“Andiamo nello spazio per salvare l’umanità. Una missione nella quale l’Italia è in prima fila”. Parla Umberto Guidoni

"Vedere il proprio pianeta da lontano significa vederlo fragile, piccolo e a rischio". Intervista all'astronauta italiano su ricerca spaziale e cambiamenti climatici, le mire di Elon Musk e la possibilità di incontrare nuove forme di vita

Umberto Guidoni Nasa

C’è stato un momento esatto, nella vita di ognuno di noi, in cui chiunque ha sognato di diventare un astronauta, di andare nello spazio. Noi, che prima ancora dell’inquinamento luminoso e sonoro, ci stendevamo sui prati a contare le stelle, e poi ricominciavamo dall’inizio di rientro nella nostra cameretta, quando spegnendo la luce sul comodino si illuminavano quelle artificiali attaccate sul muro. È stato un desiderio di tutti noi: attrezzarsi, partire, volare, avvicinarsi alle stelle, vedere la terra da sempre più lontano.

Sono pochi gli uomini e le donne che sono riusciti a realizzare quel sogno di bambino. Uno di loro, fra i più grandi della storia spaziale italiana, è Umberto Guidoni. Ricercatore, fisico e astrofisico, astronauta, parlamentare europeo, scrittore, divulgatore scientifico, uomo pluripremiato e decorato, Guidoni ha ancora oggi il sorriso aperto di un bambino che fantastica su una realtà lontana e gli occhi che brillano come le stelle.

L'astronauta e astrofisico Umberto Guidoni in missione

L’astronauta e astrofisico Umberto Guidoni in missione

 

Nonostante lo spazio sia ancora appannaggio di pochi, e il mestiere dell’astronauta rimanga decisamente elitario, sono molti oggi ad affacciarsi su questo mondo. La moda disegna le tute spaziali, scienza e medicina eseguono esperimenti per cercare di trovare – fra le altre cose – l’elisir di lunga vita, le imprese sviluppano sempre nuove tecnologie, le aziende costruiscono le diverse componenti di lanciatori e delle stazioni spaziali, la musica di David Bowie canta una missione, il cinema continua a rappresentare lo spazio e forme di vita aliene, dal primo film nel 1902 fino all’ultimo – The Challenge – girato interamente nello spazio, senza dimenticare l’intramontabile di Stanley Kubrick e il corto di The Skill Group presentato appena un mese fa alla Mostra del cinema di Venezia.

Fin dalla notte dei tempi l’uomo sogna di andare verso l’infinito e oltre. Mai come oggi, però, i viaggi spaziali sono stati tanto vicini. E allora, è necessario chiedersi: che cosa faremmo se potessimo andare nello spazio? C’è chi lo spazio lo ha conquistato e che ci racconta cosa significhi essere lassù, qual è il ruolo del nostro Paese e perché fare un giro in un’astronave sarebbe il più importante monito per salvare il pianeta Terra.

Professore, che cosa significa vedere casa da una posizione privilegiata come lo spazio?

“Vedere la propria casa, in questo caso il nostro pianeta, dal di fuori significa vederlo fragile, isolato nel buio dello spazio e, quindi, ancora più prezioso di come lo consideriamo sulla Terra. Guardando la Terra, così bella e colorata ma circondata da un buio senza fine, viene voglia di abbracciarla, perché sembra quasi che sia a rischio. E questa consapevolezza è comune a tutti coloro che sono andati nello spazio.

Cupola stazione spaziale

La Terra vista dalla cupola della stazione internazionale spaziale

 

Spesso si dice che i cambiamenti climatici porteranno dei danni per la terra, da qui il monito “salviamo il pianeta”: la vera affermazione, invece, dovrebbe essere “salviamo noi stessi”. Il pianeta sopravviverà a qualsiasi cataclisma: nella sua storia la Terra è passata attraverso glaciazioni che l’hanno resa quasi una sfera di ghiaccio e fasi di riscaldamento che hanno comportato la crescita delle palme in Antartide. Il fatto è che noi non c’eravamo: se fossimo stati lì non saremmo mai sopravvissuti. I cambiamenti climatici, quindi, non rappresentano un problema per il pianeta, ma per noi. E anche se crediamo di essere più smart e capaci di sopravvivere rispetto agli uomini della pietra solo grazie alle tecnologie odierne, sarebbe comunque un’esistenza di gran lunga peggiore di quella che conosciamo”.

 Un monito per salvare l’umanità attraverso il pianeta.

“Esatto. Una di quelle cose che si capisce guardandola da fuori è che non è infinita: è molto piccola. Così come non sono infinite le risorse a nostra disposizione. Gli astronauti vivono sulla stazione spaziale con la consapevolezza di dover riciclare e consumare il meno possibile, lo stesso dovrebbe accadere a casa. Anzi: sulla stazione spaziale ogni tanto qualcosa arriva da fuori con i veicoli di rifornimento. Sulla Terra non credo che sia possibile.

In virtù di tutto questo, se la prospettiva di fare un’esperienza nello spazio davvero si allargasse ad una platea sempre più vasta, forse avremmo maggiore forza nella battaglia di molti di proteggere questo nostro pianeta”.

Sperando che non sia troppo tardi.

“Questo purtroppo è un rischio che corriamo. Speriamo di diventare saggi ancora prima di toccarlo con mano, fidandoci di chi ci è stato e che lo racconta”.

 A proposito di cambiamenti climatici: costituiscono un problema in campo spaziale?

“Non dovrebbero essere un problema. Anche se, c’è da dire, quasi tutte le basi si trovano vicino al mare: quindi, nel caso di innalzamento del livello delle acque si creerebbe un problema, ma non siamo ancora a quel punto. Invece, le molte missioni spaziali e, soprattutto, i tanti satelliti in orbita che osservano la terra, sono un elemento molto importante per combattere i cambiamenti climatici o, meglio, per rendere gli effetti meno gravi. I satelliti, infatti, si occupano di controllare le condizioni generali, ad esempio di temperatura e inquinamento, di prevenire e, ancora, di intervenire per contrastare un evento catastrofico”.

Umberto Guidoni Nasa

Umberto Guidoni (al centro) alla Nasa nel 2001 con i colleghi Kent V. Rominger, Jeffrey S. Ashby, Yuri V. Lonchakov, Scott F. Parazynski, , Chris A. Hadfield e John L. Phillips

 In quale modo possono essere contrastati?

“La Nasa, un paio di giorni fa, ha rilasciato una mappa dettagliata degli oceani e del loro livello di riscaldamento: questo aiuta a capire come i modelli che si vengono a costruire siano efficaci nella previsione.

Purtroppo, mi rendo conto che il grido di allarme – se così si può chiamare – fatto da scienziati e istituzioni che controllano a livello internazionale i cambiamenti climatici, non ha mai avuto una risposta adeguata da parte della politica, però quei dati diventano sempre più forti. Non è più solo un grido di qualche scienziato pazzo, ma un dato di fatto registrato continuamente dai satelliti. Questo andamento verso il riscaldamento non è solo maggiore di quello previsto, ma è sempre più reale: lo vediamo nella energia con cui si formano gli uragani, ad esempio”.

Professore, parliamo adesso del nostro Paese. Qual è il ruolo dell’Italia nel comparto spaziale?

“Il ruolo dell’Italia è sicuramente importante: lo è stato in passato e lo sarà ancora di più sia oggi che in futuro grazie ad aziende come la Thales Alenia Space, che partecipa a molti programmi della Nasa, oltre che a quelli dell’Agenzia Spaziale Europea. Siamo senza dubbio posizionati fra i primi Paesi europei e, sicuramente, fra quelli con una esperienza ormai decennale nel campo spaziale, compreso gli astronauti”.

 Di che cosa ci occupiamo?

“L’Italia ha una competenza a vasto raggio. Mi riferisco soprattutto alla costruzione dei vettori, cioè dei razzi che portano i satelliti in orbita: pensiamo al Vega, appartenente ad un programma dell’Agenzia Spaziale Europea, fatto in gran parte nella nostra penisola, non solo nelle componenti, ma soprattutto nella tecnologia.

Inoltre, partecipa e ha partecipato alla stazione spaziale internazionale: diversi moduli della stazione sono stati infatti realizzati nel nostro Paese. Io stesso, nel 2001, ho avuto il privilegio di portare nello spazio proprio un modulo italiano, che si chiamava Raffaello, e che serviva per il rifornimento della stazione spaziale internazionale, quindi per portare agli astronauti cibo, acqua ed esperimenti”.

Guidoni satellite spazio

Un satellite in orbita intorno alla Terra

Si avvicina il primo lancio autonomo dell’Europa allo spazio, proprio con il Vega-C che citava poco fa: che cosa comporta?

“Vega, giunto già alla generazione successiva denominata C, è uno dei lanciatori dell’Esa e si occupa di portare in orbita i satelliti più piccoli e compatti. Molti e diversi, in particolare, sono i lanciatori di cui dispone l’Agenzia Spaziale Europea: per molto tempo è stato usato Arianna, che adesso è arrivato alla versione 6, utile invece per i carichi più grandi”.

E quali le prospettive per il futuro?

“L’Italia è partner della Nasa nel nuovo programma di esplorazione lunare Artemis e, in questa veste, partecipa alla realizzazione di quella che si chiama “Lunar gateway”, cioè la base che sarà realizzata intorno alla luna entro la fine di questo decennio. I moduli sono oggi in fase di preparazione a Torino.

Il ministro Urso parla di grandi opportunità dell’economia spaziale per l’Italia, al punto che vuole sviluppare sempre più il settore. Qual è, secondo lei, la strada da seguire?

“La tradizione di cui abbiamo parlato fino ad ora ha visto quasi sempre grandi progetti fatti da agenzie spaziali nazionali (quella italiana, quella europea o anche in partecipazione con la Nasa). La novità, credo, che stiamo vivendo in questi ultimi anni è il ruolo dei privati: sempre più aziende private stanno investendo su tecnologie spaziali. Ciò che può dare ulteriore sviluppo alla presenza italiana nel comparto è proprio quella di veder nascere delle start-up, delle nuove compagnie private, che già esistono ma che potrebbero avere un ruolo ancora più importante nei prossimi anni. È il momento, quindi, di pensare anche ad aspetti che riguardano la possibilità di creare condizioni per sviluppare queste nuove realtà private”.

L'area del Nilo vista dalla Stazione spaziale internazionale

L’area del Nilo vista dalla Stazione spaziale internazionale

Anche il governo sta allocando ingenti fondi nel comparto spaziale, penso al PNRR Space. Quale la strada da seguire?

“Abbiamo bisogno di creare delle sinergie – per adoperare una parola decisamente abusata – fra pubblico e privato in modo tale da continuare a far nascere e poi sempre più sviluppare delle start up specializzate in vari settori, come le telecomunicazioni, il recupero dei satelliti o, ancora, il rifornimento di quelli già presenti in orbita. Insomma, si stanno aprendo nuove categorie di attività nello spazio che prima erano impensabili ma che oggi diventano possibili, sia perché i costi di lancio si stanno abbattendo, sia perché le tecnologie sono sempre più miniaturizzate, quindi il peso da portare in orbita è minore”.

Siamo vicini ad avere la prima legge quadro del comparto (che sta seguendo oggi il proprio iter parlamentare). Di cosa abbiamo bisogno?

“Innanzitutto, abbiamo bisogno di una strategia a lungo termine, perché le attività spaziali richiedono traguardi di almeno un decennio: deve essere dunque qualcosa che guarda lontano. Ancora, abbiamo bisogno di far crescere – come ho detto poco fa – il settore privato, dobbiamo renderci maggiormente attrattivi verso sempre nuovi investimenti.

E poi, credo, quello che serve assolutamente è stabilire delle regole ed il problema, ovviamente, non è solo italiano. La presenza di soggetti privati ha cambiato completamente l’accesso allo spazio, che è sempre stato regolato da accordi risalenti agli anni ’60. Nel momento in cui lo spazio diventerà un ambiente commercialmente importante bisognerà regolamentare tutte le possibili attività: e questo va fatto da enti pubblici”.

Storicamente, infatti, le missioni spaziali sono sempre state appannaggio dei governi ma, negli ultimi anni, si sono fatti strada anche i privati: penso a Jeff Bezos, a Elon Musk… Che cosa cambia adesso?

“L’accesso allo spazio è diventato più facile rispetto a pochi anni fa: ci sono più missioni, più opportunità, soprattutto ci sono più finanziamenti e più innovazione grazie all’arrivo di questi nuovi soggetti, che hanno accelerato lo sviluppo tecnologico molto rapidamente.

Musk spazio

Elon Musk, patron della Tesla

 

Quello che serve è una regolamentazione che valga per tutti. Fino ad ora le regole (generali) erano state stabilite da e per enti pubblici, per i privati invece non esistono. Anche se, stando le cose come stanno, l’ente che vigila sui voli spaziali negli Stati Uniti è l’FAA (Federal Aviation Administration) ed è la stessa che controlla i voli di linea: già questo crea un problema, non essendo attrezzati a gestire i voli spaziali. Bisogna quindi trovare un ente di questo tipo, ma nel campo spaziale che stabilisca delle linee guida.

Che cosa succede se un privato danneggia un altro satellite? Si tratta di un problema che non ci siamo mai posti. Fino ad ora, i responsabili di ciò che accade nello spazio sono gli Stati da cui partono. Poniamo, ad esempio, che Elon Musk crei un danno: tecnicamente, dovrebbe pagare il Governo americano, ma crede che gli Stati Uniti si accollerebbero tale responsabilità e tali costi? Evidentemente, non può andare avanti così. Bisogna riscrivere un po’ le regole e, soprattutto, bisogna essere molto rigidi sulle questioni di sicurezza. Vogliamo evitare che lo spazio diventi un far west in cui chiunque possa lanciare senza guardare agli aspetti della sicurezza, sia degli esseri umani sia delle tecnologie usate.

L’altro aspetto, ancora, è la sostenibilità. Siamo già arrivati a decine di migliaia di lanci previsti nei prossimi anni: ecco, questo è un numero che inizia ad avere un impatto anche sull’ambiente, e su questo dobbiamo ragionare”.

Quali le conseguenze sull’ambiente?

“Le conseguenze possono essere sia per i gas rilasciati nella fase di lancio, sia soprattutto per quelli emessi durante il rientro. Quando migliaia di satelliti rientrano in atmosfera, bruciandola, vengono rilasciati una serie di inquinanti.

Segnalo solo che Musk pensa di mettere qualcosa come 40mila satelliti in orbita intorno alla terra, e che questi verranno aggiornati ogni 5/10 anni. Come eliminare i vecchi e immettere i nuovi? È una questione che le regole dovrebbero stabilite. L’idea di mettere i satelliti non più operativi in una specie di cimitero di ferro vecchi potrebbe essere una soluzione. Oppure, qualcuno ha avanzato l’ipotesi di andare a recuperarli e portarli a terra. Sono tutte questioni per cui, prima che diventi molto complicato, bisogna intervenire per stabilire delle regole”.

Qualche giorno fa si è svolto il G7 a Verona su Industria e Spazio per allineare gli sforzi comuni. Che cosa ne pensa?

“Sicuramente è una cosa auspicabile. In realtà, lo spazio è uno dei pochi luoghi in cui l’Europa ha iniziato a collaborare già prima della nascita dell’Unione europea. La tradizione di collaborazione è ormai decennale ma, purtroppo, ancora sussistono dei problemi, ad esempio per come queste collaborazioni vengono gestite. Ed è una questione sulla quale è urgente lavorare.

L'Endeavor in missione (Nasa)

L’Endeavor in missione (Nasa)

 

Ancora, è necessario trovare un legame più stretto fra l’attività spaziale dell’Esa, che è l’ente che – appunto – esiste addirittura prima della Ue, con i programmi dell’Unione Europea stessa. Faccio un esempio su tutti: il sistema spaziale Galileo è gestito dall’UE ma di fatto e materialmente è stato realizzato dall’Esa. Ecco, questo tipo di rapporto va reso più efficiente e più snello, perché per il futuro è proprio questa la prospettiva: quella per cui le agenzie nazionali, come l’Asi (Agenzia Spaziale Italiana), lavorino all’interno di un progetto più grande, di tipo europeo. L’Italia ha ottimi rapporti con l’Esa, tant’è che siamo il terzo Paese più importante all’interno dell’agenzia, però dovremmo trovare il modo di far funzionare bene questo aspetto con l’Unione Europea e con i suoi programmi in campo spaziale”.

Qual è la differenza fra Esa e Nasa? Sicuramente, la prima è un consorzio partecipato da più Paesi, mentre la seconda è di tipo governativo, ma in quale modo differiscono nel proprio funzionamento?

“La differenza fondamentale è proprio questa. Ma ce n’è una meno evidente che, in qualche modo, ha influenzato le scelte politiche dell’Esa: la Nasa nasce per il volo umano, per portare, cioè, gli astronauti nello spazio, mentre l’Esa nasce, allora giustamente, per attività scientifiche, mentre l’aspetto del volo umano è arrivato più tardi. Sostengo, e non sono il solo a farlo, che l’Europa dovrebbe dotarsi di un veicolo capace di trasportare gli astronauti: ce l’hanno gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, fra poco lo avrà anche l’India, mentre l’Europa è ogni volta ospite di altri. Credo che questo sia un elemento importante anche nella visione di creare quella prospettiva europea di cui parliamo sempre, di sentirsi cittadini dell’Europa: cerare questo tipo di sensibilità riguarda anche la capacità di avere un nostro programma spaziale umano europeo”.

Parliamo di un’altra Europa, la Luna di Giove: che cosa ci aspettiamo?

“Quella su Europa è una missione davvero interessante. Per la prima volta andiamo su una Luna di Giove che sappiamo essere promettente dal punto di vista della possibilità di vita.  È bene fare una premessa: non troveranno la vita né sopra né sotto quello spesso strato di ghiaccio, ma l’intento è quello di scoprire se esistono gli elementi costitutivi della vita stessa, come l’ossigeno, il carbonio e il fosforo. Dall’orbita, quindi, si riuscirà a carpire informazioni importanti che ci diranno se davvero Europa potrebbe essere un ambiente adatto alla vita.

Italia spazio

L’Italia settentrionale vista dallo spazio, di notte

 

Europa, inoltre, non è l’unico satellite in queste condizioni: ce n’è un altro intorno a Saturno, Encelado, che sembra addirittura più promettente. Stiamo insomma cercando di capire se potrebbe essersi sviluppata da qualche altra parte una forma di vita. Anzi: c’è addirittura qualcuno che sostiene che la vita sulla Terra sia arrivata da fuori.

È sicuramente un passo in avanti per trovare il nostro posto nell’Universo”.

 

Irene PerfettiGiornalista

 

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