Perché non dovremmo mentire? (Einstein)

A proposito del film Oppenheimer "Prometeo moderno" e della "moralità" della scienza, Il focus del film al di là delle forti suggestioni da biopic movie: come si può conciliare il carattere irrinunciabilmente descrittivo della scienza con quello prescrittivo della morale e della politica?

In questi giorni la stampa- e anche il nostro giornale- stanno dedicando parecchia attenzione al film Oppenheimer di Christopher Nolan, su cui vorrei aggiungere qualche riflessione “a caldo”, avendolo appena visto.

Oltre ad essermi sentita “commossa” nel senso etimologico del termine, cioè smossa nel profondo, colta da emozione e forti sensazioni, grazie anche allo straordinario montaggio e agli effetti speciali impiegati, il film ha fatto sorgere in me, spettatrice profana della materia scientifica coinvolta, alcune riflessioni di ordine morale, sociale e culturale. Il racconto della vicenda del grande scienziato ha i tratti dell’epos mitico-storico e pone al centro- con ritmo incessante e ossessivo- il volto del protagonista, lo sguardo chiaro e penetrante di questo Prometeo moderno, per poi leggerne tutto il valore, anche simbolico, attraverso le relazioni che egli intreccia con gli altri scienziati, con il mondo della ricerca e soprattutto con la realtà mostruosa e aberrante della “politica di potere”.

In questa sede non intendo fare un’analisi formale del film, ma rilevarne la forte e perenne attualità focalizzata sull’interrogativo che la scienza impone e che attiene alla sua “moralità”. La vicenda umana, sociale e personale di Oppenheimer diviene il centro di un’esplosione nucleare di dubbi, perplessità, ambiguità, trascinando affezioni, lotte, contrasti, invidie e vendette nel sancta sanctorum del Laboratorio di Los Alamos, un deserto che con la sua solitudo non riesce a garantire allo scienziato tutto ciò di cui ha bisogno per procedere nel teorizzare e nell’applicare le proprie rivoluzionarie teorie: verità, libertà, indipendenza economica, diritto “all’indifferenza” emotiva.

Le manifestazioni contraddittorie della personalità di Robert vengono giustamente ricondotte dal regista alla contraddizione basilare che si pone tra la fredda morale tecnologica e un nuovo “umanesimo” scientifico. Come sosteneva Albert Einstein (che appare in un cammeo memorabile del film in cui è anche una premessa narrativa) vi è come un freno puritano nello scienziato che cerca la verità e che lo tiene lontano da tutto ciò che è di carattere volontaristico o emotivo; ragion per cui le proposizioni scientifiche, relative a fatti e relazioni, non possono produrre istanze etiche, ma possono accoglierne alcune come premesse basilari, con la stessa funzione che hanno gli assiomi nella matematica.

Nel dominio della scienza vera e propria, quello di competenza di Oppenheimer e dei suoi collaboratori, non si contemplano assiomi etici del tipo “Tu non mentirai” se non per la ragione che il mentire distrugge la fiducia nelle affermazioni degli altri, rendendo difficile o impossibile la cooperazione sociale. D’altro canto gli assiomi, compresi quelli etici, che per la logica pura sono arbitrari, non lo sono da un punto di vista psicologico e genetico, ci ricorda sempre Einstein, perché derivano dalle nostre tendenze innate a evitare il dolore e l’annientamento e dalla reazione emotiva gradatamente formatasi negli individui nei confronti dei loro vicini. Queste riflessioni del padre della relatività mi sembrano fondamentali per precisare il senso del dramma vissuto dal padre della bomba atomica nella fase applicativa della sua “fatale” invenzione.

Stretto nelle gabbie e nei vincoli progressivi degli apparati statunitensi, sia militari che politici (questi ultimi concentrati su un vergognoso Truman e sul bilioso antagonista Lewis Strauss) lo scienziato puro, che in quanto tale è mosso dal sistematico perseguimento della conoscenza oggettiva contro tutti i sistemi fideistici sia primitivi che evoluti, vive in prima istanza l’euforia della scoperta grandiosa, rivoluzionaria che porterà per sempre il suo nome.

Ma poi deve (ed entriamo de facto nella sfera dei valori etici) considerarne la terribilità, gli effetti, la ricaduta sociale di cui avverte tutta la responsabilità. Sono diventato Morte, il distruttore di mondi : con questo versetto tratto dagli scritti vedici a lui cari, Oppenheimer- e con lui il regista- individuano l’enorme, complessa contraddizione in cui è precipitato. L’etica della conoscenza, l’unica in grado di gettare le basi del sistema di valori compatibili con la scienza stessa, inevitabilmente entra in rotta di collisione con altri sistemi di valore ed è costretta a confrontarsi con istanze afferenti ad altri giudizi di valore.

Per semplificare il problema, che secondo me rappresenta il focus del film al di là delle forti suggestioni da biopic movie, come si può conciliare il carattere irrinunciabilmente descrittivo della scienza con quello prescrittivo della morale e della politica? E’ l’eterno dilemma galileiano, quello del rapporto tra mondo dell’essere e mondo del dover-essere: il medico può guarirci, ma non sta a lui, in quanto medico dirci se valga o no la pena di vivere. Montagne di scienza non producono un grammo di morale: la fisica atomica ci fa conoscere l’energia nucleare, la sua potenza, la possibilità della reazione a catena, ma non fanno parte della teoria atomistica asserti quali “dobbiamo costruire bombe atomiche” e neppure “dobbiamo usare l’atomica a scopi pacifici”.

Tale contraddizione esplode con drammatica evidenza nel film di Nolan, facendone un prodotto, oltre che esteticamente travolgente e storicamente documentato, “moralmente” utile. Nel corso della vicenda umana e scientifica di Oppenheimer emerge il cuore della questione: se è vero che la scienza non è di per sé né buona né cattiva, che è oggettiva (nel senso di controllabile e non incontrovertibile), è altresì vero che essa non è socialmente indifferente e che non lo è né in senso spirituale né in senso materiale. Nel primo basta considerare il contributo che la razionalità scientifica ha dato e continua a dare nella lotta di liberazione degli uomini dai miti e dalle superstizioni; nel secondo entra in campo la tecnica, che non è la sorella stupida della scienza, ma ne costituisce la connessione- come rilevava Max Born – con la politica.

La scienza, aggiungo, non è indifferente neppure filosoficamente vista la sua influenza sulla nostra immagine dell’uomo, della natura e della società. Le capacità distruttive della scienza odierna si affacciano con drammatica prepotenza nella mente e nell’immaginazione di Robert, ponendolo di fronte alla necessità del disarmo e del controllo dell’energia nucleare. Un tema di indiscussa attualità, tanto più in tempi di guerra come il nostro, in cui la minaccia del nucleare funge da spauracchio ricorrente. Sulle “conseguenze pratiche della scienza” il grande fisico intervenne in una serie di conferenze tenute nel 1953 con al centro il tema del rapporto tra scienza e uomo comune. L’albero della scienza- che esplicitamente chiama in causa il racconto biblico- si appunta sull’ostacolo posto dal concetto stesso di segreto a proposito delle armi atomiche, concetto che, allargato sul piano storico, ci riporta a qualcosa di estrema attualità: il bisogno di condividere tutte le scoperte innovative della ricerca, perché se certe conoscenze sono possedute da certi studiosi, l’insieme delle conoscenze non può essere abbracciato da nessuno, perché la somma è troppo grande.

Questo alto monito è frutto di un pensiero problematico maturato in Oppenheimer a partire da Trinity, il primo test della bomba, e ce lo restituisce nella sua nobiltà di uomo, troppo spesso contaminata da giudizi fuorvianti e da sospetti faziosi. Ben oltre il disarmo si deve prendere in considerazione un mondo di effettiva collaborazione tra i popoli senza tener conto delle loro nazionalità. Ciò significa che il mondo dovrebbe essere un mondo aperto in cui, per parlare concretamente, il segreto fosse illecito[..]Le comunità della scienza e del sapere sono la controparte umana e la base delle istituzioni internazionali che l’avvenire dovrebbe offrire perché in esse riposa, mi sembra, la speranza che sopravvivremo a questo “stravagante” periodo della storia degli uomini.

Nella stessa sede, toccando il tema dell’informazione scientifica, Oppenheimer osserva che la conoscenza della natura dell’atomo non è prerequisito essenziale per spiegare all’uomo comune cos’è l’energia nucleare, perché egli non dovrebbe trovare difficoltà, come non ne ha trovate nel comprendere il ruolo dei vaccini nella prevenzione delle malattie. Ineffabile ottimismo dello scienziato! Egli non poteva- nonostante la grande forza immaginativa che gli fece ipotizzare la pace figlia della paura– prevedere la stravagante e sovranista opposizione dei No-vax. Non riusciva ad accogliereto tra scienza e società: se lo scienziato, in quanto tale, necessita di libertà e soprattutto oggi a l’idea che -nonostante i progressi del suo sapere- potessero persistere sacche di irrazionalismo, atteggiamenti negazionisti, diffusa sfiducia ideologica nella scienza. Ma il padre della bomba atomica, rinunciando a lavorare su quella all’idrogeno, impostò- in ossequio ad Einstein- il nuovo rappornche di cospicui stanziamenti economici, la società, in quanto tale, ha il diritto di controllare le applicazioni sociali delle ricerche scientifiche e di sapere dove possano condurre le loro applicazioni pratiche. Ma questo possono farlo solo gli scienziati stessi. La loro ideologia consiste nelle scelte dei problemi da indagare e nella selezione dei progetti per i quali ottenere finanziamenti. In questo senso allora la scienza può/deve(?)non essere neutrale.

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