C’è un modo tutto italiano di trattare i problemi politici e le posizioni dei partiti di maggioranza e di opposizione. Generalmente parlando, stampa e televisione discettano su cosa convenga al governo, all’opposizione, a tal partito. Sento e leggo: a Meloni conviene questo e quello, alla Lega converrebbe quest’altro e quell’altro; il nuovo Pd di Schlein avrebbe vantaggi alleandosi con Conte oppure tenendosene alla larga; a Renzi e Calenda il terzo polo è indispensabile; a Tajani, eccetera.
Il paternalismo, che i media si arrogano nei confronti dei partiti, puzza di pedagogia politica, la quale è separata dalla supponenza quanto lo spessore di un foglio di giornale. Credono davvero i mezzi di comunicazione di sapere meglio dei partiti stessi cosa giovi per acchiappare consensi e voti?
Sento e leggo pistolotti edificanti oppure condanne sferzanti, sempre in termini di convenienza partitica. L’attualitismo domina a destra e manca, infarcito di pettegolezzo parapolitico. Le prospettive di un indirizzo politico degno del nome, improntato a senso dello Stato, richiedono linee di ragionamento almeno quinquennali. E qui, incidentalmente, suona umoristico il richiamo al governo di legislatura (addirittura di due legislature) mentre di fatto la barca naviga sotto costa. Il piccolo cabotaggio è incoerente con la rotta dichiarata, la durata del viaggio e il mare aperto.
Capisco, per studio ed esperienza, che stampa e tv sono imprese che devono campare. Ma non sono convinto che abbaiare alla luna assolva quel compito di “cani da guardia della democrazia” che talvolta rivendicano con orgoglio non proprio legittimo. Mi capita di passare davanti a qualche talkshow, facendo zapping nell’attesa di superare l’ormai imponente pubblicità che devasta ogni emittente, compresa la Rai a cui il canone non basta mai.
Non posso non notare che, mentre un tempo i quotidiani riflettevano pure la cosiddetta “repubblica delle lettere”, adesso sono piuttosto caudatari di quelle piazzette mediatiche dove tutti sbranano tutti ed è impossibile capire se vi circoli, e quale, un’opinione ragionata e ragionevole degna di apprezzamento oppure utile alle attività politico-governative nel senso nobile dell’espressione. E neppure posso tacere che la stessa trentina di persone (forse meno!), che vidi imperversare nelle trasmissioni sul covid, sono le stesse che ammanniscono lezioni sull’inflazione, sul Pnrr, sui disastri ambientali, sulla delinquenza minorile, sulla globalizzazione, e così via sull’intero scibile umano ridotto a polpetta. Possibile, mi domando rispettosamente, possibile mai che gli stessi trenta opinionisti (anche meno!) siano talmente addottorati da nutrire opinioni rimarchevoli su qualsiasi materia vengano interpellati? Possibile che la “repubblica dei talkshow” esprima il presente stadio della “cultura pubblica” degl’Italiani?
Ecco allora che a parer mio i media non dovrebbero profondersi su cosa convenga o non convenga ad una forza politica, bensì, lo sottolineo, su cosa sia necessario fare nell’interesse oggettivo della nazione, anche proponendo e argomentando soluzioni alternative, e sforzandosi di convincerne i governanti mediante la pressione dell’opinione pubblica così persuasa.
I media sono un pilastro della democrazia. Furono definiti addirittura “quarto potere”. È triste vederli atteggiati a corifei di vani dibattiti e futili controversie, incentrati sull’audience benché biasimevole anziché sul necessario seppure spiacevole. All’obiezione secondo cui il necessario non è affatto baciato dall’unanimità, fuorché nello stato di necessità, rispondo che i media, contribuendo a dibattere ciò che sia, oppure no, davvero necessario nella contingenza, assolverebbero in pieno la loro vera, specifica, essenziale funzione, senza la quale la democrazia nella libertà appassisce e scade. Coltivare negli adulti l’analfabetismo politico può risultare addirittura più grave dell’analfabetismo che affligge la metà dei giovani diplomati. Forse l’uno pasce l’erba dell’altro.
Però gli adulti votano.