Dopo una campagna elettorale fatta di colpi appuntiti, alti e bassi, e staffilati con coltelli a stelle e strisce, dopo il clamoroso insuccesso di vati, maghi e sondaggisti vari, vale la pena fare lo stato dell’arte sulle prospettive della presidenza di Donald Trump negli Stati Uniti d’America.
“Manterremo le nostre promesse… e la parola data a voi, il popolo”. Questo è il cuore del discorso tenuto ai suoi per la indiscutibile vittoria elettorale da Trump. Confesso di aver seguito quella campagna elettorale, in un Paese a cui devo molto, anche per la mia formazione culturale, con grande preoccupazione. Mi sembrava assurdo che lo scontro all’arma bianca fosse tra una candidata Dem, Kamala Harris, che rideva sempre troppo. E non si capiva cosa avesse da ridere, in un’America, non solo negli Stati del Midwest, ma anche in vari altri Stati e perfino anche a New York, ridotta in quelle condizioni, specie per la gente che gode di salari poveri o che in ogni caso è svantaggiata.
Dall’altro lato c’era un candidato, Donald Trump, con il volto sempre un po’ troppo duro e con quel pugno del braccio destro sempre alzato, quasi fosse una sorta di Che Guevara alla rovescia, di destra.
Il disastro dei democratici
Onestamente da piccolo analista politico abituato a guardare per terra e all’analisi politologica sul terreno, senza disperdersi in tante teorie, non avevo dubbi che avrebbe vinto Trump. I democratici, infatti, in quella campagna elettorale, sin dalla scelta del candidato, dalle lunghe esitazioni su Joe Biden e via dicendo, hanno sbagliato tutto lo sbagliabile.
D’altronde, ormai anche gli studenti di scienze politiche dovrebbero sapere che in tanti Paesi del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, è in atto da tempo una lotta del tipo: popolo vs èlites. Cittadini vs establishment.
In un Paese la cui formula posta in apertura della Costituzione recita “We the People”…
Basta sapere cosa sta avvenendo da tempo anche in Europa, in Paesi come ad esempio la Francia o la Germania, che ha visto recentemente i successi in due regioni cruciali dell’AfD, il partito dell’ultradestra. E la vittoria di Trump è appunto una vittoria del popolo contro certe èlites di sinistra che non sono in grado di capire le vere esigenze dei ceti popolari.
Da tempo sono preoccupato per la troppa agitazione di cocktail strani nello shaker del populismo e sovranismo, ma sono aspetti che occorre conoscere per provare a superarli. La sinistra americana ha invece sbagliato quasi tutto, così come sta sbagliando in parallelo, ad esempio, il Pd in Italia, diviso in troppi gruppi e correnti così come divisi in tanti gruppi e correnti si sono presentati i Dem negli Usa.
Il destino Italiano ed Europeo
Ora però tutto questo occorre superarlo e pensare a quale può essere, per quanto ci compete, il destino dell’Europa e dell’Italia. Personalmente non vado matto per l’idolo Musk, che si configura come una sorta di catalizzatore e acceleratore del turbopopulismo su basi tecnologiche. Però la vittoria di Trump è anche la vittoria di Musk, che a troppi piace anche in Italia.
I miei due grandi maestri, a cominciare da Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo, mi hanno insegnato che dobbiamo avere due patrie, l’Italia e l’Europa. Così come, mentre si agita un po’ troppo nello shaker la formula “Dio, patria e famiglia” in troppe parti d’Europa, so bene che la vera formula di Mazzini era “Dio, patria, famiglia, umanità”. Il punto è quindi ora capire cosa può avvenire per il fondamentale rapporto tra Europa e Stati Uniti, per il cruciale rapporto transatlantico, in seno al quale va posta la questione del rapporto tra Italia e Usa.
Se Trump applicasse tutte le promesse, alcune a dire il vero un po’ strane, fatte in campagna elettorale, sarebbe un problema serio per l’Europa e per il mondo, non solo per la questione dei dazi, che inciderebbe molto per l’Europa e per l’Italia, che è tra i maggiori esportatori negli Stati Uniti. Ma chi conosce il modello Usa sa bene che quando un leader si trasforma in presidente pratica politiche (che lì si chiamano policies) ben diverse da quelle promesse per raccattare centimetro per centimetro tutti i possibili voti popolari in un’elezione che si credeva all’arma bianca e ha visto il successo di Trump.
America, tra rischi e risorse
Per fortuna che adesso c’è tempo per riflettere e per ragionare, di qui all’insediamento a gennaio, soprattutto per Trump e per gli staff di cui si circonderà. Occorre per tutti, giornalisti, osservatori più o meno di comodo, abbassare le armi del bum bum bum, della lotta di tutti contro tutti, e attrezzarsi a comprendere cosa potrà fare il presidente Trump, che credo sia, tra l’altro, meno para-putiniano di quanto qualcuno vuole far credere. Spetta alle classi dirigenti dell’Europa operare perché la presidenza Trump si trasformi dal un rischio di un problema per l’Europa in una risorsa per quest’ultima.
È a questo che sono chiamate delle serie classi dirigenti, politiche, burocratiche, imprenditoriali pubbliche e private, che sino a qui anche in Europa non è che si sono comportate in vari Paesi (e anche a Bruxelles) al meglio, favorendo questa sorta di scontro totale fra popolo vs. èlites che non comprendono le condizioni dei popoli.
Queste sono annotazioni, considerazioni, appunti di un politologo che il sistema Usa lo conosce abbastanza bene, ma che oggi si configura in modo ben diverso da come lo avevano costruito i Padri Fondatori. Per fortuna, però, gli Usa rimangono la prima potenza mondiale, anche e non solo perché il dollaro è la prima moneta del mondo. Spetta all’Europa sapere mantenere un sano rapporto transatlantico, facendo in modo di non subire colpi da certe ubriacature Usa di stampo isolazionistico.
Luigi Tivelli – Presidente Academy Spadolini di politica e di cultura