XVIII Legislatura, la sindrome di Edmond Dantès. Capire la politica forse con la psicanalisi. Quali scenari nei “prossimi travagliati mesi”

Come si fa a capire la politica se la politica non c’è più? Forse può soccorrere la psicanalisi.

In fondo, a rifletterci bene, questa chiave ci sta tutta: non sono più alle viste le grandi ideologie a guidare l’azione dei leader, scarseggiano gli statisti che possono invidiarci anche all’estero e la politica politicante, quella che si occupa della giornata, non si sente neanche troppo bene.

Dunque per capire chi, cosa e perché chiediamo aiuto alle scienze della psiche. Alla sindrome di Hubris, per esempio, che devasta chi arriva a raggiungere le vette della politica senza i necessari anticorpi, per cui l’impasto di arroganza, presunzione e cura maniacale dell’immagine producono quell’effetto di straniamento che trascina il “paziente” nell’irrealtà di un mondo solo suo.

O la sindrome di Edmond Dantès, il protagonista del romanzo di Alexandre Dumas, il conte di Montecristo, che, dopo aver subito qualsiasi cattiveria inclusa la carcerazione a vita nel tetro maniero di If, evade, trova un tesoro, si fa una posizione e torna per vendicarsi di tutte le malefatte subite.

Questa sindrome del “ritornante” per vendetta – nel caso di specie per la sottrazione della dignità di presidente del Consiglio – è la cifra di questa diciottesima legislatura, che per i suoi colpi di scena nulla ha da invidiare ai romanzi d’appendice fin de siècle.

Quanto Edmond Dantès c’è, dunque, nel prof. Giuseppe Conte (di Volturara Appula, però, non di Montecristo), è sicuramente raccontato dall’idiosincrasia tenace che ha sempre ispirato il suo approccio con Mario Draghi, insediato – a suo parere in modo usurpatorio – a Palazzo Chigi sull’onda dell’intrigo internazionale progettato dalla Spectre e portato a termine per mano di quel pezzo di Jago che risponde al nome di Renzi, e osannato dal mondo intero come salvatore della povera Patria(con vampe d’invidia dell’ex).

Ma, forse, un pezzettino di Edmond c’è stato anche nelle corde di Enrico Letta, che abbandonò, con l’ostentazione di un understatement inglese, il Parlamento nel luglio del 2015, dopo la defenestrazione da Palazzo Chigi vissuta come fratricida (“Enrico stai sereno”) da parte del già lodato Matteo Renzi, e tornò a furor di popolo a capo del PD e poi alla Camera sei anni dopo, in pieno esprit montecristiano.

Quante stille di soddisfatta rivalsa ha potuto secernere il poro sudoriparo lettiano quando l’Enrico si apprestava ad ammaestrare con perfetto stile forlaniano il partner, l’alleato inaffidabile e l’avversario (la preferita Giorgia Meloni) sulle alte e ineluttabili necessità del politicamente corretto?

E allora, chiamando a soccorso la psicanalisi e non le astratte geometrie della politologia, quali scenari dobbiamo attenderci nei prossimi travagliati mesi che ci separano dal voto del 2023?

Se la crescita del conflitto tra leader e tra sigle (non riesco a scrivere “partiti”..) è nell’ordine naturale delle cose a qualche mese dal voto, questo non vuol dire, però, che la fibrillazione porterà necessariamente al collasso della legislatura.

L’aura gelida del “game over” si stende sulla platea parlamentare, facendo avvertire, adesso che sta per finire tutto, che quel taglio di seggi allegramente approvato dalle Camere per un calcolo populista sbagliato, oggi si abbatte come una mannaia sulle teste degli uscenti con l’altissimo grado di possibilità che non diventino più rientranti.

Il 40% in meno di componenti le assemblee parlamentari, più il ritmo usuale del turnover che cambia più del 60% delle facce, più il drastico ridimensionamento dei consensi nel mercato elettorale (si pensi ai 5Stelle, che rischiano di passare dal 33% democristiano del 2018 a risultati ad una sola cifra di oggi), sono più che un vago presentimento del fatto che i prossimi mesi saranno per la maggior parte dei deputati e dei senatori gli ultimi negli onorevoli palazzi. E allora perché accelerare la fine di tutto rincorrendo l’horror vacui del ritorno all’anonimato dell’uomo qualunque?

In fondo c’è un mucchio di dignitose ragioni da “responsabili” per tirare avanti fino all’estremo lembo della legislatura consentito dalla Costituzione: patti sociali con i sindacati, Pnrr, pandemia, guerra, siccità, gas, tanto per pescare tra le urgenze. Andiamo: come si fa ad andare a votare con tutti sti’ problemi? Sarebbe da irresponsabili!

Edmond Dantès non lo farebbe mai.

 

Pino Pisicchio – Professore ordinario di Diritto pubblico comparato, deputato in varie legislature

Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide
Previous slide
Next slide