tra sordi. C’è la frattura all’interno di ciascuna coalizione. Da una parte Enrico Letta e Giuseppe Conte marciano tutt’altro che uniti. Dall’altra, a parte Silvio Berlusconi ricoverato in ospedale e in via di ripresa, Matteo Salvini e Giorgia Meloni si comportano come i polli di Renzo. 

Come se tutto questo non bastasse, i capi partito debbono fare i conti con le correnti di partito. Al confronto dei Cinque Stelle, dove Conte e Di Maio non si guardano negli occhi ma nelle rispettive carotidi, il Pd assomiglia a una quadrata legione. Anche se, siamo giusti, il povero Letta ha le sue gatte da pelare.

Ma se Atene piange, Sparta non ride. Perché Forza Italia è divisa a metà come un cocomero tra salviniani e antisalviniani. Matteo Salvini deve vedersela da un lato con Giorgetti e dall’altra con i presidenti delle regioni del Nord, che in casa loro fanno il bello e il cattivo tempo. Luca Zaia più di tutti. A destra solo Giorgia Meloni comanda a bacchetta il partito come un sovrano assoluto. Ma tra lei e Salvini è una continua guerra dei nervi per la primazia della coalizione. Con il risultato che se l’uno dice una cosa, lei ne contrappone un’altra. E così di seguito all’infinito.

Del resto, già la prima votazione del 24 febbraio la dice lunga. Non è vero che non è successo niente di niente. Perché, a esser pignoli, lo scrutinio avrebbe dato esito positivo. Difatti con 672 voti, pari al quorum dei due terzi dei componenti prescritto nelle prime tre votazioni, è stata eletta la signora Bianca Scheda. Ma il presidente Roberto Fico non ha potuto procedere alla proclamazione semplicemente perché la predetta signora non è individuabile. 

E poi per la prima volta nella storia delle elezioni presidenziali i franchi tiratori, pari a ben 304, si sono materializzati non già a viso coperto ma a viso scoperto. I partiti hanno invitato i loro parlamentari a votare scheda bianca. Perciò coloro che hanno rispettato le direttive dei partiti sono entrati e usciti dalle cabine elettorali come i bersaglieri alla breccia di Porta Pia: a passo di carica. Mentre coloro che di quelle direttive si sono fatti beffa, si sono trattenuti in cabina per scrivere un nominativo.

La verità è che un considerevole numero di parlamentari non hanno ormai più nulla da perdere. Difatti la drastica riduzione dei membri delle Camere prevista dalla riforma elettorale fortissimamente voluta dagli apprendisti stregoni pentastellati, uomini boomerang per eccellenza, avrà l’effetto di lasciare a casa, anche tenuto conto dei saliscendi dei vari partiti, forse più della metà degli attuali componenti. E allora tanto vale buttarla in caciara, dare il voto ai personaggi più impensabili o scrivere sulla scheda frasi irriferibili che ne comportano la nullità. 

Presumendo una maggioranza sonoramente smentita da un politologo autorevole come Roberto D’Alimonte, il centrodestra ha proposto tre nomi. Forza Italia ha indicato Letizia Moratti, assessore e vicepresidente della Regione Lombardia; La Lega, l’ex presidente del Senato Marcello Pera; Fratelli d’Italia, l’ex magistrato Carlo Nordio. Bocciati dalla controparte perché proposti dagli avversari.

Adesso il gioco sembra svolgersi a parti rovesciate. Non a caso Enrico Letta ha proposto un sinedrio dal quale, tenuti a pane e acqua, i capipartito uscirebbero solo dopo essersi accordati sul nome del tredicesimo presidente della Repubblica. Campa cavallo, a questi chiari di luna. Sì, perché non solo non si è cavato un ragno dal buco nelle prime tre votazioni, nelle quali era prescritto il quorum dei due terzi dei componenti, ma anche la quarta votazione di giovedì, nonostante il quorum si sia abbassato alla maggioranza assoluta dell’assemblea, non ha sortito effetto.

A guardare il pelo nell’uovo, si è andati di male in peggio. Difatti alle 261 schede bianche imputabili a una parte del centrosinistra, mentre un’altra parte ha dato 166 voti a Mattarella, si sono aggiunti 441 astenuti del centrodestra che, indeciso sul da farsi non meno dei suoi avversari, ha scelto questa opzione al  fine di tenere fittiziamente unite le sue componenti. Non a caso l’astensione è stata considerata a buon diritto un’alternativa censurabile alla scheda bianca. Volta com’è, la predetta astensione, ad aggirare la segretezza del voto prescritta dall’articolo 83 della Costituzione.

Come quella di Badoglio, la guerra tra i due poli e all’interno di essi continua.

Fino a quando? 

 

Paolo Armaroli – Già Professore ordinario di Diritto pubblico comparato docente di  Diritto parlamentare nell’Università di Genova

 

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