Centri storici, verso convegno Spoleto: intervista all’avv. Francesco Giuliani

Cominciare a riportare la vita stanziale dentro le mura urbiche: famiglie residenti, scuole, servizi, spazi culturali, commerci di prossimità (la famosa bottega sotto casa). Misure urgenti? Sono le politiche fiscali premianti per chi vive e lavora nel centro storico. Mettere un tetto percentuale agli affitti brevi per turisti. Va messo ordine sul tema delle "mangiatoie a cielo aperto"

Intervistiamo Francesco Giuliani,  avvocato tributarista, partner di Fantozzi&Associati.

C’è da restituire ai centri storici della città una nuova dimensione e un nuovo senso? Cominciando da dove?

Il senso da restituire alle città storiche è quello del rispetto della vita giornaliera e del diritto alla cittadinanza. Il centro storico ha un senso e una dimensione accumulati nei secoli. Più che a nuove dimensioni bisogna pensare di ritornare al senso originario dell’insediamento urbano, che nei secoli ha prodotto un accumulo di espressioni culturali già dalle architetture, oggi scambiate per scenari da set cinematografici e oltre. Un insediamento storico simbolo evolutivo di civiltà, di conquiste sociali ed economiche; la base delle nostre ricchezze.

Da dove cominciare?

Dal riportare la vita stanziale dentro le mura urbiche: famiglie residenti, scuole, servizi, spazi culturali, commerci di prossimità (la famosa bottega sotto casa). Ritornare indietro, siamo ancora in tempo. Pensiamo alla folle “moda” dei centri commerciali: pensati in culture prive di accumulo storico per imitare i nostri bellissimi centri storici con le botteghe a portata di mano, vengono “esportati” in Italia per scimmiottamento acritico (spinto dal dio denaro) distruggendo quel tessuto particolare che è la nostra forza di comunità, la nostra eredità, il nostro patrimonio.

Cominciamo a rispettare la nostra storia!

Uno dei temi del convegno è la necessità di evitare lo svuotamento dei centri storici, per la fuga di coloro che vi abitano, e di favorire il ripopolamento. Quali misure secondo lei sono tra le più urgenti?

Le misure urgenti sono le politiche fiscali premianti per chi vive e lavora in centro storico. Politiche premianti che riguardano le tasse territoriali, le agevolazioni per gli affitti lunghi, il riconoscimento degli spazi vitali all’interno delle ZTL.

Il contrasto all’uso del patrimonio immobiliare interamente per gli affitti brevi per turisti. Questioni che solo la politica amministrativa territoriale può gestire a seconda delle realtà particolari.

Un Comune deve mettere un tetto percentuale agli affitti brevi (anche per difendere le imprese alberghiere), aumentare i controlli sul territorio anche per una giusta contribuzione delle tasse di sistema che servono anche a combattere il degrado. Alle politiche territoriali è richiesta maggiore influenza e decisione nella gestione del decoro e dell’igiene.

Da Lecce a Roma a Milano, i centri storici sono dominati dal fenomeno del cosiddetto tavolo selvaggio, che specialmente nelle ore serali e notturne provoca fenomeni che incidono sulla vivibilità, il decoro e l’igiene. Secondo lei si può risolvere e come la contraddzione reale tra le esigenze della vivibilità e dell’appeal dei centri storici e le esigenze economiche degli operatori commerciali?

Intorno al tema, molto controverso, delle “mangiatoie a cielo aperto” è necessario mettere ordine. Le esigenze primarie sono quelle dei residenti che valgono, in termini di valore economico, mille volte più dei turisti. Il residente vive il centro storico tutto l’anno e contribuisce al 100% alla vitalità del centro con tutte le contribuzioni e i giri economici giornalieri. Il turista vive il centro, se va bene, 15 giorni l’anno. Le dimensioni non hanno bisogno di ulteriori calcoli. La vivibilità del centro storico deve essere incentrata sulla categoria che ne è il principale motore economico: il residente.

Immaginiamo un centro storico snaturato e fatto diventare “parco divertimenti” a uso esclusivo dei turisti, un po’ come sta avvenendo per Venezia. Cosa succede se il flusso dei turisti all’improvviso si interrompe, come è avvenuto durante la pandemia di Covid? Venezia e tutte le altre città con il medesimo destino muoiono.

Questa è la lezione più aggiornata dei nostri giorni. Il turismo è una voce molto importante nel panorama nazionale, ma non può essere l’unica voce a sovrastare le altre, sociali ed economiche. Gli operatori economici devono, se vogliono sopravvivere, cambiare visione di sostenibilità. Le loro esigenze devono incontrarsi e non scontrarsi con i maggiori stake-holders dei centri storici italiani: i residenti.

La rigenerazione, la riqualificazione dei centri storici non dovrebbe essere anzitutto una rigenerazione culturale?

La ri-generazione culturale richiama il ri-popolamento dei centri storici. La creatività, la cultura sono pulsioni umane primarie: sono beni che si accumulano con il loro consumo. Infatti la cultura è l’unico caso umano di consumo che non distrugge il bene consumato ma ne produce altro e di più. La rigenerazione culturale è conseguente al ripopolamento e genera dall’orgoglio di appartenenza a una realtà storica.

Diventa dunque un’opera corale che rinasce e cresce come frutto indiretto dell’esercizio delle altre virtù umane e civili, in una condizione di libertà sostenibile. Noi Italiani, insieme a tutti i popoli delle altre nazioni sorelle europee, siamo ricchi di tale materia rappresentata dai centri storici. È il nostro patrimonio culturale, così come chiaramente ratificato da tutte le legislazioni di tutela e conservazione da secoli. Snaturare i nostri centri storici della loro autenticità è come divellere e trapiantare un ricco e ubertoso albero in pieno deserto. Ci conviene? È la nostra vera natura e missione?

Del destino e del rilancio dei centri storici debbono occuparsi solo le amministrazioni comunali o anche, come questo convegno del resto suggerisce, la società civile, le Regioni, il Governo?

Il rilancio dei centri storici passa per la consapevolezza collettiva (e mi riferisco alla coscienza collettiva come argomento) che non possiamo privarci del nostro valore primario: la nostra identità storica che si reifica nel caleidoscopico tessuto urbano che i nostri avi ci hanno lasciato. Va da sé che gli italiani tutti, dai singoli al Governo, passando per le Regioni e i Comuni debbano occuparsi di ri-organizzare il nostro futuro, partendo proprio dalla cellula primaria della società: il vivere insieme nelle nostre città.

 

M.N.

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