25 luglio 1943. Quando cadde il Regime. Cortocircuito di una dittatura

“La caduta del fascismo fu anche una questione di virgolette: il giorno dopo il 25 luglio i giornali cominciarono a scrivere ‘duce’ ” (Franco Lombardi, filosofo)

Tra i topoi della Repubblica non si annovera il 25 Luglio.

Non c’è niente che lo celebri nei calendari civili, ne’ si vedono talk show televisivi che ne facciano pretesto per dibattiti-intrattenimento a beneficio del popolo accaldato. E si capisce perché: evocare il 25 luglio significa ricordare il giorno del cortocircuito di una dittatura, quella fascista, avvenuto 80 anni fa, all’interno di un organismo ibrido, quintessenza del partito, della sua barocca autorappresentazione ma estraneo allo Statuto Albertino e tuttavia fattosi sovrastruttura dello Stato, fino a raggiungere un vero e proprio ruolo costituzionale (1928/1929).

Parliamo del Gran Consiglio del Fascismo, che raccoglieva l’èlite in orbace, di nomina rigorosamente mussoliniana. Quell’organismo, incorporato nel cuore dell’ordinamento dal duce nel 1923- e qui cadrebbe la seconda ricorrenza a cifra tonda, addirittura il centenario- ebbe incidenza altalenante negli affari di Stato, fino a quando i gerarchi del sinedrio non ne restituirono pienamente il ruolo politico e istituzionale, votando l’ordine del giorno di Dino Grandi che chiedeva la defenestrazione di Mussolini dopo la rovinosa piega presa dagli eventi a causa della scellerata alleanza con Hitler.

 

Dino Grandi: maestro dell'intrigo politico | Moondo
Dino Grandi

 

Correva l’anno 1943, e il giorno era il 25 luglio. Dal punto di vista formale, dunque, la data segna la caduta del duce e, di fatto del regime attraverso passaggi predisposti dal regime stesso, ma l’evento, gonfio delle note conseguenze, non restituì ipso facto libertà, democrazia e pace agli italiani, che avrebbero dovuto subire ancora traversie, lutti e drammatici sbandamenti, fino e anche oltre quel 25 aprile 1945 che il presidente del Consiglio De Gasperi dichiarò festa della Liberazione, quella sì in piena luce nei calendari italiani.

Evidentemente la riunione del Gran Consiglio, ancorché foriera di risultati che predisponevano la liberazione dall’ingombro fascista, non poteva trovare accoglienza nelle ricorrenze civili della Repubblica. Quel 25 luglio fu lungo e freddo come una lapide di granito nero in un cimitero sperduto, con i nomi incisi a caratteri romani. Partì il giorno prima, dal 24 pomeriggio, riunendo i massimi gerarchi del regime dopo 4 anni di inattività dell’organo, e finì solo nel tardo pomeriggio del 25, con le dimissioni di Mussolini nelle mani del Re, seguite dal suo arresto, reso noto da un comunicato diramato dalla radio solo alle 22,45.

 

Vittorio Emanuele III di Savoia, l'ultimo Re d'Italia - Mole24
Vittorio Emanuele III di Savoia

 

Come in una tragedia greca o shakespeariana, pensieri alti, piccole meschinità, drammi famigliari, tradimenti, fame di potere e istinto di sopravvivenza convissero nelle menti dei gerarchi e nelle loro azioni in quelle stanze di palazzo Venezia.

 

Palazzo Venezia - Wikipedia
Palazzo Venezia

 

Così camerati attraversati da qualche turbamento intellettuale, come Dino Grandi, presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni, che fu l’estensore materiale dell’ordine del giorno, il “futurista” Bottai, l’allievo di Carducci Federzoni, insieme con vecchi arnesi bellicisti della prim’ora, come il generale De Bono, con ex rampolli blasonati dal retrogusto alla Bel Ami, come Galeazzo Ciano, consorte dell’amata (dal padre) Edda Mussolini, e con altri ancora che il ministro inglese Anthony Eden ebbe a definire “fascisti opportunisti”, si ritrovarono a condividere l’improbabile disegno di tenere in piedi un Fascismo senza chi l’aveva inventato, Benito Mussolini.

 

9 GENNAIO 1959 MUORE GIUSEPPE BOTTAI – GERARCA, LEGIONARIO E MINISTRO  ILLUMINATO DEL FASCISMO | Congedati Folgore
Giuseppe Bottai

 

La parabola di Galeazzo Ciano | Storia | Rai Cultura
Galeazzo Ciano

 

L’ordine del giorno, che addossava al Capo del Fascismo la responsabilità di aver compromesso gli interessi superiori del popolo italiano portando il paese alla disfatta, racconta, così come il tragico e inglorioso tempo della Repubblica-fantoccio di Salo’ tenuta in piedi per 19 mesi da Hitler, l’afasia umbratile di un regime che probabilmente quest’afasia l’ha tenuta in corpo per lungo tempo, trasmettendola anche al popolo. Forse la politica (e dunque anche le istituzioni), andrebbe meglio interpretata con le scienze della psiche, piuttosto che con quelle dell’economia, della sociologia, della politologia. O almeno a loro generosa integrazione.

 

Emilio De Bono - Wikipedia
Emilio De Bono

 

Mussolini interiorizzò i suoi fallimenti al punto di provocarsi un’ulcera duodenale. Peggiore, però, fu la sua afasia, la sua indeterminatezza, il suo essere arrendevole e rassegnato ad un destino rovinoso. Il guaio delle dittature è che la postura del dittatore, la sua paturnia e la sua fase depressiva, si trasmettono al popolo senza possibilità di rimedio. Dobbiamo all’immenso lavoro di Renzo De Felice tutto ciò che di saliente e di storicamente rigoroso sappiamo di quel ventennio. A paragonarlo con i cicli della nostra democrazia si trattò, a ben vedere, di un periodo persino breve: si pensi al ciclo berlusconiano, che ha avuto l’arco di quasi un trentennio.

 

Mussolini l'alleato. II. La guerra civile (1943-1945), Renzo De Felice.  Giulio Einaudi editore - ET Storia

 

Perché, allora, quella stagione pesa ancora così tanto sul nostro presente? Perché fu una dittatura, che non consentiva nessuna opinione, visione, azione, notizia alternativa, una dittatura che ha potuto essere spazzata via solo da una guerra persa. Viviamo un tempo in cui la democrazia non se la passa benissimo nel mondo: i regimi che la adottano sono diventati minoranza e le suggestioni prevalenti anche nelle liberaldemocrazie spingono verso soluzioni semplificate, più inclini al populismo. Non è raro ascoltare critiche portate ai parlamenti liberi perché discutono troppo e non decidono. In realtà questo piace poco al capitalismo hard degli Over the top, che poi sarebbero i nuovi padroni della finanza digitale. Allora, riflettere sul senso della democrazia ogni tanto può non guastare. Così come ricordare quel tempo triste, in cui la democrazia non c’era può servire, eccome.

 

Pino PisicchioProfessore ordinario di Diritto comparato. Già deputato per varie legislature, presidente di Gruppo parlamentare, di Commissione e sottosegretario di Stato. Scrittore

 

 

 

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