Quanto vale la cultura in Italia, quali sono le sue ricadute sull’intero Paese e comela nostra economia delle ICC si confronta con il resto d’Europa?
Questa è la domanda che pongo senza metafore a chi in questo momento sta riempiendo, cercando un equilibrio perfetto, le caselle del nuovo Governo. Per stare strettamente sui numeri, l’industria dell’arte in Italia generava un volume d’affari pari a 1,46 miliardi di euro, con un impatto complessivo economico sul Paese di 3,78 miliardi di indotto, capace di dare lavoro a circa 36 mila addetti nell’intera filiera produttiva.
Sul piano europeo, l’Italia rappresenta circa il 2% del mercato rispetto alle vendite a valore delle opere d’arte, quota che è salita al 6% con l’uscita di UK dall’UE. A raccontarci tutto questo è la ricerca “Arte: Il valore dell’industria in Italia” realizzata lo scorso anno dall’Osservatorio di Nomisma e promossa dal Gruppo Apollo, con la collaborazione di Intesa San Paolo. Per stimare il reale valore dell’industria dell’arte in Italia, la ricerca considera l’intero universo degli operatori che gravitano attorno alla filiera. Il settore, altamente specializzato, ritiene che le principali sfide che attendono il nostro Paese siano la semplificazione normativa, la riduzione del gap formazione-mondo del lavoro e la digitalizzazione. Vincere queste sfide significa consentire all’Italia di riappropriarsi del ruolo di “fabbrica della bellezza” nel mondo.
Nel 2019 il fatturato di case d’asta, gallerie, antiquari e mercanti d’arte ha raggiunto quota 1,04 miliardi di euro, cui si aggiungono 420 milioni di euro derivanti da logistica, pubblicazioni, assicurazioni, fiere, istruzione e restauratori. Per ogni euro del volume d’affari registrato nel mercato dell’arte, secondo l’effetto moltiplicatore calcolato dai ricercatori di Nomisma, si stima un output di 2,60 euro, motivando così l’enorme impatto economico complessivo sul Paese, pari a 3,78 miliardi di euro .
Ma a fornirci dati ancor più precisi per l’intero settore è una ricerca, sempre del 2021, di Ernst &Young secondo cui nel 2020, l’economia culturale e creativa ha perso circa il 31% dei propri incassi. Il volume d’affari complessivo delle ICC nell’UE a 28 si è ridotto a 444 miliardi di euro nel 2020, registrando un netto calo di 199 miliardi di euro dal 2019. Con una perdita del 31% del suo volume d’affari, l’economia culturale e creativa è uno dei settori più colpiti in Europa, poco meno del trasporto aereo, ma più del turismo e dell’industria automobilistica (rispettivamente a -27% e -25%). L’onda d’urto del COVID-19 è stata avvertita in tutti i settori creativi e culturali: arti dello spettacolo (-90% tra il 2019 e il 2020) e musica (-76%) sono le più colpite; arti visive, architettura, pubblicità, libri, stampa e audiovisivo hanno registrato un crollo dal 20% al 40% rispetto al 2019. L’industria dei videogiochi sembra l’unica a resistere (+9%).
Dimenticarci di tutto questo e soprattutto non tenere a mente che i Beni Culturali per l’Italia rappresentano giacimenti dal valore economico quanto quelli di gas e petrolio, significa non solo non amare la nostra Nazione, ma neppure avere idea di cosa sia un buon governo dell’economia reale.
Allora se ancora manca la casella in cui inserire il nuovo Ministro della Cultura del Governo che ad ore si andrà formando credo che la necessità sia quella di mettere un uomo che abbia cognizione di tutto questo. Un tecnico ? Un politico? Non sta a me scegliere ma certo tra i nomi che sono circolati fino ad ora io mi permetto di segnalarne solo tre capaci di rispondere concretamente a quanto ho sommariamente descritto: un tecnico movimentista Edoardo Sylos Labini, un politico Federico Mollicone, un professore Gian Paolo Rossi. Competenza, esperienza e concretezza sono il loro denominatore comune, a Giorgia Meloni la scelta.
Bernoldo Utrecht