Benedetto XVI è stato un Profeta del nostro tempo, un Maestro nella Chiesa, un Padre per tutti.
Il suo più rinomato biografo, Peter Seewald, ha scritto che per alcuni è stato un personaggio scomodo che inquietava i suoi avversari e ricordava – citando il filosofo francese Bernard-Henri Lévy – che il suo nome suscitava pregiudizi, falsità e perfino disinformazione.
In verità, ha scritto ancora Seewald, «Ratzinger ha affascinato con i suoi modi nobili, il suo spirito elevato, l’onestà delle sue analisi, la profondità e la bellezza delle sue parole. Il suo messaggio può essere scomodo, ma è fedele all’insegnamento del Vangelo, alle dottrine dei Padri della Chiesa e alle riforme del Concilio Vaticano II» (Benedetto XVI – Una vita, Garzanti 2020). Un giudizio che ritengo esatto, anche per la conoscenza diretta che ho avuto di questo «grande Papa», come lo ha chiamato il suo successore, Francesco.
Sì, Benedetto XVI è stato un profeta del nostro tempo. La storia della profezia nella Sacra Scrittura è legata alla relazione tra Dio e il suo Popolo. Dio ama, Dio è geloso, Dio richiama continuamente alla conversione. Benedetto XVI ha avuto questa missione per mezzo secolo a cavallo tra il XX e il XXI secolo, un’epoca di grandi trasformazioni della società, rivoluzionata dalla ricerca scientifica, dalla tecnologia quasi onnipotente, e dalla perdita del sacro. Egli è stato testimone e parte di un secolo complesso.
Come professore e giovane collaboratore al Concilio Vaticano II ebbe pienamente il sensus Ecclesiae che è alla base di ogni vera ecclesiologia, scostandosi da coloro che volevano una rottura tra passato e futuro; amò, interpretando in modo adeguato, la divina Rivelazione nella sua duplice economia di eventi e parole; in accordo allo stile e al dettato biblico, Benedetto XVI ha fatto risaltare la percezione dell’attualità religiosa in relazione al pensiero politico e sociale; il Vangelo e l’alta tradizione patristica divennero il riferimento costante per arricchire il suo messaggio alto e comprensibile al tempo stesso; sapeva mostrare, per così dire, il dito della presenza di Dio nella storia.
Accogliere la divina Rivelazione con l’obbedienza della fede, senza venir meno al ruolo dell’intelletto e della volontà, fu per Benedetto XVI una costante, toccando il culmine nel suo parlare di Gesù, fonte e vertice della Rivelazione; come pochi, egli ha mostrato la ricchezza e la bellezza di Cristo nella sublime trilogia: “Gesù di Nazareth”; un’opera che rimarrà nella vita della Chiesa come il suo capolavoro spirituale al tempo stesso di elevato spessore culturale e teologico.
Ebbe molto a cuore il ruolo e il valore della sacra Tradizione originata dall’insegnamento apostolico; la Chiesa, come insegnava, progredisce nella verità per l’assistenza dello Spirito Santo attraverso la Sacra Scrittura e la memoria dei Padri: conservate, esposte e diffuse. Da questo Deposito sacro, Benedetto XVI originava il servizio al Magistero vivo della Chiesa, mai superiore alla Parola di Dio.
Giovanni Paolo II lo volle accanto a sé nel dirigere, per lunghi anni, la Congregazione per la Dottrina della Fede; poi, come Sommo Pontefice, divenne egli stesso l’attento Servus servorum Dei nella Chiesa e nel mondo. Nessuno potrà dimenticare le prime significative parole pronunciate in occasione della sua elezione al soglio di Pietro: “Dopo il grande Papa Giovanni Paolo II i signori cardinali hanno eletto me un semplice, umile lavoratore nella vigna del Signore. Mi consola il fatto che il Signore sa lavorare ed agire anche con strumenti insufficienti e soprattutto mi affido alle vostre preghiere nella gioia del Signore risorto” (19 aprile 2005).
I Profeti hanno l’umiltà trasparente, per questo o sono amati o sono odiati; l’umiltà di Benedetto XVI ha incontrato l’apprezzamento della gente, che lo ha amato profondamente; lo ha stimato perché egli parlava di Dio e della sua misericordia e ne ricordava la presenza. Coloro che hanno decodificato ogni aspetto della sua vita e del suo dire con occhio prevenuto, superbi di sé, ne hanno perso la grandezza d’animo.
Questo 265° Papa della Chiesa cattolica, Vescovo di Roma, ha avuto, dunque, la missione di parlare adeguatamente di Dio al nostro mondo secolarizzato e saccente. Lo ha fatto, al tempo stesso, in modo elevato (teologicamente parlando) e semplice, scrivendo omelie e discorsi. Nel suo pensare, ha mantenuto sempre una profondissima visione antropologica, mai distaccata dall’Eterno: “L’uomo perde se stesso quando dimentica il suo creatore, Dio. Dimenticando Dio non sa più decifrare il messaggio della sua natura, dimentica la sua misura e diventa per se stesso un enigma senza risposta” (J. Ratzinger – Benedetto XVI, per Amore, LEV-Cantagalli, 2019).
Ma anche in relazione alla natura, ha detto che “quando dimentichiamo Dio, le cose diventano mute, sono solo materiale per qualcosa, ma senza un perché vuoto di ogni significato profondo. Se ritorniamo a Dio le cose cominciano a parlare” (ib).
Benedetto XVI è stato un padre. La sua paternità era umile, manifestata quasi con pudore, eppure era diretta. Quanti lo hanno accostato, ne hanno riportato la percezione di un uomo amabile, mai enigmatico, mai doppiogiochista, mai ondivago tra una linea populista e mediatica, mai moraleggiante.
Ha amato il mondo perché malato e bisognoso di Dio. Sentiva che in questo la Chiesa ha un’alta missione. Percependo l’aiuto di un Dio, che diceva “inginocchiato” davanti a noi, ne adorava il mistero.
Va annoverato tra i giganti del nostro secolo. Tutti gli siamo grati, avendo ricevuto da lui il dono della sua testimonianza. Per un breve periodo anch’io mi sono rallegrato della sua vicinanza e ho usufruito dell’ombra di questa maestosa quercia, dapprima come Sostituto della Segreteria di Stato e poi come Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e questo mi ha permesso di divenire testimone del pensare e dell’agire di Benedetto XVI.
Ho pure goduto della sua amabile considerazione anche dopo la rinuncia al papato, e conservo, con profondo affetto, la memoria di vari incontri e di quei suoi brevi pensieri che accompagnavano il dono di alcune pubblicazioni con delicatezza: “Al caro amico”.
Sarà un Dottore della Chiesa.
Fernando Cardinale Filoni – Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro
(Testo ripreso dal sito OESS – Ordine equestre Santo Sepolcro)