Troppe volte ci ostiniamo a cercare la profondità laddove non c’è, a esaltare come intuizioni fulminanti elucubrazioni mattocche, a elevare entusiasticamente prima per abbattere poi sonoramente quelle che sono sin dal principio mediocrità lampanti. Sono solo alcune delle cattive abitudini di tempi confusi, in cui si strologano senza sosta i pensatori e i pensieri del passato alla ricerca di non sappiamo neppure cosa. Non certo la soluzione che ci può fare svoltare, cambiare passo, entrare in tempi nuovi. Assediati da analisi e da approfondimenti spesso di una noia e una ripetitività letali, non osiamo cercare soluzioni ma semplicemente rinviamo azioni e procrastiniamo scelte, come se avessimo davanti tutto il tempo. E invece ogni istante che passa scava tra noi e il futuro un baratro che somiglia sempre più a certi orridi di cui non si riesce neppure a immaginare il fondo. Cerchiamo o fingiamo di cercare la formula risolutrice senza renderci conto che si tratta di una assurdità. Semplicemente perché la formula non è una sola, così come non lo sono le soluzioni possibili. Che non sono certo cristallizzate in un idilliaco passato e altrettanto ovviamente non ci attendono belle e pronte in un futuro qualsiasi. Tempi di confusione. Ci sovvengono le parole di Montale: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. La vera rivoluzione sarebbe incominciare a pensare che la provvisorietà in cui siamo immersi non è una condanna ma una opportunità. Insomma tutto è ancora, come sempre, possibile. Ciò ci sgraverebbe quantomeno dall’utopia di voler risolvere tutto e subito, che è poi il paravento di chi in realtà rifugge dall’azione (…tutto cambi affinché nulla debba mutare), e sfaterebbe il mito della ferrea programmazione come ricetta unica