L’interrogativo più ripetuto di questi ultimi anni, dettato dal senso comune, negli immaginari dialoghi tra due cittadini: come mai Matteo Messina Denaro continua a vivere latitante? Con un po’ di malizia aggiuntiva: ma pensi che non sappiano dov’è? E allora perché non lo arrestano? Ma forse perché è meno pericoloso da latitante che da arrestato.
Chi lo immaginava in un posto misterioso e sconosciuto, perfino all’estero, rifugiato in chissà quale bunker inespugnabile.
Invece il clamoroso arresto ha fatto cadere come birilli tutte queste ipotesi: Matteo Messina Denaro, detto “U siccu” ( il magro), apparso abbastanza ingrassato), e Diabolik, se ne stava in Sicilia, a Palermo. E si muoveva come un comune cittadino, forte dell’omertà diffusa e di evidenti protezioni e complicità. Nelle foto dopo l’arresto una signora molto osservatrice ha ravvisato anche una certa eleganza: il berretto beige chiaro intonato con lo stesso colore del giaccone.
È stato detto che è una giornata storica. Ed è vero.
Se i morti vedono e seguono le vicende umane, anche con qualche disgusto, tutte le vittime della mafia senz’altro si sentono vendicate: dai magistrati che hanno perso la vita nella lotta alle cosche, cominciando con la citazione di Falcone e Borsellino, e ricordandone tanti altri, tra cui il generale Dalla Chiesa, Rocco Chinnici, Pietro Scaglione, Cesare Terranova, il presidente della Regione Sicilia Santi Mattarella, Pio La Torre, uomini delle forze dell’ordine.
Una tragica Spoon River mafiosa, quale mi fu fatta visitare tappa per tappa per le vie di Palermo da un giovane collega, Daniele Ienna: dal bar dove fu freddato il commissario Boris Giuliano, via Carini dove fu ucciso Dalla Chiesa e la moglie Emanuele Setti Carraro; via della Libertà che vide l’agguato mortale a Piersanti Mattarella; via d’Amelio, dove fu ucciso Borsellino; fino a Capaci, dove per uccidere Falcone, la moglie e la scorta fu fatto addirittura saltare un pezzo di autostrada il 23 maggio 1992.
Ma ci sono tante altre vittime, poco conosciute e non meno innocenti.
Tra queste, sulla coscienza di Matteo Messina Denaro – ove mai ne avesse una -grava la fine disumana e terribile subita dal ragazzo Giuseppe Di Matteo, fatto sequestrare per costringere il padre Santino a ritrattare le accuse sulla strage di Capaci. Dopo 779 giorni di prigionia, il ragazzo fu strangolato e fatto sciogliere nell’acido.
Sia resa lode ai carabinieri del Ros che hanno scovato il sanguinario boss in una clinica privata, dove si stava curando, ovviamente sotto falso nome. Lode alle forze dell’ordine, legittima soddisfazione per questa importante tappa nella lotta alla mafia.
Ma due osservazioni: non si esageri con il trionfalismo, all’italiana con la solita retorica da strapaese. Il mondo politico abbia il pudore di non cantare troppo vittoria, come se fosse merito suo. Messina Denaro è stato finalmente scoperto e arrestato, ma la sua latitanza durava da 30 anni, da quando fu catturato Totò Riina.
Inoltre, e mi pare perfino ovvio dirlo, è stata vinta una battaglia campale, ma non è finita la guerra alla mafia. Questo arresto non è la waterloo di Cosa Nostra. Magari lo fosse. Come si suol dire in questi casi, non si deve abbassare la guardia, e la lotta continua.
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Alcuni interrogativi
Altre questioni poi saranno esaminate nei prossimi giorni da chi ha il compito di farlo: politici, magistrati, forze dell’ordine. L’arresto è stato reso possibile certamente grazie al lavoro della magistratura, delle forze dell’ordine, la cattura all’opera dei Ros dei Carabinieri. Ma il cittadino comune non può fare a meno di formulare delle domande: chi ha finora protetto, omertosamente, la latitanza di Messina Denaro, evidentemente, ha deciso di non proteggerlo più, di scaricarlo?
In tal caso, la storia della mafia conosce qualche precedente. Per esempio quando decisero di scaricare il bandito Salvatore Giuliano, nominato colonnello dell’Evis ( esercito volontari per l’indipendenza della Sicilia verso la fine degli anni Quaranta, diventato troppo ingombrante e perciò non funzionale ai disegni di chi lo aveva usato.
E ancora: Messina Denaro era davvero il capo assoluto della mafia, ancora nella pienezza del suo potere di comando o qualcun altro ne aveva preso il posto?
La mafia reagirà e come all’arresto di Messina Denaro? Si potrebbe perfino ipotizzare questo ragionamento: dal modo come (non) reagirà, si potrà fare anche qualche congettura sul vero potere e sulla collocazione reale di Messina Denaro nel gotha mafioso.
Lo vedremo presto.
Un’ultima considerazione: il boss catturato, peraltro malato, avrà bisogno di continuare le cure: lo Stato non fa vendette ma giustizia, e Messina Denaro, nonostante i misfatti, ha diritto a essere curato.
Facile supporre che sia depositario di segreti. Parlerà con i magistrati? Farà come l’Innominato manzoniano, si pentirà? Farà rivelazioni? Dati gli intrecci mafia politica di tanti anni, a qualche esponente politico questo arresto forse toglierà il sonno?
Se Messina Denaro cominciasse a parlare, allora sì che per la mafia sarebbe, come lo fu per il terrorismo, ma anche per la stessa mafia con le confessioni di Buscetta, il tracollo finale. Lo farà questo passo? Difficile dirlo. In ogni caso, sarebbe un passo esente da rischi per lui: il caso Pisciotta , avvelenato con un caffè, non è stato dimenticato.
Mario Nanni – Direttore editoriale