Questa storia comincia con una passeggiata nei vicoli di Wast al-Balad, centro storico di Amman – capitale del regno Hashemita di Giordania – e cuore pulsante della vita del paese. I colori del balad sono uno dei principali motivi per cui torno spesso ad attraversare queste strade e a raccogliere le impressioni che il Souq e la sua gente mi regalano il venerdì mattina, dopo la preghiera di mezzogiorno (ṣalāt al-ẓuhr).
Parto da qui per raccontare la mia Giordania, quella che vivo quotidianamente da circa due anni, e per provare a descrivere dinamiche sociali ed esperienze di attivismo meno conosciute del paese Hashemita e della regione Medio Orientale che raramente toccano le sponde d’Europa e dei nostri confini (sempre più spesso definiti e difesi, materialmente o ideologicamente). Un passo dopo l’altro, racconto dopo racconto, questo rumorosissimo e agitatissimo ambiente diventerà un po’ più chiaro, mentre l’immagine stereotipata, quella raccontata da lontano, rimarrà – inshallah[1] – sullo sfondo.
In chi legge, una prima domanda sorgerà spontanea: perché parlare di Giordania oggi?
Provo a rispondere a questo primo interrogativo ponendo l’accento sulla dimensione socio-politica che il paese ha all’interno della regione del Medio Oriente e Nord Africa (MENA). Indipendente dal 1946, la Giordania è un paese a maggioranza islamica (prettamente Sunnita), sebbene ospiti al suo interno un gran numero di minoranze religiose che qui coesistono pacificamente da decenni. Situato nella regione dello al-Sharq al-Awsat (Medio Oriente) e confinante con Palestina, Siria ed Arabia Saudita, il paese è in genere considerato poco importante soprattutto in virtù della mancanza di risorse primarie e di una storia nazionale molto recente, che non gli consente di esprimere – al pari di altri stati nella regione – la stessa profondità in termini di retaggio culturale, letterario, o artistico.
Tuttavia, sebbene nato nella fase post-mandataria da interessi occidentali guidati in particolare da Regno Unito e Francia, il paese si è posto come ago della bilancia nella regione per tutto il ‘900, assumendo sempre di più una funzione geopolitica strategica ed essenziale al mantenimento degli equilibri tra gli Stati a maggioranza musulmana e soggetti esterni, anche in virtù del suo ruolo di alleato fondamentale per gli Stati Uniti. A ciò, si aggiunge la funzione religiosa della famiglia reale Hashemita, custode di Al-Aqsa, la moschea di Gerusalemme. Secondo la tradizione infatti, gli Hashemiti discendono direttamente dalla tribù dei Quraysh, la stessa cui apparteneva il Profeta Maometto. La componente tribale non è oggi solo un lontano ricordo, ma continua a rappresentare nel paese tanto un orizzonte identitario per gran parte della popolazione giordana quanto una cornice culturale nella quale riconoscersi e dalla quale attingere usi, costumi, prassi e linguaggi. Non è difficile infatti, passeggiando tra i vicoli e le strade del centro, incontrare uomini con indosso la tradizionale kufiyyah, o kefiah beduina, mentre i negozi pullulano di abiti tradizionali adornati dal tatreezpalestinese[2].
È proprio in questa cornice tradizionale e patriarcale che molte delle consuetudini legate ai ruoli di genere, ed in particolare alla funzione della donna nella società, continuano a tramandarsi di famiglia in famiglia, sebbene modificate e alterate dall’incontro con la modernità e con nuovi soggetti politici e sociali che sempre più caratterizzano il mondo arabo contemporaneo. Le innumerevoli letture superficiali sulla realtà delle donne e dei diritti di genere che giungono alla nostra porta raccontano ancora troppo spesso di una minoranza femminile oppressa, incapace di reagire al peso dei dettami religiosi islamici e di un universo maschile opprimente, violento e patriarcale. La realtà, come spesso accade, è invece ben più sfumata e indefinita, e non può dunque essere descritta attraverso letture sommarie e inaffidabili.
La Giordania insomma, pur occupando una posizione minoritaria nel racconto della regione, è in realtà uno dei luoghi da cui partire se si vuole provare a capire meglio il mondo arabo di oggi, ed in particolare le trasformazioni generazionali, le dinamiche sociali e le relative questioni politiche.
Mentre cammino lungo le strade colorate e pullulanti di vita quotidiana del balad, innumerevoli immagini non consuetudinarie attirano la mia attenzione, raccontandomi di donne, bambine, e ragazze impegnate in varie forme di attivismo, partecipazione civica collettiva e impegno per la parità di genere. Queste straordinarie figure di donne velate, non velate, musulmane, cristiane, circasse, siriane, ecc., accendono Amman di una luce ai più sconosciuta – troppo spesso offuscata dalle forzature narrative del turismo di massa che sempre più frequentemente questa città ospita – ma sulle quali vale la pena soffermarsi per spostare il focus su temi fondamentali.
Non è possibile, osservando questa realtà, cadere nella trappola della donna araba oppressa: le donne giordane non sono inermi, ma al pari di molte altre esperienze globali, resistono alle strutture patriarcali nelle quali sono indubbiamente immerse attraverso forme localizzate e peculiari di leadership, attivismo e sumud(fermezza/tenacia), espressione vivacissima di quella che nel campo degli studi sociali viene definita women’s agency (autodeterminazione femminile). Dall’incontro intergenerazionale di queste donne di diversa età, provenienza, affiliazione religiosa o identità sessuale, sono nate negli ultimi anni contaminazioni femminili sempre più interessanti di spazi notoriamente limitati al solo mondo maschile. Questa presenza viva e trasformativa delle donne nelle questioni fondamentali che interessano il paese, dal lavoro alla violenza di genere, dalla rappresentanza politica all’arte e alla cultura, fa sì che il regno sia un interessantissimo campo d’indagine per interrogare i cambiamenti in corso in tutta la regione, in particolare quelli che interessano le nuove generazioni.
(fine prima parte)
Note
1 – Se Dio vuole
2 – Tipico ricamo palestinese, caratterizzato dalle sue forme estremamente geometriche e colorate, rappresentanti ognuna una città o una zona della Palestina
Marta Tarantino – Ricercatrice Università Orientale di Napoli