Ho appena pubblicato un libro dal titolo “I segreti del Potere. Le voci del Silenzio” (Rai Libri). Una cartina geografica viva del sistema dei poteri nel nostro Paese, che si presenta come un’indagine su luoghi, settori, amministrazioni, enti (tramite la viva voce dei suoi protagonisti) su cui si insedia l’articolato sistema dei poteri italiani. Mi viene però a questo proposito una riflessione.
Da molto tempo il potere in questo strano Paese non era così concentrato nella figura del presidente del Consiglio come oggi. A parte il ministro dell’economia Giorgetti, il ministro Fitto che deve guidare l’implementazione del PNRR, o il ministro Crosetto, non è facile trovare concentrazioni di qualche forma di potere in altri ministri. Sembra che tutti abbiano giustamente sacro rispetto (se non in alcuni casi sacro timore…) del primo presidente del Consiglio donna italiano. Chissà se è questa una evidenziazione del fatto che quando una donna assurge al potere lo sa esercitare più e meglio di un uomo.
Forse lo stesso sfondamento del tetto di cristallo è il fattore che le attribuisce poteri quasi “straordinari”. La miscela di rispetto e timore verso il presidente del Consiglio, sembra poi diffusa anche in molti ambiti del Deep State, dell’alta amministrazione, delle partecipate pubbliche. Lo stesso Draghi, che pur gestiva il potere un po’ più attraverso il silenzio e la capacità di tenere le distanze, non ha mai assunto poteri del livello di quelli della presidente Meloni, anche perché si confrontava con i cinquestelle come partito di maggioranza relativa.
Detto questo la domanda sorge spontanea. Che bisogno c’è di procedere, come da progetto governativo, all’elezione diretta del premier se già un presidente del Consiglio che non dispone di una investitura diretta popolare assume in sé tutti questi poteri? D’altronde, a proposito di donne forti e di potere, sovviene l’esempio di Angela Merkel. La quale sulla base del sistema costituzionale tedesco non era certo eletta dal popolo, ma assumeva in sé una forte mole di potere ed autorevolezza.
La Merkel, forse è il premier (diciamolo per certi versi un po’ impropriamente), molto più della Thatcher, cui si può più paragonare per forza e potere la Meloni di oggi, e il suo “stato nascente”. A proposito del nostro sistema istituzionale, sembrano altri i correttivi necessari da addurre rispetto a quello dell’elezione diretta del premier… Abbiamo, infatti, uno dei parlamenti più deboli della storia repubblicana, che non è solo debole, perché man mano inondato dai decreti del Governo (una forte riprova della verticalizzazione dei pubblici poteri in atto), ma che è pesantemente indebolito e delegittimato dal fatto che i parlamentari (loro si che dovrebbero avere una qualche forma di investitura diretta, in quanto rappresentanti del popolo) sono invece di nomina dei partiti governativi e di opposizione, dei loro clan, dei loro cerchi magici, dei loro leader.
In queste condizioni, non è un caso che gli italiani abbiano preso, dalle ultime tornate elettorali, ad astenersi sino al 50% circa. In fondo nessuno ha “restituito lo scettro al principe”, che secondo la formula di Gianfranco Pasquino dovrebbe essere il cittadino-elettore. Rischiamo addirittura di avere in prospettiva, sulla base del progetto di riforma istituzionale del governo, maggioranze parlamentari del 55%, senza che nessuno abbia visto in faccia i parlamentari fino al giorno delle elezioni. Alla luce dell’esigenza di assumere le decisioni in modo veloce ed appropriato e di rispondere alle emergenze, potrebbe anche essere che la concentrazione forte del potere nelle mani di una “super premier” possa essere una soluzione accettabile, ma pur in questo scenario il Parlamento, qualche ruolo di controllo lo dovrà pure assumere. E cosa potranno fare parlamentari nominati dalla stessa premier che dovrebbero, invece, controllare?
La soluzione è semplice e coinvolge una riforma non di rango costituzionale, ma ben più significativa di quella dell’elezione diretta del premier. Ovvero, restituire agli elettori quel piccolo scettro che era il sistema delle preferenze, oppure prevedere un sistema di piccoli collegi come in Gran Bretagna. Nel modello inglese, infatti, c’è un premier, in qualche maniera eletto dal popolo, ed in cui c’è un rapporto diretto tra eletti ed elettori in cui si contribuisce davvero a scegliere i propri rappresentanti.
Non è che qualcuno ha sbagliato la mira puntando ad un’elezione diretta del premier per dargli poteri di cui già in larga parte dispone anche troppo, invece di puntare ad un riavvicinamento tra elettori ed eletti? Un Governo forte già ce lo abbiamo. Ma nelle democrazie moderne, comprese quelle ad impronta presidenzialistica, non ci può essere un Governo forte senza avere un Parlamento forte. Simul stabunt simul cadent, recitava un vecchio brocardo latino, di cui servirebbe riscoprire l’attualità. Molto probabilmente sarebbe proprio questa la pista da seguire…
Luigi Tivelli – Grand commis d’Etat, saggista, scrittore, presidente dell’Academy di cultura e politica “Giovanni Spadolini”