A quasi 365 giorni dallo scoppio del conflitto che infuria in Medio Oriente e dell’aggressione di Israele al popolo di Gaza, che ha coinvolto diversi attori geopolitici locali, le due parti in gioco cercano una via di uscita tra non poche difficoltà. In questo anno il mondo intero ha imparato a conoscere il gruppo islamista Hamas nato negli anni ‘80 che fino a qualche mese prima era noto solo agli esperti. Pamela Murgia è assegnista di ricerca presso le Università di Cagliari e Macerata ed è studiosa di analisi del discorso in arabo e ha analizzato il comportamento di Hamas.
Cosa lascerà alle spalle questa guerra una volta terminata?
Quello che è successo nell’ultimo anno è estremamente grave, anche all’interno della situazione della Palestina che è sempre stata connotata da una repressione e da un’occupazione violenta.
Questa è una situazione di attacchi, di scontri molto violenti e inauditi da parte dell’esercito israeliano. In questo momento storico dove cambiano anche le compagini politiche, il grande sconfitto continuerà ad essere il popolo palestinese.
Penso che ci sia qualche cambiamento magari a livello politico, però la popolazione in questo momento si trova in una situazione senza particolari vie di uscita.
Cosa cambierà con la morte dell’ex capo politico di Hamas Haniyeh e con la nomina di Sinwar?
La morte di Haniyeh è stata un fatto abbastanza rilevante, e ha bloccato i negoziati. Con la nomina dell’ex capo politico morto a Teheran abbiamo avuto un cambiamento nella leadership rispetto al capo precedente Khaled Meshal. Dopo la Grande Marcia del Ritorno del 2018, manifestazione pacifica, c’è stato probabilmente un cambio di linea del partito.
In quel periodo si sono create mobilitazioni che poi hanno portato a una grossa manifestazione nel 2021 e sono state rivendicate fortemente anche da Hamas che ne ha fatto un po’ una bandiera della sua nuova fase Tuttavia, i tentativi di negoziazione negli ultimi anni hanno visto una repressione violenta da parte israeliana.
Al momento i negoziati potrebbero essere molto più difficili. Sinwar è uno dei leader più importanti di Hamas, era stato prigioniero ed è stato liberato tramite uno scambio di prigionieri con Israele diversi anni fa. Israele attribuisce a lui in realtà l’idea degli attacchi del 7 ottobre.
Ora questo non è chiarissimo, potrebbe succedere che con la leadership di Sinwar si vada verso una guida un po’ più ferma dal punto di vista delle negoziazioni. Dobbiamo anche dire che Sinwar in realtà qualche anno fa aveva già proposto delle tregue nonostante fosse meno propenso rispetto ad Haniyeh a portare avanti negoziati.
È un caso che la storia di Hamas sia legata a doppio filo con Khan Yunus, teatro spesso di violenze da parte dell’esercito israeliano?
È tutto legato con la nascita di Hamas. Questo gruppo nasce durante la Prima Intifada nel 1987 dal movimento dei Fratelli Musulmani che aveva avuto degli sviluppi un po’ diversi tra Gaza e la Cisgiordania. Il blocco di Gaza era quello che più ponderava l’idea di una rivoluzione immediata, di una resistenza più concreta all’occupazione israeliana rispetto magari al gruppo della Cisgiordania. Hamas nasce per avere anche un’alternativa all’OLP con la quale spesso andrà in contrasto.
Gaza è stata occupata fino al 2006 e dopo che le truppe israeliane se ne andarono Hamas vinse le elezioni all’Assemblea nazionale palestinese, però senza essere riconosciuta. Il gruppo prenderà successivamente la leadership di Gaza mentre la Cisgiordania rimarrà sotto l’Autorità palestinese. Negli anni successivi Gaza ha vissuto guerre e disordini. Le generazioni anche un po’ più giovani negli ultimi quindici anni hanno visto Piombo Fuso nel 2008-9, la guerra del 2014 e il triennio di conflitti con Israele nel 2018-2021. Una scansione di eventi molto violenta che porta anche a una reazione alla richiesta magari di una leadership diversa.
A cosa è dovuto il successo di Hamas nel 2006?
Ci sono più fattori. Intanto Hamas nasce anche in un momento fortunato per l’Islam politico. Negli anni ‘80 si stavano formando diversi movimenti di questo tipo che sono andati incontro a una grande approvazione. Nel 2006 si cercò un’alternativa alla leadership già esistente perché diventavano evidenti i sentimenti contrastanti sugli accordi di Oslo del 1993 a cui Hamas si era fortemente opposto e che effettivamente poi non hanno portato alla alle promesse fatte. Non si tratta tanto di un fattore religioso quanto di una necessità di una nuova leadership.
C’è una differenza tra Gaza e la Cisgiordania, tendenzialmente Hamas è un po’ più popolare a Gaza. Il gruppo ha rischiato di perdere consensi ma dopo il 7 ottobre, stando ai dati di novembre 2023, ha ripreso leggermente quota. Di solito, il consenso per Hamas aumenta quando si intensifica la repressione armata e aumenta il conflitto.
Come governa Hamas su Gaza?
Stando a quanto emerge da chi ha studiato le vicende sul campo, ci sono difficoltà di governo. Hamas tende ad essere più conservatore magari rispetto ad altri partiti.
L’ex capo politico del partito Khaled Meshal in un’intervista ha parlato del fatto che Hamas abbia tendenze un po’ più conservatrici per evitare di dare troppo spazio a movimenti molto più estremisti.
Alla fine gran parte del sostegno, sempre secondo quanto emerge da chi ha studiato questo movimento sul campo, giunge dalle situazioni di grande difficoltà e di conflitto che vive Gaza.
Cosa pensa Hamas della possibile fine del conflitto? Riesce a proiettarsi in uno scenario di cessate il fuoco permanente?
Hamas ha una retorica principalmente di resistenza, molto incentrata sul conflitto contro Israele. Non ha mai detto qual è il suo piano preciso per il futuro: l’unica esternazione è arrivata nel 2017, con il nuovo statuto: la soluzione a due stati. Nonostante per loro la Palestina debba essere libera interamente accetterebbero i confini del 1967, quindi quelli precedenti alla Guerra dei Sei Giorni.
Questo è stato il frutto di lunghe trattative che aveva visto coinvolto principalmente Khaled Meshal, avendo anche tra i mediatori esponenti statunitensi, tra cui l’ex presidente Carter come ha specificato Paola Caridi nel suo saggio. Un passaggio diplomatico per Hamas che ha sempre rivendicato la Palestina libera è stato quello, quindi, di accettare la Soluzione dei due Stati. Rispetto a questo però negli ultimi anni sono stati fatti passi indietro.
Hamas, il 2 luglio, ha accettato la proposta di tregua di Biden, poi bloccata da Israele con nuove richieste. Nel corso del conflitto ha proposto un cessate il fuoco diverse volte: all’inizio avrebbero accettato una cessazione del fuoco permanente con scambio di ostaggi, salvo fare, anche in questo caso, passi indietro all’evolversi della situazione.
Francesco Fatone – Giornalista