Senatori a vita, come li vede “da vicino” Paolo Armaroli. Da Andreotti a Fanfani da Spadolini a Segre

Un saggio da leggere su queste figure previste dalla nostra Costituzione (ma anche dallo Statuto albertino)

CulturaPolitica

La forzatura interpretativa dell’articolo 59 tentata da Pertini. Il gran rifiuto di Arturo Toscanini alla nomina decisa da Einaudi. Il disappunto di Andreotti quando apprese la nomina, che lo strappava al suo amato collegio elettorale. La battuta del morente Trilussa a chi gli andò a comunicare la nomina: senatore a vita? Senatore a morte! Il no poi trasformato in sì, con l’assenso di Togliatti, dell’Assemblea costituente alla istituzione della figura del senatore a vita. Il punto dolente della presenza dei senatori a vita e della partecipazione ai lavori del Senato. La delicata questione, dai riflessi politici non secondari, della loro partecipazione a votazioni politicamente decisive, per esempio le mozioni di fiducia.

La estensiva interpretazione dell’articolo 59 della Costituzione fatta da alcuni presidenti della Repubblica per cui sono stati nominati senatori a vita tanti esponenti della politica attiva o addirittura (Fanfani) presidenti in carica di Assemblee parlamentari.

C’è questo e molto più di questo nel nuovo saggio che Paolo Armaroli, professore emerito di Diritto comparato, docente di Diritto parlamentare, e già deputato, nonché prolifico scrittore, ha dedicato ai 38 senatori a vita della storia della Repubblica.

Un volume, pubblicato dal suo editore abituale, La Vela, di Lucca, di circa 450 pagine, che reca la dedica a Giuliano Amato, Sabino Cassese e Enzo Cheli, “i tre moschettieri del diritto costituzionale e di molto altro ancora”. Personaggi che non hanno bisogno di presentazioni e ai quali l’autore, oltre che per colleganza universitaria e di studi, si rivolge per consigli e pareri. Spero di non commettere indiscrezione sgradita se scrivo che l’autore, incline al bon mot, in un primo momento aveva pensato, riferendosi per esempio a Trilussa, ma anche ad altri senatori morituri, di intitolare il libro: Senatori a.. morte. Ma poi dai suoi colleghi ne fu dissuaso. La superstizione è ancora forte e diffusa in questo Paese. Siamo andati sulla luna, ma per certi atteggiamenti psicologici, l’uomo moderno ha reazioni da uomo primitivo.

Per gustare questo saggio, scritto con la sua solita penna acuminata e documentata, secondo il noto stile di Armaroli, che orgogliosamente si fregia di essere stato un allievo di Montanelli e di aver passato anni nella sua “scuola”, occorre aver presente cosa prevede l’articolo 59 della Costituzione:

È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico, letterario (il neretto è nostro, NdR).

All’Assemblea Costituente, intervenne, tra gli altri un sostenitore della nomina dei senatori a vita, l’on. Antonio Alberti nella seduta del 24 settembre del 1947, si era ormai agli ultimi mesi dei lavori: (occorre) “Assicurare ai sommi, ai geni tutelari della Patria… una tribuna che essi non hanno… sarebbero non più di cinque i personaggi illustri che il Presidente dovrebbe esaminare”.

Il senso di questo riconoscimento, poi trasfuso nell’articolo 59, è chiaro: esso va a personalità della cultura, della scienza, dell’arte (meriti nel campo scientifico, artistico, letterario).

Ma nell’articolo c’è quella parolina “sociale” (nel campo sociale), che farebbe pensare a benefattori dell’umanità, grandi medici, mecenati, apostoli della generosità e del bene della gente.

Invece, che cosa è accaduto? Nella rete del sociale sono finiti i politici, molti esponenti politici: Armaroli, non ha alcuna esitazione a definirla una forzatura, anzi titola un capitolo con una termine inequivoco: “Quegli abusivi dei politici per vocazione”.

Naturalmente, la… “colpa” di queste nomine “forzate” non è di quei politici che sono stati nominati senatori a vita, semmai, sia detto con rispetto, dei presidenti della Repubblica che hanno interpretato quel termine “meriti sociali” in modo forse troppo estensivo. Einaudi, fa notare Armaroli, fu il presidente che più si attenne alla interpretazione autentica dell’articolo 59.

(In un’appendice del libro, c’è opportunamente un prospetto con le nomine dei senatori da parte di ogni presidente della Repubblica).

Perché allora li nominarono? Leggendo i paragrafi che Armaroli dedica ai politici onorati del laticlavio di senatori a Vita, il lettore si fa già un’idea, lasciando al lettore di trarre le sue conclusioni. Opportunità politiche? Equilibri del momento? Compensazioni per insuccessi subiti? O per servizi resi allo Stato?

Vediamo questo elenco che ci propone Armaroli:

Andreotti, un senatore a vita suo malgrado (e lo abbiamo spiegato perché);

Emilio Colombo, un premio alla Carriera;

Francesco De Martino, la suocera di Berlusconi;

Amintore Fanfani, il Rieccolo di Indro;

Giovanni Leone, il tappabuchi balneare;

Cesare Merzagora, un presidente del Senato controcorrente;

Mario Monti, le metamorfosi di un economista;

Giorgio Napolitano, un intermezzo a Palazzo Madama;

Pietro Nenni, un militante per il socialismo e la democrazia;

Giuseppe Paratore, un difensore del pubblico denaro;

Ferruccio Parri e la bestia nera del centrosinistra;

Camilla Ravera, una femminista comunista espulsa dal Pci;

Meuccio Ruini, viva vox Constitutionis;

Giovanni Spadolini,una sola sconfitta dopo tante vittorie;

Luigi Sturzo, il critico di Sua Maestà la Partitocrazia;

Paolo Emilio Taviani, un “pontiere” sul viale del tramonto;

Leo Valiani, un combattente indomito e irrequieto.

Questo libro sui senatori a vita, come già quello precedente sui presidenti della Repubblica, si vede che è stato scritto da Armaroli, oltre che con la sua nota competenza, anche con qualche slancio giocoso. E l’autore quasi si diverte con le classificazioni.

Per esempio in un capitolo “i senatori in fin di vita” inserisce il già citato Trilussa, Vittorio Valletta, l’uomo Fiat, Mario Luzi, “un ermetico ma non troppo sulle rive dell’Arno, Claudio Abbado”, un paradiso cubano per il Maestro.

Ma non nasconde una certa severità per certi senatori poco presenti o completamente assenti, come Renzo Piano, “l’architetto giramondo”, Carlo Rubbia, un Nobel per la Fisica sul lago di Ginevra, Norberto Bobbio, uno scienziato della politica a disagio a Palazzo Madama.

 

Renzo Piano

 

Mentre plaude ai “benemeriti del Senato”, in un elenco che comprende Carlo Bo, Pietro Canonica, Gaetano De Sanctis, Elena Cattaneo, Liliana Segre, Umberto Zanotti Bianco.

Ma c’è stato anche chi ha detto no alla nomina: Toscanini, Montanelli e Nilde Iotti

 

Nilde Iotti

 

Toscanini fu nominato da Einaudi, ma mentre in Senato stavano per fare la convalida  il presidente dell’Assemblea comunicò che era arrivato dagli Stati Uniti un cablogramma dell’illustre Maestro che comunicava la sua rinuncia. Dopo questo episodio, scrive Armaroli, Einaudi e anche gli altri presidenti della Repubblica fecero sondare in anticipo i nominandi.

 

Toscanini

 

Montanelli invece non accettò la proposta di Cossiga di nominarlo senatore a vita. E spiegò i motivi: “Perché rinunciare alla propria tribuna per accettarne una che apparteneva ad altri 320 colleghi?”. A sua volta Ferruccio De Bortoli spiegò il no del più grande giornalista italiano con l’argomento che Montanelli “li ha sempre visti un po’ imbalsamati i senatori a vita”.

 

Cossiga

 

Cossiga non ebbe fortuna neanche con Nilde Iotti: quando la presidente della Camera, la Regina di Montecitorio per 14 anni, venne a sapere le intenzioni del Capo dello Stato, gli scrisse una garbata lettera, ringraziò ma disse di non poter accettare la nomina. Non voleva esporsi a interpretazioni politiche fantasiose. E poi era deputata fin dalla Costituente, presidente della Camera dal 1979 e vi rimase fino al 1992. Nel 1999 per motivi di salute si dimise da deputata, e l’Assemblea di Montecitorio, contravvenendo alla prassi che per la prima volta le dimissioni di un parlamentare si respingono, quella volta invece, prendendo atto delle ragioni, le accettò e tutti i gruppi parlamentari, nessuno escluso, le resero omaggio. Nilde Iotti morì pochi giorni dopo, il 4 dicembre del 1999.

 

Mario NanniDirettore editoriale

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