Ho letto tempo fa che a furia di mangiare alimenti morbidi e raffinati la nostra dentatura si è indebolita rispetto a quella dei nostri progenitori. In effetti per minestrine ed omogeneizzati i denti non servono. Ciò dovrebbe farci riflettere seriamente sul rischio che la stessa sorte dei denti possa subirla anche il nostro cervello.
Non a causa di scelte culinarie, sia chiaro. Anche se sempre di cucina a ben vedere si tratta: il minestrone intellettuale e culturale che produciamo e consumiamo in effetti andrebbe tenuto sotto controllo così come si fa con il colesterolo.
Sgombero il campo da un dubbio che può legittimamente sorgere: non sono un sostenitore della “Cultura” elevata a divinità, cui possono accedere pochi eletti o chierici. Anche per una naturale allergia ai circolini esclusivi o alle parrocchiette.
Ma dobbiamo prendere atto, come da tempo hanno intuito alcuni pensatori, che la cultura sembra aver abbandonato questa parte dell’Occidente. Che di civiltà millenaria e profonda è stata prima culla e poi scuola. In un mondo dove i valori ormai latitano sarebbe fondamentale trovare un’autorità morale in un ambito culturale non asservito alla politicizzazione o agli interessi economici. Non è mai stata e non è una idea da ingenui.
Uno dei tanti problemi dell’Europa attuale, e in questa parola tanto liquida e labile rientrano senza dubbio tutti quei popoli e Paesi che hanno fatto parte anche del Centroeuropa, almeno come era sulla carta geografica fino al 1918, è proprio lo smarrimento prima e la progressiva dissoluzione poi di una propria elaborazione culturale. Colpa della globalizzazione certo e di tanti esagerati innamoramenti per modelli altrui, subiti passivamente. Ma anche di processi autodistruttivi, di malintesi sensi di colpa che hanno portato a voler riscrivere pagine di storia e soprattutto di un desiderio, non si capisce bene quanto conscio, di interpretare tutto nella maniera piu comoda e facile.
Ogni giorno sedicenti europeisti si esercitano in diatribe noiose, ripetitive e prive di senso sul presente e il futuro del continente. In Italia prevale un provincialismo ridicolo e retorico che sta in altalena tra una velleitaria voglia di grandezza e protagonismo e una penosa strumentalizzazione politica a favore di questa o quella fazione o leader.
Come europei finora ci siamo limitati a dire che esistiamo; adesso dobbiamo finalmente dire che cosa siamo. Perché, decisamente vittime di una omogenizzazione e banalizzazione del pensiero, dobbiamo riconoscere che tutto è partito dal progressivo degrado delle strutture educative, passando dalla rinuncia ad affrontare argomenti e problemi complessi per approdare al disinteresse totale rispetto alle questioni pubbliche.
Nel corso degli ultimi decenni abbiamo vissuto una profonda mutazione. I giornali, per fare un esempio, abbandonata la cronaca e il racconto del mondo (quello grande o quello sotto casa non fa differenza) hanno preteso di divenire epicentro del dibattito su qualsiasi argomento, dalla politica alla scienza, dalla moda alla cultura, dalla morale all’economia, finendo non per semplificare, e quindi ampliare la platea della partecipazione, ma per banalizzare e bruciare a tambur battente qualsiasi idea, qualsiasi intuizione. Creando appunto un minestrone insapore, che non soddisfa nemmeno più i clienti di bocca buona.
Le riviste culturali che hanno fatto grande la cultura europea e in alcuni casi hanno persino promosso vere rivoluzioni, soprattutto ad Est, sarebbero oggi più che mai utili. Certo dovrebbero essere staccate dalla politica e anche indipendenti da condizionamenti pubblicitari. Ma avendo noi perso la capacità di masticare saremo in grado di apprezzarle, e soprattutto di comperarle e leggerle?
Ci abbeveriamo a dibattiti televisivi che, per necessità del mezzo e delle leggi economiche che lo dominano, non sono mai veri confronti di idee. Al posto dei libri ci accontentiamo dei riassunti. Studiamo la storia attraverso gli sceneggiati e immaginiamo il futuro (ma anche il presente) con gli occhiali delle serie Tv.
Non discutiamo dei grandi temi ma della battuta quotidiana di modesti figuranti. Ci mancano i denti, e non solo per mordere, ci manca proprio la capacità di masticare. E a molti fa certamente comodo che ci siamo abituati a sorbire senza fiatare il piatto del giorno deciso da chissà chi.
La cultura dei popoli europei che ha radici profonde e intrecciate, oltre a tante sfumature di colore che sono una grande ricchezza, non può essere ancora a lungo soffocata da una grigia coperta. Che ci è stata troppo spesso presentata come un sistema per armonizzare le differenze e placare i contrasti. Mentre è in realtà solo una trappola che nasconde e allontana l’opportunità per i giovani di alzare lo sguardo verso nuovi orizzonti.
Maurizio Lucchi – Giornalista