Narciso e la lince

Un interessante apologo di uno studioso di politica su arte di governo, risorse da investire, debito pubblico, Pnrr e burocrazia

La lince pare che sia tra gli animali dalla vista più acuta o almeno così pensavano gli scienziati che vollero chiamarsi Lincei. Narciso era un personaggio mitologico bellissimo che finì affogato nell’acqua dove amava rispecchiarsi. Per similitudine direi che nelle condizioni politiche dell’Italia scarseggiano i governanti-lince mentre abbondano i governanti-narciso. E non alludo soltanto a ministri, “governatori”, sindaci, ma al ceto politico in generale.

 

La lince

 

Noi cittadini siamo all’oscuro, di fatto, dei rivolgimenti che stanno procurando all’Italia le decisioni istituzionali, interne ed europee. Questi rivolgimenti vanno somigliando al nodo di Gordio. Spero di no, anche perché a scioglierlo fu Alessandro Magno nientemeno, con un colpo di spada.

Voglio spiegarmi con qualche semplice citazione giornalistica, che dovrebbe allarmare i governanti-lince mentre ammalia i governanti-narcisi. Paolo Zangrillo, ministro della Funzione pubblica, ha dichiarato: “La macchina amministrativa è il motore dello sviluppo del Paese e noi stiamo lavorando per modernizzarla.” Capisco la difesa d’ufficio. Il ministero per riformare i ministeri fu istituito decenni fa proprio per modernizzare la macchina amministrativa: un troppo vasto programma per tutti i ministri che vi si sono avvicendati. Che poi la macchina amministrativa sia “il motore dello sviluppo” può crederlo soltanto il ministro della Pubblica amministrazione, senza né sorriderne né arrossirne.

Gli amministrati, invece, sono portati a credere che la ricchezza della nazione derivi dagli scambi produttivi anziché dalla burocrazia. I rivolgimenti determinati dal dover impiegare la massa finanziaria del Pnrr dimostrano che la macchina amministrativa, ad ogni livello, è impari alle necessità e che, per tentare di equipararvela, sono costretti a revisionarla, smontandone pezzi e rimontandoli fino a rendere superflue le parti restanti.

Le Regioni non riescono a utilizzare gli ordinari finanziamenti europei, ma chiedono l’assegnazione dei finanziamenti straordinari del Pnrr. La chiedono con risolutezza e mendacio: “Dateceli a noi quei soldi, chè sappiamo spenderli meglio dello Stato centrale!”

Lo Stato e gli enti pubblici, anziché “motori” di sviluppo, ne costituiscono il freno, anche in un altro senso. Sono i peggiori soggetti pagatori. Ammontano a 49,6 miliardi i soldi dovuti ai creditori che hanno loro venduto beni e fornito servizi. Questo debito di 49,6 miliardi rappresenta il 2,6 % del Pil. La stragrande maggioranza dei creditori è formata da quelle piccole e medie imprese che sono il cuore del vero “motore di sviluppo” dell’Italia e aspettano la “benzina” dei pagamenti talvolta addirittura per mettersi in moto e spesso per accelerare.

Ho provato a capire qualcosa da questo brano pur scritto dall’eccellente Ferruccio de Bortoli: “In base alle linee guida della Commissione europea, ogni paese membro deve aggiornare il proprio Piano nazionale integrato di energia e clima (PNIEC, sigla quasi sconosciuta ma importante come quella del PNRR) entro il giugno 2023. Bruxelles poi verificherà la compatibilità dei programmi nazionali con gli obiettivi Fit for 55 al 2030 (riduzioni del 55% delle emissioni) per approvare il piano finale entro il 30 giugno 2024. Il primo passaggio, quello del mese prossimo, è ormai sicuro che lo salteremo. Siamo in drammatico ritardo” (Corriere Economia, 1.05.23).

Non ho capito niente eppure ne ho tratto sgomento come da un’oscura calamità, quella che non poté presagire Narciso innamorato in contemplazione di se stesso. E qui, fuor di metafora, Narciso è l’Ue che si specchia nella congerie dei suoi palingenetici piani costrittivi quasi fossero ispirati da un’imperscrutabile preveggenza superiore.

E mentre l’Ue determina con orgogliosa sicurezza la direzione futura dell’energia, del clima, dell’economia, della vita insomma (un nuovo “sol dell’avvenire” in salsa comunitaria), l’Istat calcola tristemente che in Italia i poveri assoluti sono 5,6 milioni e i poveri relativi sono 8,6 milioni, sicché in totale 14,2 milioni d’Italiani sono poveri. Un quarto della popolazione (realtà oppure massa elettoralmente succulenta?). Eppure, gli agricoltori non trovano 82.750 lavoratori indispensabili per le attività agricole, nemmeno tra gli oltre 3 milioni di giovani tra 15 e 29 anni che non studiano, non lavorano, disdegnano la formazione.

Alberto Brambilla, presidente di “Itinerari Previdenziali”, un impeccabile esperto a cui un Paese serio affiderebbe i ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico, premesso che nel 2008, dopo le crisi finanziarie,  i poveri assoluti e relativi erano la metà, il debito pubblico appena sotto il 100% del Pil, la spesa sociale a carico della fiscalità generale era 73 miliardi, ha sottolineato: “Oggi siamo a 2.762 miliardi di debito pubblico, circa il 145% del Pil; la spesa a carico della fiscalità generale è aumentata a quasi 157 miliardi; i poveri assoluti e relativi sono aumentati come suddetto. Questa enorme spesa assistenziale vale ormai quanto tutte le pensioni al netto dell’Irpef” (Corriere Economia, 1.05.23). E la spesa per interessi sfiora 80 miliardi, circa il 4%del Pil.

Sembrano scomparsi i governanti-lince che vedano cifre così impressionanti, sebbene scritte in caratteri leggibili pure da presbiti senza occhiali.

 

Pietro Di Muccio de Quattro

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