Pubblichiamo la seconda parte dell’intervista all’ex segretario della Uil Giorgio Benvenuto (la prima parte è uscita venerdì 8 marzo). “L’accordo sulla scala mobile e il referendum hanno indebolito la sinistra: una ferita non rimarginata. Forse se Berlinguer fosse vissuto l’accordo con il Pci si sarebbe fatto. Le memorie di dirigenti come Napolitano e Barca ci dicono che per molti comunisti il referendum fu un errore”.
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On. Benvenuto, economicamente l’accordo sulla scala mobile era una cosa positiva ma politicamente comportò dei problemi
Comunque sia, la disputa sulla scala mobile è stato un guaio, non perché l’accordo era sbagliato ma perché ha indebolito la sinistra. È stata una ferita che non si è rimarginata, è rimasta lì anche se – oggi – molti dicono che bisognava fare qualcosa in quella direzione e che quindi il referendum è uno stato un errore.
Facciamo il discorso dei “se”. Se Berlinguer fosse vissuto, l’accordo si sarebbe fatto? (Berlinguer morì all’improvviso nel giugno 1984 durante un comizio a Padova, NdR)
Io immagino che se Berlinguer fosse vissuto sì sarebbe fatto l’accordo, questa però è una mia opinione perché i comunisti in tutto le loro vicende sono…sempre complicati. Oggi leggendo le memorie di dirigenti del PCI come Luciano Barca o Giorgio Napolitano si constata che molti comunisti ritenevano il referendum sulla scala mobile un errore clamoroso.
Del resto i dati elettorali dimostrano che in pratica votarono per conservare la vecchia scala mobile quelli che non la avevano, perché la città dove i voti per l’abrogazione furono di più fu Napoli e la regione fu la Sardegna. Gli operai del triangolo industriale, Milano, Torino e Genova, votarono per mantenere l’accordo perché sapevano che ridurre l’inflazione era più importante che non fare l’accordo, non c’era alternativa.
Parliamo ora dei rapporti tra Craxi ed il mondo sindacale?
Innanzitutto va detto che Craxi fu molto corretto, nei confronti del sindacato si è comportato molto meglio di come si sono comportati gli altri leader politici. Per il resto, la domanda è complessa, parte dal rapporto tra Psi ed i suoi sindacalisti per poi indagare la relazione tra Craxi ed il vasto mondo sindacale esterno. Comincerei da un fatto.
Quale?
Craxi, quando c’erano i congressi del partito socialista, faceva parlare nei momenti di maggiore presenza dei delegati i segretari socialisti della UIL e del CGIL. In quelle occasioni veniva e stava lì ad ascoltare. Rispettava il sindacato, anche se qualche volta si innervosiva quando gli interventi si prolungavano con un eccesso di ricorso al “sindacalese”.
Venne personalmente a dare la propria solidarietà al sindacato in vari incontri con tutte le sigle, andando alla CISL, alla CGIL e alla UIL.
Ha qualche ricordo significativo sul dopo referendum?
I risultati del referendum ci dettero ragione. Qualche tempo dopo Craxi andò a parlare ai congressi della Uil, della Cisl e anche della Cgil. Al congresso della Cgil fece un grande intervento citando quel bellissimo discorso di Fernando Santi sull’unità e l’autonomia del sindacato. Salutò Lama, che proprio in quel congresso lasciava la CGIL, ed affermò che “Voi sindacati – si riferiva alla UIL, ai socialisti della CGIL e alla Cisl e penso anche ai comunisti – non vi siete comportati come gli imprenditori, perché hanno avuto tante, troppe sovvenzioni nella storia del secondo dopoguerra”. Fece tutto l’elenco degli interventi economici che erano stati fatti a loro favore.
I sindacalisti della CGIL non lo contestarono. Ebbe un’ovazione, tutta la CGIL lo acclamò, e poi Craxi abbracciò Luciano Lama.
Nel 1987 Craxi assieme a Lama, a Nicola Signorello (allora sindaco di Roma) ed a Leo Valiani inaugurò il Monumento alla Resistenza presso la sede della UIL in via Lucullo, dove, non dimentichiamolo, nel periodo dell’occupazione ebbe sede l’infame tribunale nazista.
E a livello internazionale?
Quando c’erano gli incontri dell’Internazionale socialista, Craxi ci chiedeva di accompagnarlo e di essere nella delegazione del Partito Socialista. Aveva insomma un grande rispetto del sindacato.
Passiamo ora ad un altro argomento. Molti ricordando il Governo Craxi si fermano a Sigonella che fu il punto più alto di affermazione della sovranità nazionale e che suscitò alla Camera l’applauso anche dei comunisti. Oltre a Sigonella, al decreto sulla scala mobile di cui Lei ha diffusamente parlato raccontandoci anche interessanti retroscena, che cosa andrebbe ricordato del Governo Craxi secondo Lei?
Ah io ricordo il Cile! Nel 1973 Craxi non era segretario del Partito Socialista ma era il vice di Francesco De Martino e dal 1972 curò i rapporti internazionali. Quando ci fu il colpo di stato, la Uil e la FLM (all’epoca c’era la Federazione Lavoratori Metalmeccanici, un organismo unitario della categoria) fecero di tutto per aiutare i cileni, Craxi fece due gesti coraggiosi, prima di tutto andando, subito dopo il golpe, sulla tomba di Allende dove un poliziotto, vedendolo avvicinare alla cappella mortuaria, gli si rivolse a brutto muso con un mitra e gridandogli: “Un paso mas Y tiro”!
Il secondo gesto importante avvenne dopo, quando nel marzo 1985 Craxi parlò da presidente del Consiglio di fronte al Congresso americano in USA ed attaccò gli Stati Uniti per la loro responsabilità avendo favorito il golpe di Pinochet in Cile. (vedere nota a fine articolo, NdR)
L’Italia ha salvato un sacco di persone ospitandole all’interno della nostra sede diplomatica a Santiago, ricordiamo che l’ambasciatore italiano era in Italia al momento del golpe e che non rientrò mai in Cile dove noi avevamo solo un incaricato d’affari.
Non a tutti è nota l’intensa attività di Craxi anche a livello internazionale in favore dei dissidenti, degli esuli perseguitati dai remi dispotici
Sul Cile, per esempio, ci fu una presa di posizione, devo dire, forte dell’Italia e lui si mosse bene; io poi personalmente mi sono molto occupato di politica internazionale e non posso dimenticare quello che abbiamo fatto anche per la Cecoslovacchia dopo l’invasione sovietica del 1968, e devo dire che anche la CGIL dopo il ‘68 non ebbe più rapporti con i sindacati cecoslovacchi.
Alcuni anni dopo Craxi fece candidare alle europee Jiri Pelikan in rappresentanza dei popoli oppressi dell’Est; era un giornalista già direttore della tv di Stato cecoslovacca che dopo l’intervento sovietico aveva preso la via dell’esilio fermandosi in Italia. La Uil si mobilitò per favorire la sua elezione.
Craxi aveva le idee chiare e poi aveva il senso della dignità del Paese.
Un’altra domanda, che riguarda la “grande riforma” che Craxi agitò come bandiera di rinnovamento dello Stato. Secondo te quali proposte conservano validità e attualità? E secondo Lei che cosa andrebbe rilanciato?
Io sono con i piedi per terra, vorrei che si attuasse l’articolo 3 della Costituzione repubblicana, quello che parla dei diritti e dell’eguaglianza dei cittadini. Poi c’è un comma che venne inserito proprio per l’impegno dei socialisti e di Giustizia e Libertà: “La Repubblica deve rimuovere gli ostacoli che impediscono l’attuazione di quei diritti”.
Come vede la situazione oggi dal punto di vista politico, sindacale, del welfare
Oggi la situazione è peggiorata. Il sindacato è diviso, la politica è quella che è, i diritti delle persone stanno venendo meno. Poi c’è il welfare, lo stanno cancellando.
E irrisolto è il problema dei giovani che non trovano lavoro e se ne vanno all’estero con il loro sapere, con i computer, con l’Ipad. E io mi chiedo, come fanno a dire che la cosa fondamentale è stabilire il salario minimo? Non è sufficiente. Rassegnarsi al meno peggio significa rinunciare ad essere di sinistra.
Cosa pensa della proposta del premierato elettivo?
Io penso che questa proposta, fatta per dare più potere al presidente del Consiglio, sia sbagliata.
Come possiamo pensare che un uomo o una donna da soli possano risolvere i problemi di un paese che è sfarinato, che è diviso, che è rancoroso, che non sa immaginare un futuro?
Cioè oggi si vive alla giornata ignorando il passato. Ma voglio aggiungere una cosa
Prego…
Quando Craxi non c’era più, è stato fatto un errore da parte dei partiti chiamiamoli di sinistra del mondo occidentale. Ci fu l’accordo all’inizio degli anni Novanta di Firenze con Clinton per l’Ulivo mondiale. La sinistra si innamorò della globalizzazione, ingenuamente ci si convinse che il mercato avrebbe regolato tutto da solo e che tutti si sarebbero arricchiti. La sinistra si è messa su una posizione di ottimismo cieco.
Oggi la sinistra continua a dire: Dobbiamo difendere i lavoratori, dobbiamo difendere le donne, dobbiamo difendere il Mezzogiorno. Sbaglia! Se tu difendi sei soddisfatto di quello che hai, dovrebbe dire e fare: io voglio valorizzare i giovani, valorizzare le donne, valorizzare il Mezzogiorno perché un tempo la forza della sinistra era che voleva cambiare. Se io difendo, conservo. Io mi chiedo: se questo rapporto tra PSI e PCI a suo tempo fosse stato costruito in maniera diversa avrebbe potuto avere un successo, portandoci a nuovi rapporti politici.
Le chiederei un’altra cosa. Lei ricorda quel discorso che fece Craxi sulla battaglia per la delegificazione e la polemica sul Parlamento che all’epoca perdeva tempo a fare le leggi sui molluschi e sulla eviscerazione degli animali da cortile invece di procedere su queste materie diciamo marginali con degli atti amministrativi. Secondo Lei, tutto questo non svilisce la politica?
Oggi il Parlamento conta pochissimo, purtroppo. Abbiamo avuto il populismo e il qualunquismo. Sono stato parlamentare, sono stato eletto nel collegio di Mirafiori a Torino per tre volte; mi hanno scelto gli elettori, le persone. Sì ho avuto le mie difficoltà, comunque l’ho fatto all’epoca di Berlusconi e siamo riusciti ad avere successo, ma perché avevamo un rapporto con la gente.
Cioè tu non puoi avere un Parlamento di nominati, non puoi avere un partito di sinistra dove tutti puntano ad avere un leader, devi avere una squadra. Noi ricordiamo Craxi ma ricordiamo anche Nenni, Lombardi, insomma noi ricordiamo tanti personaggi.
L’errore è di puntare a un sistema di governo monolitico, quello che serve è il dialogo ed il confronto. Nella vita del partito i parlamentari erano competenti, c’era un’altra classe politica.
Oggi il confronto non c’è più perché si realizzano i decreti legge che fanno approvare, spesso con il voto di fiducia con una sorta di bicameralismo alternato, una volta alla Camera ed un’altra al Senato.
Un’altra cosa: il modus operandi del Governo Craxi prevedeva incontri preparatori in organismi istituiti ad hoc come il consiglio di gabinetto, un metodo che poi è stato abbandonato Secondo Lei questo metodo sarebbe ancora valido?
È necessario, ma oggi è più importante per la politica un Twitter che una riunione. Durante le interviste i politici camminano sempre, sfilano come se fossero delle indossatrici: tutti quelli che vengono intervistati camminano; in realtà sono fermi, inchiodati al presente. Perché camminate se non dite niente e non sapete dove andare?
NOTA
Il 6 marzo 1985 Bettino Craxi, presidente del Consiglio da due anni, parlò davanti al Congresso, ovvero al Parlamento degli Stati Uniti d’America. In quell’occasione così importante, con la quale per la prima volta un socialista veniva ammesso nel tempio della democrazia americana, Craxi non ebbe remore nel porre ai suoi interlocutori, nelle forme dovute della cortesia diplomatica, ma con la franchezza che gli era tipica, il problema del ripristino della democrazia in Cile.
«Circa l’America Latina, penso che tutti i Paesi democratici debbano coordinare i loro sforzi e le loro possibilità per contestare ogni involuzione autoritaria, ogni ricorso ingiustificato alla violenza, senza tolleranze per i dittatori che parlano talvolta in nome dell’Occidente e che con l’Occidente e con la democrazia non hanno e non possono avere nulla in comune. Sopra ogni altra sovrasta la richiesta di libertà del popolo cileno, un popolo civile e di tradizioni democratiche, che ha diritto a libere elezioni, e questa richiesta ha bisogno dell’incondizionato appoggio di tutti noi».
Questo passaggio del discorso di Craxi avrebbe potuto creare imbarazzo e fastidio in alcuni ambienti statunitensi anche in vista del successivo incontro a due tra il presidente del Consiglio italiano e il presidente USA Ronald Reagan. Gennaro Acquaviva, consigliere politico, e Antonio Badini, consigliere diplomatico di Craxi, che lo accompagnarono nella trasferta americana, nel loro volume “La pagina saltata della Storia” (Marsilio Editore, 2010), dedicato alla politica estera di Craxi presidente del Consiglio, hanno riferito che l’ambasciatore italiano negli Stati Uniti, Rinaldo Petrignani, la sera prima dell’arrivo di Craxi a Washington, chiese ripetutamente a Badini di proporre al presidente del Consiglio di espungere dal suo discorso il passaggio dedicato alla situazione cilena, riservandolo semmai ai colloqui vis à vis con Reagan. Ma ne ottenne una reazione infuriata di Craxi.
Gianluca Ruotolo – Avvocato, pubblicista