Sì, la scuola è una discesa agli inferi: benvenuti nell’ultimo, spietato, romanzo di Marco Lodoli

Il lento degrado intellettuale e psicologico di un professore di liceo, narrato dal punto di vista di una bidella: poche opere di narrativa hanno saputo descrivere con tanto realismo le piccole e grandi meschinità del mondo dell’istruzione
Marco Lodoli - Foto Fabio Cimaglia / LaPresse - Scuola

Il numero di opere narrative dedicate al mondo della scuola e scritte da insegnanti è, spiace dirlo, inversamente proporzionale al prestigio di cui gode, almeno dall’inizio del terzo millennio, la professione del docente.
Da Eraldo Albinati ad Alessandro D’Avenia, da Paola Mastrocola a Domenico Starnone, il numero e in certi casi la qualità dei romanzi usciti dall’esperienza didattica è tutt’altro che modesto e la loro fortuna editoriale denota nel pubblico un interesse per la realtà scolastica decisamente superiore a quello dimostrato dal mondo della politica.

In certi casi, è vero, potrebbe trattarsi di libri scritti come sfogo da docenti frustrati e letti a loro volta come sfogo da altri professori. In altri prevale invece l’attenzione per la condizione studentesca e i problemi adolescenziali.. Un caso pressoché unico è però rappresentato dall’ultimo romanzo di Marco Lodoli, prolifico scrittore con al suo attivo romanzi di successo, alcuni oggetto di riduzioni cinematografiche, e a lungo insegnante di materie letterarie in un istituto professionale di Roma.

Il suo ultimo romanzo, dal titolo un po’ criptico di Tanto poco (Einaudi 2024, pp. 94, 15 euro), si distingue per almeno due scelte fuori del comune. Più che un bozzetto di vita scolastica, è la storia quarantennale del lento degrado intellettuale e psicologico di un professore con la vocazione della scrittura, dal primo anno d’insegnamento a un sofferto prepensionamento. E questa storia è raccontata in prima persona non dall’autore, ma da una bidella che s’innamora di lui fin dal primo incontro, quando lo scambia, giovane incaricato venticinquenne, per un alunno, e lo rimprovera del ritardo.

Robin Williams in una scena de "L'attimo fuggente" di Peter Weir - scuola
Robin Williams in una scena de “L’attimo fuggente” di Peter Weir
– Touchstone Pictures

Un amore platonico

Il suo è un amore forzosamente platonico ma tenace, che non viene meno nemmeno quando il professore perde il fascino della giovinezza. Un amore quasi materno, senz’altro protettivo, che salva persino l’amato dalle pesanti conseguenze di uno scontro con un alunno che l’ha offeso. Ma anche un amore geloso, perché la protagonista soffre intimamente per le colleghe che gli fanno gli occhi dolci, e soprattutto per una di loro che riuscirà a incastrarlo trascinandolo in un matrimonio sbagliato.

La scelta di adottare una bidella come io narrante è senz’altro originale. Fra collaboratori scolastici – per usare l’esatta espressione in “burocratese” – e docenti continua a esistere una distanza se non pari almeno simile a quella descritta da Mario Castellani in un vecchio film come Mio figlio professore.

Se è venuta meno la soggezione di un tempo, di solito si continua a darsi del lei. In certi casi, semmai, ci può essere una sottile invidia dei primi nei confronti dei secondi, “che fanno solo diciotto ore e hanno tre mesi di vacanze”, invidia che si traduce a volte nella soddisfazione di segnalarne alla presidenza i ritardi.

La copertina di Tanto poco di Marco Lodoli (Einaudi)

In più, in tempi di femminismo e di “io sono mia”, la devozione dell’io narrante a un amore impossibile può apparire anacronistica, tanto più che la bidella non ha curiosità culturali, anzi proprio non ama leggere, il che non le impedisce di seguire, con una passione quasi “da tifosa”, la sua carriera letteraria.

Sì, perché il professor Matteo Romoli è uno scrittore, ha scelto la carriera scolastica come momentaneo gagne-pain, in attesa di poter vivere della propria penna, anche se poi si innamora del proprio lavoro e decide di rimanere, a dispetto del vicepreside che non apprezza i suoi ritardi, dei professori più anziani che ne lamentano la tendenza all’improvvisazione, l’abbigliamento trasandato, le pose (che poi non sono pose) da bohémien.

Si può discutere finché si vuole sull’attendibilità della figura dell’io narrante, ma la credibilità della figura del protagonista è purtroppo fuori discussione. Sì, perché quella del professor Romoli è un lento descensus ad inferos, la catabasi di un giovane promettente come scrittore e inizialmente carismatico come insegnante, usurato dall’inaridirsi della sua vena letteraria, da un lento logoramento della sua vocazione didattica, oltre che dalle delusioni amorose e dall’inevitabile scorrere del tempo e avvicendarsi delle mode.

Il bel ragazzo che faceva girare la testa alle colleghe e magari anche alle alunne, l’istrionico emulo made in Italy del professor Keaton dell’Attimo fuggente vede sfuggire lentamente il carisma dei primi anni d’insegnamento, dinanzi a studenti digitalizzati che lo considerano ormai una fastidiosa macchietta e anche a colleghi più giovani, convinti che il futuro dell’istruzione consista in registri elettronici e lavagne informatiche.

Il fenomeno del burn out di molti insegnanti trova una plastica rappresentazione nel resoconto degli ultimi anni del protagonista, come traspare dall’ingenuo realismo del racconto della bidella: la riluttanza a entrare in aule dove lo aspettano scolaresche sempre meno incantate dal suo sorriso da eterno ragazzo (“cercava di ritardare l’ingresso in classe in ogni modo, frugando nel suo cassetto, sfogliando un libro, perdendo tempo”), la caduta nell’alcolismo (“a volte arrivava a scuola mezzo ubriaco, con il fiato che puzzava di vino e i passi barcollanti”), la risposta inconsulta, con uno schiaffo, a un ragazzo impertinente che ha definito le sue lezioni aria fritta e gli ha dato del “vecchio scemo”.

Scuola, una lezione in classe
Una lezione in classe – Creative Commons

Verso la catastrofe finale

Si arriva così alla catastrofe finale. Alla maturità il giovane presidente della commissione si accorge che i suoi studenti, portati all’esame, forse per evitare grane, con tutti nove e dieci, sono impreparati, almeno secondo i suoi parametri, perché non conoscono le figure retoriche: quelle figure retoriche il cui studio, svalutato dall’estetica di Benedetto Croce, è stato riscoperto in epoca strutturalista.

Nelle sue parole c’è un approccio alla letteratura antitetico rispetto a quello caro al professor Romoli-Keating: “So che lei è anche uno scrittore, le confesso che non ho mai letto un suo libro, ma qui siamo a scuola, qui lei deve fornire agli studenti gli strumenti necessari per decodificare un testo, le pinze, le tenaglie, il cacciavite: la carta del manuale è anche carta vetrata”.

Alla fine per evitare il peggio il preside confina l’insegnante in biblioteca. Per un anno, prima del pensionamento, il professor Romoli spolvererà e catalogherà libri che nessuno più legge, perché ormai sia studenti sia docenti concentrano i loro interessi sul digitale.

È al momento del suo pensionamento nessuno stappa una bottiglia di prosecco per lui: sono lontani i tempi in cui, in occasione del suo quarantesimo compleanno, gli alunni avevano organizzato una festa a sorpresa per il professore-scrittore.

Spietato realismo

Se forse Tanto poco non è il miglior romanzo di Lodoli, occorre ammettere che pochi altri romanzi hanno saputo descrivere con tanto spietato realismo le piccole e grandi meschinità del mondo della scuola, le sordide invidie, le insofferenze di alcuni docenti per chi si solleva dalla mediocrità generale. “Nella nostra scuola – racconta la bidella – insegnavano professori che avevano pubblicato la tesi in filosofia su oscure riviste universitarie, che si erano fatti stampare le poesie dal tipografo sotto casa, che avevano partecipato alla stesura di un manuale di lingua spagnola per le scuole medie…”.

E ancora: “Chi vuole dedicare il suo tempo ai romanzi lasci il suo posto di insegnante a qualcun altro che ne ha più bisogno e forse è anche più bravo, urlava il professore di educazione fisica, qui si lavora, non si gioca a fare gli artistoidi, sbraitava la professoressa di disegno…” Chi si lamenta per i bassi stipendi e per la scarsa considerazione sociale degli insegnanti, a volte è il primo a rivoltarsi contro chi riesce a emergere.

Flaubert scuola
Gustave Flaubert – Dominio Pubblico

Romoli c’est moi!

C’è però un’altra inquietante chiave di lettura del romanzo, che apre interrogativi cui non è facile offrire una risposta. Anche Marco Lodoli, come Matteo Romoli (da notare una certa omofonia fra i nomi), è stato professore di scuola, come lui ha scritto romanzi di successo, soprattutto il primo, conoscendo poi alti e bassi, come lui tiene una rubrica , una rubrica di cronaca romana su un quotidiano, nel suo caso La Repubblica.

A tratti, proseguendo la lettura, viene fatto di aspettarsi che a un certo punto, flaubertianamente, confessi “Matteo Romoli sono io. O forse ho rischiato di diventarlo”. Interpretazione arbitraria? Può darsi, ma resta il fatto che fra i due professori dopo la pubblicazione del volume si è manifestata un’altra analogia.

Nel romanzo, Romoli viene selezionato a un premio letterario francese per autori stranieri, ma non lo vince. E anche Lodoli è stato selezionato per la cinquina di un premio letterario, il glorioso Viareggio-Répaci rinverdito dalla presidenza Mieli. Ma, ironia della sorte, non è arrivato primo nemmeno lui.

Peccato, perché se lo sarebbe meritato. Nelle meno di cento pagine di questo libro c’è molto di più sulla storia della scuola negli ultimi quarant’anni che negli annali della pubblica istruzione.

Enrico Nistri Saggista

Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide