Raffaele Bonanni, qual è il suo ricordo personale di Del Turco?
Lo incontrai quando ero segretario regionale siciliano della Cisl, ma lo conobbi bene in occasione del congresso del sindacato internazionale che si tenne a Melbourne nella metà degli anni Ottanta. Prima di ripartire ci prendemmo quattro-cinque giorni di riposo e io e lui andammo a visitare l’Ayers Rock. Lì lo apprezzai davvero, non solo come sindacalista, ma come uomo. Lui viveva come un monaco, me ne resi conto standoci insieme quei giorni. Si alzava la mattina presto, sistemava cavalletto e pennello e iniziava a dipingere ai piedi del monolite. Era una persona coltissima, autodidatta in tutto, poche parole, concetti molto profondi. L’ultima volta che lo vidi fu a Chieti nel 2008, prima dell’inchiesta, quando ricevetti un premio e lui volle esserci.
Del Turco ha vissuto a livello professionale diverse vite. Sindacalista, ultimo segretario del Psi, poi parlamentare nazionale ed Europeo, ministro e infine presidente di Regione. Lei che lo conosceva, come potrebbe riassumere questa lunga carriera?
Era una persona e un professionista incredibile. Divenne segretario del Psi in un momento complicatissimo per il partito, e venne scelto perché in quel momento era una personalità nota, molto rispettata, abituato alle grandi difficoltà. Quando divenne ministro delle Finanze, nonostante non avesse fatto studi economici, ma aveva studiato da autodidatta, ricoprì benissimo quel ruolo. Lui sapeva cosa voleva e cosa poteva ottenere. Era davvero un uomo dell’élite italiana, di primissimo piano, con un carattere assai mite.
Parliamo del suo ruolo all’interno della Cgil. Come riuscì a garantire la permanenza dei socialisti?
Lui era un uomo del sindacato, e quindi dell’idea che prima di tutto veniva il sindacato, poi il resto, anche la politica. Era una persona molto solida e soprattutto un riformista vero che non permise mai alla componente comunista di utilizzare a pieno titolo la Cgil. Tutto questo però senza mai andare allo scontro. Non volle, infatti, mai il litigio interno. Anche con la “scala mobile”, lui prese e mantenne la sua posizione, ma senza ultimatum e mantenendo sempre il dialogo. Questo dimostrò la sua grande affidabilità, essendo il numero due della Cgil. Ricordo che io ero ancora un ragazzo, e anche stando dall’altra parte, essendo uno dei “pasdaran” del referendum, sulla scala mobile, non me la sentii di criticarlo perché capivo lo sforzo enorme che faceva per conciliare le varie anime. Come Di Vittorio che in un periodo delicatissimo come il dopoguerra gestì la Cgil nel segno della moderazione salariale nell’idea che primum vivere deinde philosophari, e che senza una vera solidità economica nazionale c’era poco da dividersi in termini di frutti. Lama era della stessa pasta. Del Turco ebbe quindi anche la fortuna di convivere con una persona di grande valore come Lama, che a sua volta, pur essendo comunista, non dava segni forti di condivisione di quel muro contro muro che Berlinguer spesso voleva. Questo dovrebbe far riflettere i sindacalisti odierni, quando pongono gli aut aut…
Poi, al Congresso di Rimini del Psi del 1987, anticipando i temi dell’inchiesta di Mani pulite, insieme a Giacomo Mancini, Franco Piro e Giorgio Ruffolo, Del Turco parlò di corruzione interna al partito, chiedendo pulizia e invocando ordine nelle giunte locali. Come arrivò, sei anni dopo, alla segreteria del Partito socialista?
Come Benvenuto dovette accettare quella nomina. Sia nel caso di Del Turco, sia nel caso di Benvenuto ci fu, infatti, una grande pressione perché erano entrambi molto noti, e in quel periodo rappresentavano la faccia più importante e più affidabile del Psi. E arrivo la nomina all’unanimità.
Poi fece l’esperienza da presidente della Regione Abruzzo. Dopo essere stato eletto nel 2005, nel luglio del Poi 2008 Del Turco fu però costretto a lasciarne la guida per quella discussa inchiesta giudiziaria avviata dalla Procura di Pescara. Da persona legata a quel territorio, ci racconta come e perché nacque quell’inchiesta?
Intanto, devo dirti più cose su questa storia. Prima della vicenda Del Turco erano avvenuti dei fatti molto discutibili. In Abruzzo, infatti, c’erano stati già dei precedenti molto inquietanti con Salini prima e poi con Pace. Salini, un ottimo medico e ottima persona che conobbi personalmente, venne accusato di abuso d’ufficio e falso. In quel momento era un fatto epocale, la prima volta di un governatore indagato. Lui e otto assessori vennero accusati e saltò, così, la giunta. Alla fine, Salini venne condannato, ma dichiarato innocente dall’accusa principale di abuso d’ufficio. Nessuno ne parlò perché si era in pieno Tangentopoli e lui era democristiano quindi, parte di quella “vecchia politica” da eliminare. Poi arriva Del Turco. Lo accusano, i giudici dicono di avere elementi inoppugnabili, che ancora però stiamo aspettando. Alla fine, escono fuori delle foto sbiadite di una persona che si muove verso casa sua con una busta e dicono che all’interno di questa busta vi erano mele e soldi per lui. Chi lo dice è un imprenditore della sanità privata che ha avuto il dimezzamento del finanziamento. Poi le altre “prove” erano due case: una comprata dalla sua compagna e un altro dal figlio. Beh, questi soldi venivano da due mutui e non c’era quindi alcun riscontro di denaro arrivato nelle casse di chicchessia, né della compagna né del figlio. Passano diversi anni e viene scagionato, gli mantengono solamente una “sciocchezza”. È davvero sconfortante aver messo questo grande uomo in tavoli opachi.
E la sinistra lo abbandonò…
La sinistra lo abbandonò perché, parliamoci chiaro, chi aveva dato forza a queste attività spericolate? Proprio il suo partito. Anche il più volenteroso si è trovato davanti ad un bivio. Chi per comodità, chi per codardia, chi per cinismo, chi per calcolo politico. L’Abruzzo da quando nasce l’elezione diretta del governatore non ha quasi mai avuto un presidente che abbia finito il mandato. C’è sempre stata questa volontà di far saltare tutto, con i costi morali ed economici che ne derivano, frutto della peggiore Italietta che io spero finisca al più presto.
Lui, riformista, che fu dirigente nazionale del Pd, come vedeva la nuova segreteria Schlein e l’ipotesi di un “campo largo”?
Sono due mondi diversi. Stiamo parlando di un uomo che viene da Di Vittorio, dalle lotte contadine, dalle lotte metalmeccaniche, da questi mondi concreti dove le posizioni politiche dipendono dal benessere e dal malessere delle persone, qui siamo invece nell’aria del vago e dello svago e quindi Ottaviano Del Turco, se fosse stato di buonumore, avrebbe sorriso e basta.
Francesco Spartà – Giornalista e Teaching Assistant