Ancora una guerra, ancora in Europa. Questa volta in Ucraina.
Le televisioni, tutti i mezzi di informazione, i social riversano quotidianamente nelle nostre case le immagini agghiaccianti dei bombardamenti, delle distruzioni, delle uccisioni, degli esodi, soprattutto di donne e bambini. Tanti bambini: l’Ucraina – abbiamo appreso – è un Paese particolarmente prolifico, se paragonato all’Italia o, comunque, alla “vecchia” Europa.
Le stragi non risparmiano nessuno, neppure ospedali, case di cura o di riposo, brefotrofi. Anzi, in televisione, esperti di cose militari ci dicono che infierire sui civili risponde ad una precisa strategia, quella di fiaccare il prima possibile la resistenza ucraina.
Eppure ciò non sarebbe permesso. A vietarlo è il diritto penale internazionale. Addirittura, a stare alla normativa sulla guerra, codificata nelle varie Convenzioni dell’Aja, un conflitto quale quello scatenato dalla Russia di Putin non sarebbe – non è – possibile, perché integra l’ipotesi del “crimine di aggressione”, posto che la normativa internazionale oggi vigente stabilisce che il ricorso alla guerra è sempre proibito, escluso il caso di autodifesa (è il caso solo dell’Ucraina) ovvero quando vi sia espressa autorizzazione dell’ONU all’uso della forza, secondo quanto previsto dalla Carta delle Nazioni Unite.
Dunque il “crimine di aggressione” – crimine contro la pace – costituisce una manifesta violazione del diritto internazionale (crimine di guerra) che chiama in causa gli Stati (in questo caso la Russia), ma integra anche illecito penale a carico delle persone che lo hanno reso possibile (Putin e gli altri oligarchi al potere). Persone che possono essere chiamate a risponderne dinanzi alle Corti internazionali, prima fra tutte la Corte internazionale dell’Aja (come è capitato, in questi anni, ad alcuni uomini di governo o comandanti militari serbi per i crimini commessi durante la guerra civile nell’ex-Jugoslavia). Per non parlare poi degli eccidi dei civili.
Ci si chiede, peraltro, quale sia l’effettiva deterrenza di tali disposizioni. Qui, effettivamente, il discorso comincia ad essere piuttosto delicato, perché se la deterrenza fosse elevata, probabilmente assisteremmo ad un numero inferiore di conflitti. Ma ciò non significa che il diritto penale internazionale lasci correre o manchi del tutto di deterrenza.
In principio fu Norimberga, verrebbe da dire.
Al termine della seconda guerra mondiale, in seguito all’accordo di Londra, furono creati dei Tribunali speciali per processare tutti coloro che si erano resi responsabili di crimini nel corso della guerra. Il più importante di tali processi si celebrò a Norimberga e si concluse con la condanna a morte dei maggiori esponenti del regime nazista: tranne Hermann Göring, che riuscì a suicidarsi il giorno prima dell’esecuzione con del cianuro di potassio, furono giustiziati per impiccagione Von Ribbentrop, Keitel, Kaltenbrunner, Rosenberg, Frank, Frick, Streicher, Sauckel, Jodl, Seyß-Inquart. Il boia fu il sergente statunitense John C. Woods. I cadaveri dei gerarchi vennero poi cremati nei forni del lager di Dachau e le loro ceneri gettate nel rio Conwentz.
Al processo di Norimberga altri ne seguirono, in altre città della Germania, ma anche in Francia, in Giappone, In Israele (dove fu processato Adolf Heichmann, uno dei capi delle SS), in Italia (l’ultimo di essi è, cronologicamente, quello a Eric Priebke, il boia delle Fosse Ardeatine).
Rispetto a Norimberga e, in parte, anche agli altri processi, si sono posti numerosi problemi, anche giuridici, pur se non è mai stato in discussione – né poteva essere altrimenti, del resto – il male fatto, i molteplici crimini cui si lasciarono andare i nazisti durante la seconda guerra mondiale: al di là di ogni negazionismo, le prove sono univoche sul punto, basti pensare ad Auschwitz e agli altri campi di concentramento.
Se, infatti, non è in discussione il fatto che il totalitarismo nazi-fascista si sia reso responsabile di crimini gravissimi e che tali crimini andassero, comunque, giudicati e sanzionati, ciò che ha costituito – e costituisce tuttora, rispetto a casi analoghi: si pensi, qualche anno fa, al processo a Saddam Hussein – motivo di riflessione anche polemica è se la Giustizia penale che si celebrò nel processo di Norimberga sia stata una “Giustizia giusta” o non, invece, la “Giustizia dei vincitori” (problema esemplarmente rappresentato nel film di Stanley Kramer “Vincitori e vinti”).
Contro il processo di Norimberga si appuntarono, infatti, le critiche di grandi giuristi, quali Carl Schmitt – che fu anche arrestato ed imputato di “collaborazionismo” per essere, poi, prosciolto – ed Hans Kelsen.
Ma, a parte ciò, Norimberga rappresenta comunque una tappa miliare del percorso che porterà, poi, al moderno diritto penale internazionale. Perché a Norimberga si stabiliscono due principi fondamentali: che ad essere processati ed eventualmente puniti non possono essere solo i “pesci piccoli”, ma anche i leader e capi di Stato; inoltre che l’aver ubbidito ad un ordine superiore non costituisce, di per sé, un’esimente di responsabilità, ma può configurare un’ipotesi di concorso, essendo il sottoposto tenuto, nei casi in cui l’ordine appare manifestamente illegittimo, a sottrarsi allo stesso, anche a costo della propria vita.
Inoltre, per la prima volta, ad essere colpiti non sono solo i responsabili dei “crimini di guerra” (ossia coloro che hanno violato le norme internazionali sulla guerra), ma si introducono due nuove figure penali: i crimini contro la pace (es. la guerra di aggressione) e i crimini contro l’umanità. In altri termini a Norimberga nasce il moderno diritto penale internazionale, cui seguirà l’adozione delle Corti penali come quella dell’Aja.
Tornando alla guerra in Ucraina e ai massacri di civili che giornalmente si commettono, risulta che sia già stata attivata da 39 Stati (fra cui l’Italia) la Procura generale presso la Corte dell’Aja per valutare se siano stati perpetrati crimini contro l’umanità e il delitto di genocidio, mentre altri (come l’ex-Primo ministro inglese Gordon Brown) hanno chiesto l’istituzione di un Tribunale ad hoc, come si fece con Norimberga. Senza contare che, a guerra finita, potrebbe esserci un intervento delle Corti nazionali, dal momento che tanto la legge ucraina, quanto quella russa puniscono il crimine di aggressione.
Dunque, in conclusione, il diritto penale internazionale esiste ed è uno strumento vivo che prima o poi, pur fra mille ostacoli, farà il suo corso.
Per ora, purtroppo, c’è solo la guerra, con i suoi massacri, ma non si può demordere. Anche a distanza di anni giustizia sarà fatta. Questo, almeno, è il nostro auspicio.
Roberto Tanisi – Presidente del Tribunale di Lecce