Canto del Gallo / Noi. Intelligenti. Coscienti

Ritorna la rubrica del noto critico e storico dell’arte e dei linguaggi delle arti visive con il suo caratteristico approccio multidisciplinare ai temi delle cultura e ai fenomeni del nostro tempo

Quando prendiamo coscienza di sapere di non sapere, quando ci troviamo di fronte ad interrogativi a cui non sappiamo dare risposta, quando ripetiamo, a modo di mantra, enigmi secolari o appena nati, che ci lasciano sgomenti, invece di essere terrorizzati, di sentirci piccoli o miseri, dobbiamo gioire perché abbiamo un cammino ancora lungo da percorrere.

Praticamente lo avvertiamo come infinito e quindi entriamo nella coscienza che la Storia, non solo non  è ancora ancora finita, ma è appena nata, nel lasso di pochi millenni dall’invenzione della scrittura, che ci ha permesso di ampliare la memoria da individuale e poi di piccolo o gruppo, a quella dell’intera umanità.

Quali saranno le forme della nuova conoscenza, non lo possiamo sapere così come non sappiamo quali forme prenderà la fantasia, l’immaginario, ma possiamo dire, da subito, che ci dovrà guidare una grande abilità di dialettica, per cui ad ogni positivo corrisponde un negativo, ad ogni maschile un femminile, senza farsi prendere dalla paura, senza rintanarsi nel conosciuto, nell’appagato, nel comodo.

Appare da tutto ciò, lontano e marginale, ogni cultura che distingua, separi, la cultura dell’invenzione (umanistica) dalla cultura della scoperta (scientifica); le due cose viaggiano di concerto, per fare felicità, che non è in uno stato di quiete, ma di moto, dell’essere e del sentirsi vivi, anche quando tutto congiura per la depressione e l’istinto di Thanatos bisogna leggere nel delebile, nel sottile, “astuti come le colombe, candidi come le volpi”.

Fondamentale, per tutto ciò, è l‘intelligenza, cioè la capacità di comprendere che lo sconosciuto, non è inconoscibile, ma qualche cosa che adesso sfugge, perché i nostri filtri non sono capaci di percepirlo e i nostri codici di comprenderlo, in un’informale turbinoso che non è mancanza di forma, ma una forma altra, che non conosciamo se non come emozione, senza codici, ma di cui abbiamo imprecisa percezione, così come abbiamo coscienza, di essere costantemente tra due psicologie,  una onirica, automatica imprevedibile ed una controllata dal nostro essere io oppure noi, che vive e biologicamente nel materiale, ma vive di più nel biografico, nell’immateriale, proiettandosi da finito, in infinito.

 

 

Scrive, Pierre Teilhard de Chardin nel suo Fenomeno umano, di analisi della formazione della biosfera nella litosfera, fino alla noosfera, immagina che  un ipotetico osservatore dello spazio, in cui noi siamo, nel vedere la nostra terra, questo piccolo puntino, nella “piccola” parte dell’universo visibile (il 4,6% dell’orizzonte degli eventi), che noi  vediamo colorato, dal blu degli oceani, dal verde delle foreste, dal bianco dei ghiacciai, ma la veda tutta fosforescente, dal compattarsi di tutti i cervelli umani, concordi nel designare, non una casualità,  ma un destino, di aghia sophia, di conoscenza, dunque di comprensione della luce e della trasparenza divina.

 

Francesco Gallo Mazzeo Docente emerito ABA di Roma, Docente di Linguistica applicata ai nuovi linguaggi inventivi delle arti visive in Pantheon Institute Design & Technology di Roma e Milano

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