Mostre a Roma/ Cinzia Di Puppo, “Ode all’amore”
Narrare, è parlare di noi, è raccontare al mondo noi stessi. Ci raccontiamo ogni giorno, perché nella relazionalità esistiamo e, mostriamo il nostro «essere» a quello altrui. Ognuno, con il proprio «rievocare», consapevolmente o incoscientemente, prova ad estrarre da dentro il suo spirito e, proprio nel mentre si accinge allo scandagliare in quella membrana sierosa del cuore, mentre siamo proprio intenti nell’atto dello «scavare», ci trasformiamo in provetti archeologi, concentrati nella ricerca, dentro l’universo del pericardio fibroso, intricato e segreto, vivo e abitato proprio in nell’universo di noi stessi. Poi, come tanti Schliemann, dall’analisi e dalla ricchezza della nostra «intima campagna», riportiamo alla luce piccoli e grandi «tesori nascosti» e; facciamo di tutto per «renderli noti»; ne disveliamo suoni, immagini, colori, gli «amori sempre amati» e custoditi, gelosamente proprio in quell’archivio sensibile e privato, che sta nei territori distesi al centro della nostra coscienza. Per questo, quando poi «il recupero» appartiene all’inquietudine e all’estro di un «umano sensibile», quando «il frutto» è l’arte che si svela », si manifesta e, compare incantevolmente innanzi agli occhi; non c’è quasi mai bisogno di aggettivi, né di contorsioni linguistiche, che lo qualifichino. «Un’opera, se è bella, non ha bisogno di parole. È bella. E sta in piedi da sola». Nonostante i trattati, al di là delle contorte oceaniche considerazioni, lungi dalle diatribe e dai contrasti fra le più agguerrite correnti di pensiero, lontano dai giudizi della critica militante; di quella prezzolata, di quella fuorviante del parlar forbito, di quella autoreferenziale capace solo di dire a se stessa; lontano dagli snob e dai dandy del settore, ben al di là della noia, della vita mondana della gente per bene; oltre le pesantezze della retorica, che – da tempo, purtroppo – hanno complicato e intasato, il campo dell’arte. Sappiamo