Giordania, un viaggio nell’attivismo per la parità di genere

Pubblichiamo la seconda parte di un rapporto firmato da una ricercatrice "sul campo", inviato da Amman.

Amman è una città bella, ma i suoi colori a volte possono essere incredibilmente neutrali, oscillando tra il giallo paglierino e l’ocra scuro, senza mai spingersi oltre. Ci penso mentre salgo le scale di un vicolo che da Wast al-Balad mi portano a Jabal al-Weibdeh.

Vista della città

 

Quando finalmente mi fermo a respirare, un murales attira la mia attenzione e mi rammenta come fermarsi ogni tanto faccia bene. Il murales è li che mi guarda, ridonando vivacità alla vista monocromatica dell’orizzonte davanti a me. In basso è scritto il nome dell’autrice: RANDA. Randa Abu Ahmeh è una giovane street artist giordana. Il suo nome è estremamente riconoscibile, impresso in lettere maiuscole su innumerevoli opere d’arte sparse per tutta la città, dal Wast al-Balad a Jabal Amman, da Jabal al-Weibdeh ad Abdoun, passando per locali e abitazioni private. RANDA si è fatta conoscere nella scena artistica e collettiva giordana negli ultimi anni come una delle artiste più influenti e visuali del panorama giordano, inserendo spesso nelle proprie opere riferimenti a figure femminili e richiamando l’attenzione su questioni sociali e politiche fondamentali per il paese e per la regione, tra tutte anche l’importanza della questione ecologista. Una delle sue opere principali e – a parere personale, una delle più belle – affigura il caratteristico personaggio di Bat Woman – notoriamente legato alla produzione artistica occidentale – come eroina per la causa palestinese. Negli ultimi anni, RANDA si è affermata sempre di più come modello per numerosi artisti, raccontando dell’emergente scena culturale e artistica del suo paese, tanto in termini di produzione di street-art, quanto di crescita degli spazi per i giovani artisti. Lo spazio in cui lei e gli altri numerosi artisti si muovono oggi racconta infatti di una Amman estremamente prolifica dal punto di vista culturale, come dimostra ad esempio il lancio della Dar Art Fair nel 2021, la prima fiera per artisti indipendenti e galleristi dal Regno Hashemita ma anche da Palestina, Libano, Siria, Iraq e dal resto della regione araba.

Arte come resistenza

A ciò vale la pena aggiungere come RANDA e i molti altri artisti della scena hip hop locale rappresentino oggi una delle poche esperienze collettive in grado di veicolare i propri messaggi sociali e politici limitando la censura da parte del governo. Ciò è oggi possibile proprio grazie all’impegno costante da parte delle nuove generazioni nel promuovere la necessità di una scena artistica riconosciuta e celebrata anche dalle istituzioni. Per poter continuare a lavorare nel contesto giordano, i giovani artisti come RANDA combinano all’esperienza freelance la partecipazione a iniziative istituzionali, parte del progetto di rivalorizzazione urbanistica promosso dall’agenda di governo. Fiere, mostre, esibizioni, spazi di condivisione come Darat al Funun, Dark Room, MMAG Foundation, ed altri rappresentano la nuova realtà artistica giordana, incapace – per fortuna – di slegare la propria produzione dalle questioni che ogni giorno attraversano il paese e la regione MENA, prima fra tutte la questione palestinese, ma anche la crescente disoccupazione giovanile, la violazione dei diritti delle persone LGBTQIA+ e ovviamente la questione femminile nel mondo arabo.

Randa Abu Ahmeh, Bat Woman, Jabal al-Weibdeh

 

Riprendo a muovermi, e mentre lo faccio rammento a me stessa quanto questa non sia una città walking-friendly, come spesso ci diciamo qui tra di noi expats (espatriati, stranieri). Sono all’angolo tra Rainbow Street e Omar Bin Al-Khattab Street: a pochi passi dall’incrocio di queste due strade sta calmo e prezioso un luogo che nel racconto delle esperienze femministe e artistiche del paese Hashemita ha un grande valore, il Book@cafè. Books@ è un luogo di incontro, a metà tra una libreria ed una caffetteria, nella quale da più di vent’anni numerose generazioni di giordani vivono esperienze di collettività, produzione artistica e scambio di saperi.

Fondata nel 1997, Books@Café si trova esattamente nel cuore del quartiere di Jabal Amman, nel quale continua a rappresentare un “safe space” per tutte quelle minoranze sessuali e identitarie che non si riconoscono nel modello patriarcale etero-normativo precostruito, un luogo di incontro, dialogo, apertura e attraversamento di suoni e immagini. Come lo stesso ideatore del progetto Books@, racconta nel suo libro, Are you this? Or are you this? (2021):

“Quando ho dipinto le pareti di Books@ con una fantasia floreale che è ancora lì, tre decenni più tardi, già sapevo cosa avrei voluto che Books@ diventasse. Un luogo inclusivo, non discriminatorio, una zona “hate free” in cui le persone potessero incontrarsi in pace, amore e diversità. Qualcosa di bello.”

Ancora oggi, questa piccola libreria/caffetteria rappresenta un esempio concreto dell’impegno della comunità artistica, letteraria e queer nel paese Hashemita per accedere e fare propri quegli spazi – in particolare pubblici – notoriamente etero-normati e poco inclusivi. Nello spazio di Books@ infatti, si sono avvicendati nel corso degli anni tantissimi eventi, presentazioni di libri e dibattiti pubblici su questioni sensibili come i diritti umani e quelli sessuali e riproduttivi, le malattie sessualmente trasmissibili (STDs), i diritti di genere e la cultura femminista. Sebbene la scena intellettuale e artistica giordana e più in generale quella Medio Orientale continui ancora oggi ad essere in parte dominata e controllata da una cultura machista e patriarcale, Books@ e tutti gli artisti e scrittori che si sono avvicendati nei tanti eventi ospitati al suo interno hanno rappresentato a lungo tempo il simbolo di una crescita in termini di rappresentatività e attivismo da parte della comunità queer e più in generale di chi si riconosce “a margine” di una società ancora troppo tradizionalista, e a dare il loro contributo al dibattito in corso sui diritti nella regione. Nonostante la pandemia da Covid19 abbia inizialmente rappresentato una battuta d’arresto per moltissime esperienze di attivismo e produzione di sapere nel paese, crescono oggi le esperienze di compartecipazione, networking e produzione di contenuti collettivi, in cui le istanze del femminismo e dei diritti di genere si intersecano con quelle dell’arte, della letteratura, dello spettacolo, della produzione musicale, tutti strumenti di analisi critica delle questioni politiche e sociali che animano la regione. In questo contesto, da quasi 30 anni Books@ continua a rappresentare, seppur trasformandosi, un punto di riferimento per centinaia di giordani e dalla regione, oltre che un esempio concreto di attivismo per la parità di genere e i diritti dal mondo arabo.

Esperienze simili di attivismo e produzione collettiva per la parità di genere nell’area sono oggi numerosissime e in costante crescita, spesso accomunate dal bisogno di cambiare le consuetudini dal basso, trasformando le narrative tradizionali sottese alla cultura del paese. Tralasciando per il momento il racconto delle questioni istituzionali e delle agende governative, vale la pena porre l’accento sulle nuove generazioni giordane – donne e uomini – le quali ci hanno iniziato a raccontare, in questo primo tratto di strada dal balad a Jabal Amman, di un paese molto distante dagli stereotipi cui siamo abituati. In questo contesto, il Regno Hashemita di Giordania non rappresenta un’eccezione, ma un esempio molto interessante di come – al di là di ogni possibile semplificazione – la discussione sui diritti di genere oggi sia trasversale e intersezionale, coinvolgendo anche realtà apparentemente inconciliabili sul piano religioso e sociale con l’ampliamento della base dei diritti di donne e uomini a livello politico, economico e culturale.

Dopo questa lunga passeggiata, ritorno finalmente in uno dei miei luoghi preferiti, Rainbow Street. Da qui, da uno dei piccoli belvedere lungo la strada, posso osservare la città prima della preghiera della sera (ṣalāt al-ʿishāʾ), mentre la bandiera giordana issata sul Raghadan Flagpole sembra guardarmi, fissa nel cielo. (1)

Note

1 –Costruito in acciaio ed eretto sul terreno del Palazzo Raghadan nel complesso reale di Al-Maquar, il Raghadan Flagpole è un pennone alto 126,8 metri. Il 10 giugno 2003, il Re Abd Allah II ha issato ufficialmente la bandiera del paese sull’asta della bandiera.

Per leggere la prima parte

 

Marta Tarantino Ph.D. Asia, Africa e Mediterraneo, Senior Researcher – Arab Renaissance for Democracy and Development (ARDD), Amman

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