Migliaia di faldoni, dati all’Istituto Luigi Sturzo con la condizione – stabilita già da vivo dallo stesso Andreotti- che fossero consultabili da tutti, e quindi condivisi.
Presto sarà pubblicato un carteggio tra Andreotti e Cossiga al tempo del settennato (1985-1992), dove si potranno studiare i rapporti tra due democristiani così diversi: l’uno riflessivo, cauto, poco loquace, e l’altro impetuoso, immaginifico e ciarliero (soprattutto negli ultimi due anni da picconatore). Andreotti e Cossiga peraltro non avevano la stessa visione del partito. Il primo riteneva inconcepibile fare politica senza la Dc, partito in cui – scriveva a Cossiga – “siamo nati e in cui dobbiamo morire, il più tardi possibile”.
Anche la fede era vissuta dai due in modo diverso: Da Cossiga in modo razionale, illuministico, da Andreotti in modo tradizionale, da “popolano romano”, come amava ogni tanto definirsi.
Dentro queste carte c’è la storia del Paese, al punto che due storici – il professor Antonio Varsori e il professor Luca Micheletta- all’inizio un po’ scettici e poco speranzosi di trovare negli archivi depositati all’Istituto Sturzo dati decisivi per spiegare gli avvenimenti, poi si sono dovuti ricredere.
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C’è stata sempre molta aria di leggenda attorno ad Andreotti, nel bene e nel male, già quando era vivo
E la leggenda non ha risparmiato neanche gli archivi. Ma ci pensò già Andreotti a dissiparla. Il sette volte presidente del Consiglio disse una volta con il suo solito understatement, come dicono gli inglesi (atteggiamento di attenuazione): chi li leggerà cercando di scovare chissà quali segreti di Stato o di altro tipo resterà deluso; io non ho scheletri nell’armadio, non ho mai custodito documenti o carte per danneggiare avversari politici, semmai carte per documentare vicende politiche e storiche, o attività di governo.
Si favoleggiava, per esempio, che Andreotti conservasse carte e documenti su intellettuali foraggiati dal fascismo; o fascicoli del Sifar, servizio segreto militare, che se li fosse portati con sé al tempo in cui era stato ministro della Difesa. “Sono stupidaggini”, aveva già tagliato corto Andreotti.
Mentre intanto i suoi figli – in particolare Stefano e Serena, con l’aiuto del marito Marco Ravaglioli – stanno cercando di lavorare sui diari, tra mille difficoltà per decifrare la scrittura a volte geroglifica di Andreotti, dagli archivi intanto cominciano a uscire dati importanti per collocare questo protagonista della storia della Repubblica italiana in una prospettiva più equilibrata rispetto alla vulgata, a volte di maniera, che lo ha visto come un personaggio abbarbicato al potere, a volte cinico, senza particolari slanci ideali, e anzi raffigurato come l’emblema del potere democristiano o del potere tout court.
Negli anni, Andreotti è stato accostato per il supposto cinismo (ma anche per l’abilit a Talleyrand), paragonato a Belzebù, o a chissà quale manovratore di trame; fu definito una volpe da Craxi, che gli lanciò il monito: prima o poi le volpi finiscono in pellicceria. Ma in una lunga intervista a chi scrive, per la Nuova Antologia, Andreotti disse: ho pregato per Craxi e per la sua famiglia.
Ora, via via che va scemando lo spirito di fazione e tacciono le discordie civili, forse comincerà a emergere “il vero Andreotti”? e molte leggende demonizzanti cadranno? Per questo, sono al lavoro gli storici.
Ed è peraltro l’augurio che, concludendo la presentazione, nell’aula dei Gruppi parlamentari, degli archivi andreottiani, ha espresso Gianni Letta lanciando anche qualche sciabolata: “Grazie anche all’aiuto di queste preziose carte, si spera che si cessi di guardare ad Andreotti con il livore fazioso degli ultimi anni. Ricordo che nella cerimonia di commemorazione a Palazzo Madama , dopo la sua morte, il presidente del Senato era assente ( si trattava di Pietro Grasso, NdR) e i partiti incaricarono a intervenire in Aula figure di secondo piano”.
Eppure si stava commemorando un senatore a vita!
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Ma che cosa comincia a emergere con maggiore nettezza ora da questi archivi?
Ce lo dicono i due storici intervenuti.
Anzitutto la particolare attenzione di Andreotti, praticata in tanti anni di governo, verso la politica estera. A parte il fatto che è stato ministro degli Esteri e presidente della Commissione Esteri nei brevi e rari periodi in cui non ebbe incarichi di governo, Andreotti ha fatto sempre sua la linea degasperiana secondo la quale è la politica estera a dover influenzare, a orientare la politica interna. Non viceversa.
Questa era la linea di Alcide De Gasperi di cui Andreotti fu già a 28 anni sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro in tutti i governi guidati dallo statista trentino.
Dagli archivi, per la politica estera, hanno messo in evidenza i due storici presenti, sono emersi in particolare due momenti importantissimi con protagonista Andreotti: quando nel 1978 fece aderire l’Italia allo SME, sistema monetario europeo, “andando contro anche i suoi stessi interessi di governo”; una scelta che imponeva una politica economica di austerità e di lotta all’inflazione, in netto contrasto con la politica economica dei governi precedenti.
L’altro punto importante: l’interesse di Andreotti per Gorbaciov e la sua avventura politica, il suo impegno a che l’uomo della perestrojka fosse aiutato, soprattutto economicamente, ad affrontare i gravi problemi interni del suo Paese, dell’Urss che si avviava alla dissoluzione dopo il Muro di Berlino. Ma gli Stati Uniti, l’Inghilterra dissero no, abbiamo già dato, e Gorbaciov di fatto fu abbandonato al suo destino. Andreotti – osserva il prof. Micheletta – non era un uomo che amasse le rivoluzioni. Ecco perché nei confronti dell’Urss ha avuto sempre un atteggiamento cauto e preoccupato.
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Carteggio Andreotti – Cossiga al tempo del settennato, e lettere 1992-2010
L’interesse di questo carteggio, che avrà la prefazione di Giuliano Amato, sarà soprattutto quello di capire i retroscena di avvenimenti noti ma di cui si sa poco. Cossiga è stato presidente della Repubblica negli anni 1985-92, e Andreotti è stato presidente del Consiglio anche negli ultimi anni del mandato presidenziale cossighiano. Almeno due furono i contrasti e non da poco. In questo carteggio – dicono i due storici – c’è la crisi della prima repubblica (o repubblica dei partiti, come diceva lo storico Pietro Scoppola).
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Il messaggio di Cossiga alle Camere
Il 25 giugno del ’91 – il muro di Berlino era caduto da quasi due anni, il Pci aveva cambiato nome, c’erano i primi segni di scricchiolio del sistema politico (tangentopoli scoppierà l’anno successivo)- Cossiga, che si trovava nel suo massimo fulgore di Picconatore contro uomini politici (Occhetto zombie con i baffi, Violante piccolo Vysinskij, Zolla analfabeta costituzionale, Pomicino parla di Keynes ma prima bisognerebbe tradurglielo in napoletano, ecc), decise di inviare un messaggio alle Camere.
La Costituzione prevede (all’articolo 87) questa facoltà per il capo dello Stato, e d’altra parte è l’unico modo solenne di comunicare con il Parlamento. Andreotti riceve un documento di 86 pagine!, capisce che dovrà rinunciare al sonno, e lo legge con preoccupazione crescente e forte disagio politico. E poi risponde a Cossiga in questo modo: non è agevole esprimermi su 86 pagine pur avendo dedicato una parte della notte.
Andreotti vi nota un tono eccessivo, caricato, annota che ricorrono parole allarmanti: delegittimazione, crisi di regime, popolo sovrano messo in contrapposizione con la rappresentanza (cioè il Parlamento); e dice: è pericoloso generalizzare, si rischia una squalifica generale. E il ruolo centrale del Parlamento dove lo mettiamo?
Il messaggio di Cossiga era insieme un’analisi delle difficoltà del sistema politico, una richiesta di profonde riforme (non solo della macchina dello Stato) e al tempo stesso un allarme sullo scollamento tra Paese reale e Paese legale (formula allora in voga), sulla disaffezione della gente comune ( frase spesso usata da Cossiga) verso la politica. Ma nell’insieme era anche un oggettivo attacco al sistema politico e alla classe di governo.
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Lo scontro sulla controfirma del messaggio
Il messaggio presidenziale, per avere una legittimità costituzionale, come tutti gli atti del capo dello Stato debbono essere controfirmati, dato che secondo la Costituzione il presidente della Repubblica è politicamente “irresponsabile”. Cossiga chiese perciò la controfirma del presidente del Consiglio. Ma Andreotti si rifiutò. Questo rifiuto è oggetto di numerose lettere in cui i due personaggi, politicamente s’intende, se le danno di brutto, pur concludendo ogni volta le missive: naturalmente restiamo sempre amici.
Vediamo quali ragioni adducevano i due nella polemica. Cossiga diceva: metti la controfirma, ciò non significa che devi concordare con il messaggio, la firma ha solo un valore tecnico, se no non posso mandare il messaggio alle Camere; Andreotti replicava: tecnico un corno, nel momento in cui io controfirmo, ne avallo implicitamente i contenuti; ma io sono il presidente del Consiglio di un governo di coalizione e come potrei avallare tutta una serie di giudizi sulla classe politica senza mettere in crisi la maggioranza e lo stesso governo?
Cossiga insomma si fermava al formalismo della controfirma, dicendo che non implicava di necessità la condivisione da parte del presidente del Consiglio e quindi da parte del governo;
Andreotti invece guardava alle ripercussioni politiche ed era preoccupato.
Come andò a finire?
Andreotti non firmò, Cossiga insisté per mandare il messaggio, e si trovò un escomotage: lo controfirmò Claudio Martelli, ministro della Giustizia, cioè il Guardasigilli.
Dagli archivi oggi si è venuti a sapere che alla fine Andreotti il messaggio avrebbe finito comunque per firmarlo, per un riguardo verso il capo dello Stato e per non suscitare erronee illazioni.
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Cossiga aveva fiutato il vento di tempesta che stava arrivando? Ma Andreotti non stava a dormire. Avevano semplicemente approcci diversi per affrontare i tempi che stavano maturando
Naturalmente, facendo il giochino del “senno di poi”, anche se il sempiterno Manzoni ammonisce che “del senno di poi son piene le fosse”, si potrebbe osservare che Cossiga aveva intuito il vento che stava per spirare e la tempesta politica che stava per arrivare.
Ma è ragionevole sostenere che Andreotti, con la sua consumata esperienza, non ne avesse avuto sentore anche lui? Probabilmente, data la diversità di approccio, i due avevano una differente visione del modo di fronteggiare la crisi del sistema politico incombente: Cossiga mettendosi come un fantino sul cavallo del cambiamento e lanciandolo al galoppo; Andreotti cercando di cavalcare e domare il destriero magari credendo di governarlo, ma tenendo fermo il ruolo del Parlamento, della sua centralità, che è stato, con la politica estera, una delle sue bussole politiche e di governo.
Il che non vuol dire, come gli è stato rimproverato,“tirare a campare”; frase a cui egli rispose con una ritorsione polemica e quasi scaramantica.
Andreotti non era superstizioso come Giovanni Leone che al grido degli studenti pisani “Morte al Presidente” rispose con il gesto delle corna. Egli invece replicò con una delle sue celebri battute: “Meglio tirare a campare che tirare le cuoia”. In fondo, risponderebbe così un popolano romano, come Andreotti amava definirsi, ma la frase fu assunta dai suoi avversari come emblema e conferma di un attaccamento quasi morboso al potere. (E a proposito del potere, en passant, chi non ricorda l’altra battuta ritorsiva di Andreotti a chi, parlando della Dc che governava sempre diceva: il potere logora? E lui come rispose? “Il potere logora chi .. non ce l’ha”).
E a proposito di superstizione, la cerimonia nell’auletta dei gruppi parlamentari si è svolta alle 17 del giorno 17. Massimo Franco, esperto di Andreotti, e moderatore, ha ricordato un motto di Gaetano Gifuni, uomo superstiziosissimo, e gran commis d’Etat: due date “infauste”si annullano tra di loro.
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Ma torniamo per un momento alla vicenda del messaggio e alla mancata controfirma andreottiana
Ci fu una conseguenza, politicamente significativa: il messaggio fu ignorato dal Parlamento.
Non fu né esaminato né discusso, nonostante la mole (86 pagine, abbiamo già detto) e nonostante le polemiche sulla controfirma. Fu semplicemente ignorato.
In altre parole, spinto da Cossiga, “controspinto” (e non controfirmato!) da Andreotti, accadde ciò che avviene nella fisica quando ci sono due forze tra di loro contrapposte: il risultato è l’inerzia, l’immobilità.
Da qui si potrebbe dedurre, di passaggio, che tra la politica e la fisica ci sono molte affinità. Per esempio, nel caso del vuoto: quando c’è un vuoto politico, c’è sempre qualcuno che lo va a riempire. E spesso con esiti disastrosi.
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Il contesto politico di quell’anno 1991
Per capire questo passaggio cruciale della vita politica di quell’anno, bisogna tenere presente il contesto dei rapporti tra Cossiga, solitario e quotidiano picconatore in rotta ormai contro il sistema, e il Parlamento, dove c’era un Catone che quasi quotidianamente guerreggiava contro il Capo dello Stato. Questo Catone divenne l’anno dopo presidente della Repubblica e – volente o nolente non importa- finì per diventare il becchino della cosiddetta prima Repubblica: si chiamava Oscar Luigi Scalfaro.
A reti unificate – facendo sospendere una partita internazionale di coppa – getto l’urlo “non ci sto” quando temette di finire nel tritacarne di tangentopoli (le notizie sui 100 milioni percepiti, e senza doverne dare rendiconto, dai ministri dell’Interno e quindi anche da lui, che lo era stato durante il governo Craxi).
Ma quel “non ci sto” Scalfaro non lo pronunciò, come forse avrebbe dovuto da capo dello Stato e capo della magistratura, per attenuare certi furori poco eroici ma giustizialisti, quando si fece scempio dello Stato di diritto esponendo alla gogna pubblica, complice certa stampa conformista, degli avvisi di garanzia spacciati come sentenza anticipata di condanna cittadini innocenti e inermi (a parte quelli che poi furono motivatamente condannati).
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I contrasti su “Gladio”
Dal Carteggio Andreotti- Cossiga ci aspettiamo di conoscere qualche retroscena interessante anche su un’altra polemica che scoppiò tra i due, a proposito di Gladio.
Ebbene, Gladio è stato uno dei segreti rimasti più a lungo custoditi nella storia della Repubblica, ha notato in un suo recente libro il sen. Giovanni Pellegrino, presidente per sette anni della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo e le stragi.
In quegli anni il primo a farne un accenno fu Andreotti, Cossiga reagì alla sua maniera, diretta e irruenta. Ricordiamo in breve: Gladio era il nome dato a una organizzazione paramilitare di difesa che doveva muoversi in caso di invasione del Paese da parte dell’est ( nacque infatti ai tempi della Guerra fredda).
In questa organizzazione – citiamo sempre Pellegrino – furono arruolati uomini delle più varie tendenze politiche, anche di estrema destra, in nome della lotta al “pericolo comunista”).
E lo stesso Pellegrino racconta che al tempo del rapimento Moro, fu trafugato dal ministero della Difesa un importante documento su Gladio di cui poi le Brigate rosse vennero in possesso. Circostanza che, secondo il presidente Pellegrino, diede il colpo mortale alle chances di salvezza del presidente della Dc, sospettato di aver parlato di Gladio con i suoi carcerieri.
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Andreotti collezionista di menù e vignette. Ministro della Difesa per sette anni ma alla visita medica di leva era stato scartato. Un curioso aneddoto sul medico che lo escluse dopo averlo visitato
Un momento particolarmente interessante, durante la presentazione degli archivi, è stato quando Serena Andreotti ha fatto proiettare una selezione di foto dell’archivio del padre.
Per limitarci ad alcune:
la lettera che Andreotti ricevette da De Gasperi cinque giorni prima della morte del suo Maestro, avvenuta il 19 agosto 1954;
la minuta del discorso degasperiano al congresso di pace a Parigi nel 1946; (dove c’è la celebre frase: in questo consenso “tutto mi è contro tranne la vostra personale cortesia”. Racconta Serena: leggendo questa minuta, ho avuto la sensazione di respirare la Storia;
una pagella scolastica;
un compitino fatto alla scuola elementare, “non è granché”, commenta Serena;
le foto di quando era alla Fuci, con Moro, che gli affidò la direzione della rivista “Azione fucina”;
foto che lo ritraggono con esponenti del cinema, al tempo in cui Andreotti aveva la delega per la cinematografia (e la censura); una caricatura disegnata da Fellini che lo presenta come un cardinale;
varie foto che lo ritraggono con Papi, uomini di Stato e di governo;
la foto del primo giuramento da ministro ( 1954); da ministro della Difesa (per sette anni. Curiosità: alla visita di leva era stato riformato; il medico che lo visitò fece prognosi infausta sulla sua durata di vita; andato al ministero della Difesa Andreotti fece ricercare quel medico, forse per regalargli una delle sue battute; gli risposero che era morto).
Foto della prima volta presidente del Consiglio nel ’72 ( governo Andreotti – Malagodi); l’exploit elettorale di 600 mila voti di preferenza;
28 faldoni sulle brigate rosse e il caso Moro;
La lettera di Maria Teresa di Calcutta (poi diventata santa) che “ci è molto cara”, commenta Serena Andreotti; molte lettere di Giovanni Paolo II;
Collezione di menù, di varie parti del mondo, con gli autografi degli illustri commensali;
Collezione di vignette, circa 4000, dal tempo di De Gasperi a Giannelli;
Foto del 90/mo compleanno, applaudito da tutto il Senato.
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L’intervento finale di Gianni Letta (accennato all’inizio)
“Questa è una giornata fausta, felice. A me è capitato più volte di lamentare, di denunciare il trattamento subito da Andreotti negli anni. Alla commemorazione dopo la morte, a palazzo Madama il presidente del Senato non partecipò; tra i leader presenti c’era solo Pierferdinando Casini.
Oggi nel decimo anno della morte vedo presenti rappresentanti del Parlamento come Mulé (vicepresidente della Camera, oltre al messaggio del presidente Fontana), di quel Parlamento di cui Andreotti ha sempre rivendicato la centralità. Il contributo dei due storici è fondamentale per ristabilire una serie di verità.
Il carteggio Cossiga- Andreotti, relativo anche ai 55 giorni giorni della prigionia di Moro (su cui ci furono molte malignità sul ruolo svolto da Andreotti allora presidente del Consiglio, e riecheggiate con una impostazione “a tesi” dall’ultimo film di Marco Bellocchio, NdR) potrà servire a Bellocchio a rettificare tesi sostenute nei suoi film Esterno notte.
In quelli anni ero direttore del Tempo: il sen. Vittorio Cervone parlava con la famiglia Moro, io parlavo con Andreotti, poi andavo a parlare con Cossiga, dove trovavo spesso Pecchioli Ugo, considerato “il ministro dell’Interno del Pci”, NdR). Mi farebbe piacere che le leggesse anche Bellocchio per rivedere certe tesi prestabilite (su Andreotti e Cossiga)”.
Alla fine Gianni Letta si è rivolto ai figli di Andreotti: “state facendo un lavoro prezioso con amore di figli ma anche con spirito di cittadini di questa Repubblica che hanno a cuore la verità”.
Mario Nanni – Direttore editoriale