40 anni da governo Craxi/interviste/5/. Francesco Damato: la sua riforma costituzionale resta non attuale ma attualissima

Proseguiamo la serie d’interviste sui 40 anni dal governo Craxi ascoltando uno dei più famosi notisti politici italiani, Francesco Damato, pugliese di nascita (Margherita di Savoia, Fg), ma romano di adozione, che ha seguito per anni la politica italiana per Il Giorno, di cui è stato Direttore,  Il Giornale, la Nazione, La Gazzetta del Sud e tanti altri quotidiani italiani.

In questa intervista Damato ci riserva qualche chicca interessante e più di uno dei suoi famosi affondi.

 

 

 

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Caro Francesco, il 2023 sono trascorsi 40 anni dal governo Craxi. Che cosa resta di quell’esperienza di governo durato quattro anni?

Di certo il nuovo Concordato con la Chiesa, inutilmente tentato da tutti i predecessori democristiani di Bettino Craxi alla guida del governo nell’era repubblicana. La leggenda, diciamo così, vuole che alla vigilia della firma Craxi se ne fosse scusato con Giuseppe Garibaldi davanti ad uno dei busti che aveva da ammiratore e collezionista.  Ma aveva ben poco da scusarsi perché dentro di sé non si era mai spenta la fede inculcatagli soprattutto dalla mamma. Non a caso, del resto, alla sua morte egli volle funerali religiosi a Tunisi, celebrati da un vescovo che lo commemorò ripetendo il passaggio delle Beatitudini dedicato ai perseguitati per la giustizia destinati al Regno dei Cieli: un passaggio che raccolse l’applauso più forte dei fedeli e non fedeli che avevano riempito la Chiesa.

Spieghiamolo ai giovani che al tempo del governo Craxi non erano neanche nati: in che cosa consisteva la novità del governo Craxi? Quali i suoi punti qualificanti?

La novità dei due governi Craxi succedutisi fra il 1983 e il 1987 rimane per me costituita dalla prima e unica guida socialista di un esecutivo repubblicano, cui la Dc si piegò dopo averla scartata nel 1979, irritata -con la sola eccezione di Arnaldo Forlani- dalla sorpresa riservatale dal presidente Sandro Pertini, socialista pure lui, di conferirgli l’incarico. Massimo D’Alema approdò a Palazzo Chigi nel 1998, durando circa un anno e mezzo con due governi, non certo da socialista ma da post-comunista. Nel cambiare nome al partito dopo il crollo del muro di Berlino e del comunismo, i dirigenti del Pci non si lasciarono neppure tentare dall’idea di chiamarsi socialisti. Accettarono di farlo solo a livello europeo aderendo al Partito Socialista Europeo, appunto, previa autorizzazione del Psi.

 

 

 

Molti, ricordando il governo Craxi, si fermano a Sigonella, il punto più alto di affermazione della sovranità nazionale, che suscitò l’applauso alla Camera anche dei comunisti. Oltre Sigonella, che cosa andrebbe ricordato del governo Craxi?

Sigonella fu una lezione di dignità e autonomia che in effetti persino i comunisti furono costretti ad apprezzare e applaudire in Parlamento: una lezione alla fine accettata dallo stesso presidente americano alla Casa Bianca spiazzando il povero Giovanni Spadolini, che per solidarietà con gli Stati Uniti si era dimesso da ministro della Difesa rinunciando alla fine non al Ministero ma alle dimissioni. Una lezione -aggiungo- accettata da Reagan con convinzione, senza la riserva di chissà quale vendetta, da qualcuno attribuita poi agli Stati Uniti immaginandone la partecipazione alla campagna anche di stampo internazionale scatenatasi contro Craxi all’esplosione della cosiddetta Tangentopoli. Parlandone insieme una sera ad Hammamet, mentre squillava l’allarme in una casa vicina e un nugolo di poliziotti tunisini armati fino ai denti ci circondò per proteggerci, Craxi mi disse: “Tu pensi che io qui sia così al sicuro senza il consenso degli americani?”.

 

 

 

 

 

Della Grande Riforma, che Craxi agitò come bandiera di rinnovamento dello Stato, quali proposte conservano una validità e attualità?  Che cosa andrebbe rilanciato?

La riforma costituzionale proposta da Craxi rimane non attuale ma attualissima. Egli fu costretto a rinunciarvi per le resistenze combinate, e conservatrici, della sinistra democristiana e dei comunisti: gli stessi che cercarono di boicottare e fargli perdere il referendum sui tagli anti-inflazionistici alla scala mobile dei salari. Ne uscirono sconfitti loro, salvo in qualche località come Nusco, il paese dell’allora segretario democristiano Ciriaco De Mita, che ne sarebbe alla fine diventato coerentemente sindaco.

Per esempio la battaglia per la delegificazione, la polemica sul Parlamento che perdeva tempo a fare leggi sui molluschi eduli lamellibranchi o sulla eviscerazione degli animali da cortile, invece di far procedere con atti amministrativi? Il Parlamento continua in questo andazzo?

Craxi riuscì a tirare fuori il Parlamento dal pantano delle votazioni a scrutinio segreto persino sul bilancio e sulle manovre finanziarie. Sarebbero stati poi altri a delegittimare il Parlamento con l’antipolitica e con l’introduzione surrettizia del monocameralismo ormai vigente, visto che nei fatti una sola Camera ormai decide e l’altra ratifica.

Il modus operandi del governo Craxi prevedeva riunioni preparatorie, in organismi istituiti ad hoc, come il consiglio di Gabinetto. Un metodo che poi è stato abbandonato. Sarebbe ancora valido?

Più ancora degli organismi, in verità, valeva nei governi Craxi la personalità di chi lo guidava con mano ferma. Egli nobilitò il decisionismo ridotto da alcuni suoi successori, anche della cosiddetta seconda Repubblica, a macchiettismo. Come nel caso, a mio modestissimo avviso, di Romano Prodi, o di Matteo Renzi.

Rapporti con Berlinguer:  tra i due furono pessimi. Il segretario del Pci, invece di salutare la novità del primo presidente del Consiglio socialista, lo definì un pericolo per la democrazia. C’erano anche motivi caratteriali nei loro rapporti?

I rapporti con Enrico Berlinguer furono di natura patologica più che politica. L’ossessione che Berlinguer aveva di Craxi, sin quasi a morirne, è ben descritta nel libro autobiografico di un testimone come Piero Fassino.

 

 

 

Come si potrebbe definire o descrivere lo stile di governo del presidente del Consiglio Craxi

Uno stile decisionista, ripeto, ma non velleitario, perché mai Craxi sacrificò al suo stile quella che lui chiamava “governabilità” del Paese. Non era un velleitario alternativista, come certi compagni di partito, ma semplicemente un autentico e ostinato riformista.

Qual è la cosa meglio riuscita del governo Craxi?

La cosa meglio riuscita del governo Craxi rimane, secondo me, il completamento del riarmo missilistico della Nato, che sfiancò l’Unione Sovietica fino a farla crollare senza lo spargimento di una sola goccia di sangue.

E quella non realizzata o rimasta incompiuta perché non ci fu più tempo o perché non era possibile?

La cosa non realizzata è la riforma costituzionale -ripeto- bloccata dalla convergenza conservatrice fra la sinistra democristiana e i comunisti. Fra i quali tuttavia la contrarietà non era unanime come nelle apparenze. Vi speravano un po’ anche i cosiddetti “miglioristi” di Giorgio Napolitano. Il quale quando ne ebbe l’occasione, da presidente della Repubblica scrivendo alla vedova Craxi nel decimo anniversario della morte del marito, contestò la lettura negativa fatta anche dei governi innovativi del leader socialista schiacciandone la storia sotto la successiva vicenda giudiziaria. A proposito della quale Napolitano tenne a sottolineare, cioè a denunciare, “la severità senza uguali” riservata dalla magistratura a Craxi nelle indagini e nei processi sul fenomeno diffusissimo del finanziamento illegale della politica. Peccato che di quella lettera di Napolitano -forse tra gli atti più significativi, se non il maggiore in assoluto dei nove anni della sua Presidenza- il già principale e raffinato collaboratore di Craxi a Palazzo Chigi, Giuliano Amato, non abbia avuto il tempo o la voglia di ricordarsi parlando ai funerali di Stato dell’ormai presidente emerito della Repubblica nell’aula di Montecitorio il 26 settembre

 

 

 

 

 

 

Mario Nanni – Direttore editoriale

 

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