“Senatori a vita visti da vicino. Da Andreotti a Segre, da Fanfani a Spadolini”: il libro di Paolo Armaroli, di cui abbiamo pubblicato martedì la recensione, è stato presentato lo stesso giorno nella Sala capitolare che fa parte del servizio della Biblioteca del Senato, diretta dal professor Francesco Pappalardo.
L’incontro, moderato con il suo stile consueto di brio e rigore da Gianni Letta, maestro di giornalismo dello stesso Armaroli, quando era direttore del Tempo, ha registrato apprezzamenti calorosi al libro, perché documentato, scritto con arguzia, nutrito di “dottrina ironica” ( come ha detto l’ex presidente del Senato Marcello Pera), o di “ironia dottrinaria”, come ha variato Letta). Apprezzamenti condivisi da quelli che Armaroli chiama nel libro a loro dedicato “i tre moschettieri del diritto costituzionale”: Giuliano Amato, Sabino Cassese ed Enzo Cheli (il primo dei tre non era fisicamente presente e ha mandato un messaggio di elogi e di plauso).
Alla fine il dibattitto si è concentrato, soprattutto dopo un puntuto intervento di Pierferdinando Casini, su una questione, che banalmente riassumiamo in questa domanda: ma questi senatori a vita, previsti già dallo Statuto Albertino e poi reintrodotti dall’Assemblea Costituente nella nostra Costituzione, a che servono? Il loro ruolo come si giustifica rispetto agli altri senatori, e parlamentari, che sono elettivi e non nominati? Soprattutto quando sono chiamati a votare, soprattutto in occasioni politicamente decisive come il voto di fiducia, il loro voto, quale che sia, non rischia di influenzare e quindi alterare, specialmente se risulta numericamente decisivo, gli equilibri del quadro politico che è uscito dal voto popolare?
La miccia di questo discorso l’ha accesa Casini, che ha chiesto di parlare per primo (invece che per ultimo, come da programma, per le conclusioni). L’ex esponente democristiano ha fatto presente che il problema dei senatori a vita ora si pone più che mai all’attenzione dopo che il Parlamento è stato numericamente ridotto (400 deputati invece di 630) 200 senatori invece di 315.
C’è insomma un problema delicato di equilibri politici che attiene alla rappresentanza: il Parlamento è l’espressione massima della sovranità popolare che delega appunto ai suoi rappresentanti – ELEGGENDOLI – il potere legislativo.
Casini ha poi toccato un altro punto del libro di Armaroli sostanzialmente esprimendo riserve su alcune classificazioni fatte dall’autore rispetto ai politici nominati senatori a vita. All’ex presidente della Camera non è piaciuta l’etichetta di senatori a vita “abusivi” per i personaggi della politica nominati dai vari presidenti della Repubblica.
La tesi di fondo di Armaroli, infatti, è che nel corso degli anni i presidenti della Repubblica (con l’eccezione di Einaudi) hanno sì nominato senatori a vita cittadini italiani che hanno illustrato la Patria, come afferma l’articolo 59 della Costituzione, per meriti letterari, artistici, scientifici. Ma poi, appellandosi ai “meriti sociali”, anch’essi previsti per la nomina presidenziale, hanno nominato senatori a vita personalità, beninteso, degnissime, ma del ceto politico: come Andreotti, Fanfani, Nenni, De Martino, Valiani, Colombo e altri.
Incidentalmente, si sa che Andreotti quando seppe che Cossiga l’aveva nominato senatore a vita, ebbe un moto di disappunto: Andreotti era il re incontrastato delle preferenze e sempre il più votato, e certo non aveva bisogno di un laticlavio a vita. Altra “stranezza” fu nominato senatore a vita un personaggio come Fanfani mentre del Senato era addirittura il presidente. A guardare le cose da lontano questi fenomeni, e non da vicino come Armaroli, sembrano, al di là del valore delle persone, oggettivi casi di autocoptazione del ceto politico, o di autocelebrazione.
I politici, ci permettiamo di osservare, si debbono cimentare con gli elettori: se vengono votati governano o fanno l’opposizione; se hanno governato bene li giudicheranno gli elettori, il premio sta nell’aver riavuto il consenso.
Diverso il discorso per i senatori a vita. Nominati per meriti scientifici ecc. Loro sono personaggi fuori dalla politica militante, si occupano di scienza, di arte, di economia, di letteratura, anche di società per esempio. Personaggi come De Rita, che hanno scandagliato per decenni il sottosuolo della società italiana con capacità da rabdomante, sono le figure che potrebbero rientrare nei cosiddetti “meriti sociali”, oltre che, naturalmente, scientifici. Ma De Rita non l’hanno nominato (ancora).
Ma tornando a Pierferdinando Casini, si è lamentato che nella cerchia degli abusivi fosse stato inserito Emilio Colombo; il primi italiano ad aver ricevuto il prestigioso premio “Carlo Magno” per meriti europei.
Ma non è stato solo Casini ad animare e forse anche un po’ a deviare il discorso sul libro focalizzandolo sul ruolo dei senatori a vita, così sottraendo l’attenzione a tanti gustosi episodi raccontati nel libro.
L’altro motivo di perplessità risiede nella scarsa presenza dei senatori a vita ai lavori parlamentari, con casi clamorosi come quelli di Renzo Piano e Carlo Rubbia, mentre è stata oggetto di un corale elogio la senatrice Elena Cattaneo, un modello di presenza e partecipazione. Una donna – ha detto Gianni Letta – che onora non solo la scienza e il Senato, ma cerca di raccordare questi due mondi. I Padri costituenti, ha detto ancora Letta con un omaggio non solo galante alla senatrice Cattaneo – quando hanno delineato il profilo del senatore a vita avevano in mente un personaggio come lei.
I mondi della politica e della scienza, ha affermato la sen. Cattaneo in un appassionato intervento, sono po’ distanti, poco comunicanti. La politica, ha detto, deve avere il primato, e capacità decisionale, la scienza ricerca e dà informazioni. Ma non sempre, anzi non spesso, la politica quando prende le decisioni tiene in considerazione le indicazioni della scienza.
Ma anche un altro punto dolente è stato caricato sul ruolo dei senatori nominati dai presidenti della Repubblica: il fatto di essere “a vita”. (come il capo della Corte Suprema degli Stati Uniti, per esempio).
Ebbene, se ci pensiamo, nelle democrazie moderne –ma anche nell’antica Roma – gli incarichi elettivi hanno una durata limitata, rinnovabile ma sempre limitata. L’”anomalia” dello status dei senatori a vita è quella che questi personaggi (eminenti) si trovavo in un consenso (il Senato) che viene eletto, scelto dai cittadini con il voto.
Fu questa perplessità di fondo a far discutere a lungo l’Assemblea Costituente dove stava prevalendo l’orientamento di lasciar perdere, di non perpetuare l’istituto che già era previsto nello Statuto Albertino, e ciò per la sinistra era già sufficiente questa circostanza per non farne nulla.
Ma poi ci fu chi fece presente, l’on. Alberti con una sua proposta, che bisognava dare un riconoscimento a personalità che mai sarebbero scese nell’agone elettorale e mai sarebbero andate in Parlamento; e quindi facendoli senatori a vita sarebbe stato un doveroso riconoscimento agli altissimi meriti verso la Patria. Per far passare questa linea fu determinante l’intervento di Palmiro Togliatti, che non era solo un segretario di partito e un leader politico ma anche un fine intellettuale.
Ma come risolvere il problema del carattere vitalizio della nomina?
A vita può essere di fatto una anomalia, e forse dovrà essere oggetto di discussione durante i lavori di riforma costituzionale che si faranno. Nell’antica Roma, ha ricordato Sabino Cassese, gli incarichi duravano un anno; certo oggi, con la complessità dei tempi moderni e della società, sarebbe impossibile fare qualsiasi programmazione con un mandato così breve (ad esempio, Craxi, quando nei primi anni Ottanta si delineò la possibilità che guidasse un governo, fece presente alla Dc che il tempo minimo di durata sarebbe dovuto essere almeno tre anni, come chiederebbe – disse – un serio professionista).
Enzo Cheli ha suggerito una ipotesi: se la carica non fosse a vita, invece di nominarne cinque se ne potrebbero nominare anche di più. Su questo punto le varianti potrebbero essere più d’una: facendo coincidere la durata dei senatori a vita con quella delle legislature? E naturalmente scegliendo le persone sempre per altissimi meriti ma tenendo conto anche del pluralismo culturale e politico?
È materia di costituzionalisti e di legislatori. Ma una cosa ormai si va delineando, in questi tempi di smitizzazioni e di idoli in discussione.
Ammoniva Flaubert: non bisogna toccare gli “idoli; resta sempre un po’ di doratura tra le mani”.
Mario Nanni – Direttore editoriale