Muro di Berlino, 35 anni fa il crollo e il sogno del migliore dei mondi possibili. Oggi la Germania vive un incubo

Il 9 novembre 1989 si sbriciolava la cicatrice di pietra, cemento e filo spinato che aveva spaccato in due il pianeta. Tre decadi e mezza dopo il paese è alle prese con una crisi politica ed economica senza precedenti, degna di un dramma shakespeariano. E in gioco c'è anche il suo ruolo globale

Muro di Berlino

Sembrava il migliore dei mondi possibili quello che nasceva dalle macerie fumanti del Muro di Berlino. “Eravamo il popolo più felice del pianeta”, così diceva Edgar Reitz, il grande regista dell’epopea di Heimat. Proprio oggi, esattamente 35 anni dopo la dissoluzione di quella cicatrice di pietra, cemento e filo spinato che aveva spaccato un paese e il pianeta in due, la Germania è tutt’altro che felice, guarda con paura al futuro e ha grandi difficoltà a fare i conti con la propria storia. La cronaca di questi giorni è quella di una crisi di governo feroce, come se ne sono viste pochissime dal dopoguerra ad oggi. Pare quasi una tragedia shakespeariana, con il ministro alle finanze, il liberale Christian Lindner, licenziato dal cancelliere Olaf Scholz, l’altro ministro liberale, Volker Wissing, che tradisce Lindner e resta nell’esecutivo, il capo dei Verdi Robert Habeck che rimane fedele ma fa sapere che intende correre come cancelliere, le opposizioni della Cdu e dell’ultradestra Afd che chiedono l’immediato voto di fiducia, il medesimo Scholz che spera di resistere almeno fino a marzo ed entra in modalità testuggine.

In verità, quasi tutti a Berlino scommettono su una resa dei conti al Bundestag in tempi ravvicinati ed un ritorno alle urne al massimo entro fine gennaio o inizio febbraio. Ma chissà.

Olaf Scholz arriva al vertice Ue di Budapest

Olaf Scholz arriva al vertice Ue di Budapest, 8 novembre 2024

Una tempesta nella tempesta

È una tempesta dentro una tempesta al cuore di un uragano: perché la crisi divampa mentre l’economia tedesca, stando a tutti i principali indicatori, è avvitata su stessa (recessione tecnica, esportazioni e domanda in frenata, industria delle quattro ruote in stallo con minaccia di chiusure e tagli), a fronte di un’Unione europea mai così debole e con un Donald Trump trionfante che minaccia di far saltare per aria il sistema di bilanciamenti e alleanze che abbiamo conosciuto finora, dall’Ucraina al Medio Oriente alla Cina, in una tenaglia nella quale proprio l’Unione europea ad oggi appare essere l’anello debole. In discussione – questo te lo dice chiunque a Berlino – c’è il ruolo stesso della Germania sulla scena globale.

Insomma, non è proprio aria di festeggiamenti, contrariamente a quanto accadde ancora cinque anni fa, per il trentennale della caduta del Muro, quando Angela Merkel – non a caso chiamata “la ragazza dell’est”, essendo cresciuta nella Ddr – veniva festeggiata a livello planetario, trattava ad armi pari con Putin, faceva arrabbiare Trump, dava la linea a tutto il Vecchio Continente. Soprattutto, era al governo da ere geologiche, icona di quella stabilità che è il mantra e il dogma della Germania e che ormai appare sbriciolata al vento: quel che abbiamo oggi è un governo di minoranza (finché dura) rosso-verde, laddove la stessa idea di governo di minoranza è da sempre considerata quasi un insulto, o se non altro una vergogna, nel mainstream politico tedesco.

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Le celebrazioni per il 40. anniversario della Ddr, alla presenza di Gorbaciov

Bizzarri cortocircuiti

Ma la storia, si sa, è fatta anche di cortocircuiti, di strani paradossi. C’è chi sostiene, per esempio, che il Muro di Berlino sia caduto per un errore, il 9 novembre 1989, cambiando da un giorno all’altro i connotati al Novecento: è esattamente alle 18.57 di quel giorno che Guenter Schabowski – un importante membro del Politburo del regime di Honecker – pronuncia, con le telecamere puntate in faccia e con l’aria di uno che non sa esattamente cosa stia dicendo, le parole che aprono il Muro, condannano a morte la Ddr e abbattono per sempre la cortina di ferro, e con lei la suddivisione del mondo in due blocchi contrapposti.

La scena – la potete trovare agevolmente su YouTube – è quasi un cult: nel tentativo di rispondere alla domanda di un cronista italiano, Riccardo Ehrmann, corrispondente dell’Ansa, Schabowski guarda confusamente i fogli che ha in mano e balbetta, un po’ stordito, “ci siamo decisi a varare un regolamento che permette ad ogni nostro concittadino di espatriare attraverso i passaggi di frontiera della Ddr”. I giornalisti incalzano, lui legge ad alta voce l’intero regolamento in burocratese strettissimo, ma quelli insistono: “Da quando entra in vigore, da subito?”. Infine Schabowski crolla: “A mia conoscenza, da subito”.

La gioia incredula della folla

Dopo il passaggio di queste immagini in tutti gli schermi televisivi dell’est, immediatamente migliaia di persone si dirigono verso i vari varchi del Muro e verso la Porta di Brandeburgo. Una folla che cresce sempre di più, emozionata, turbata, incredula. Come incredule sono le guardie di confine, i Vopos, che fino a poche settimane prima avevano l’ordine di sparare a vista. “Tutte le persone che marciavano per strada non sapevano se quella sera sarebbero tornate a casa sane e salve”, ha raccontato il pastore Rainer Eppelmann, uno dei principali protagonisti del movimento di protesta nella Ddr che precedette il fatidico 9 novembre 1989.

9 novembre 1989: Un giovane armato di martello al Muro di Berlino

9 novembre 1989: Un giovane armato di martello al Muro di Berlino

 

C’era elettricità nell’aria, paura ed eccitazione. Una situazione quasi surreale. “Ci dirigemmo verso il confine. Quando arrivammo c’erano già cinquanta o cento persone. Sentivamo la gente che diceva: ‘Dai, apri! Schabowski ha detto che possiamo passare’. Ma le guardie non reagivano. Sembravano smarrite, indifese. Per diversi minuti non accadde niente, finché non ci rendemmo conto che, a quanto pareva, i soldati non potevano aprire la frontiera, quindi dovevamo pensarci noi. E così facemmo. Fu semplicissimo e passammo dall’altra parte”, insiste Eppelmann.

L’inizio della fine, il nuovo inizio

Ebbene sì, tutti i varchi furono presi d’assalto, ed incredibilmente non cadde uno sparo, non ci fu violenza, alla tensione si sostituì una gioia stupefatta, palpante. La folla diventava di ora e in ora sempre più grande. Intorno a mezzanotte i passaggi, compreso il famigerato Checkpoint Charlie, erano tutti aperti. Erano immagini che lampeggiavano in tutte le televisioni, in tutte le case, con l’effetto di portare nelle strade ancora più persone, mentre nei viali cominciarono i cortei delle macchine a suon di clacson impazziti. I berlinesi dell’est furono accolti entusiasticamente da berlinesi dell’ovest, persone che mai si erano incontrate in vita loro si abbracciavano, ridevano, piangevano, tantissimi si portarono da casa martelli e picconi per abbattere pezzi del cupo muro che ha aveva tagliato in due la città per 28 anni.

Mentre sappiamo cosa fece Angela Merkel il 9 novembre 1989 (era il giorno della settimana che dedicava sempre alla sauna, dunque andò alla sauna, e solo dopo raggiunse le folle in festa), non sappiamo cosa fece quella sera Olaf Scholz. Certo, non nacque dal nulla la caduta del Muro. Ancora ad inizio di quel fatidico 1989 il leader supremo Erich Honecker aveva affermato che il Muro sarebbe “durato altri 100 anni”.

Muro di Berlino

9 novembre 1989: un giovane a cavallo del Muro di Berlino

 

Dopodiché ci furono le manifestazioni, sempre più imponenti, a Dresda, a Lipsia, a Berlino, la fuga di migliaia di tedeschi dell’est nelle ambasciate della Germania occidentale a Praga, l’apertura dei confini ungheresi, le dimissioni di Honecker, la folla che inneggiava a Gorbaciov che al quarantennale della Ddr aveva sibilato ai pietrificati leader di un paese ormai sull’orlo della dissoluzione “chi arriva tardi all’appuntamento con la storia sarà punito dalla vita”. Fino alle ore 18.57 di trentacinque anni fa, quando uno stordito membro del Politburo pronunciò davanti alla tv parole che erano allo stesso tempo di condanna e di liberazione: “A mia conoscenza, da subito”.

Oggi l’Afd si frega le mani

Oggi, invece, mentre Berlino cerca di festeggiare l’anniversario del Mauerfall con il gran finale del “festival della libertà” (benché nel freddo, con temperature medie intorno ai 5-6 gradi), i dissesti geopolitici globali fanno sì che Olaf Scholz si trovi a fare i conti con un rimpasto “all’italiana” che mai avrebbe pensato di dover affrontare, mentre l’ultradestra dell’AfD (grande trionfatrice nelle recenti elezioni in Sassonia, Turingia e Brandeburgo) si frega le mani nella speranza di incassare al prossimo giro d’urna i dividendi politici dell’odierna tempesta.

Björn Höcke, leader dell'AfD in Turingia

Björn Höcke, leader dell’AfD in Turingia

 

I giornali speculano su una prossima maggioranza a tre, ma è difficilissimo indovinare come sarà composta: i liberali dell’Fdp, stando ai sondaggi, non riusciranno a raggiungere la soglia di sbarramento del 5% e pertanto rischiano di finire fuori dal Bundestag, l’AfD – attenzionata quale soggetto “estremo” dai servizi segreti interni della Germania – è il convitato di pietra che tutti giurano di voler continuare a lasciare fuori dalle stanze dei bottoni, l’orgogliosa Spd rischia, con i numeri di adesso, di ridursi a junior partner di una Cdu che oggi come oggi ha il doppio dei consensi, i Verdi – che solo tre anni fa erano gli eroi del giorno – oggi non vanno oltre il 10%, il neonato BSW di Sahra Wagenknecht è accusato di putinismi più o meno espliciti, mentre le posizioni tra i vari partiti sui grandi temi – dall’Ucraina al climate change, dal Medio Oriente ai rapporti con gli Usa, passando sulla questione dell’allentamento del debito – si allontanano sempre di più e si fanno sempre più aspre. E comunque tutti i rapporti di fiducia e lealtà di ieri oggi sembrano storia.

Dicevamo di Shakespeare. Di sicuro quello di oggi non è il sogno del migliore dei mondi che nasceva sulle macerie ancora fumanti del Muro, un sogno gonfio delle antiche parole di JFK (“Ich bin ein Berliner”), del vento nuovo e speranzoso di Mikhail Gorbaciov, della commossa saggezza di Willy Brandt (“Oggi cresce insieme quel che si appartiene”) dinnanzi alla folla in festa del 1989. Casomai è il suo opposto. Si chiedono i giornali: stiamo contemplando gli abissi?

 

Roberto BrunelliGiornalista

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