Se davvero Elly Schlein ha deciso, come ripetutamente ha fatto capire in tanti appuntamenti degli scorsi giorni, di volersi presentare capolista alle europee nelle diverse circoscrizioni, e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, per parte sua, avrebbe voluto già dirlo, ma – ha aggiunto, sarà poi vero?– che ci sta ancora pensando (traduzione: … vuole e vuole sempre, fortissimamente vuole), e non l’ha ancora fatto, (altra traduzione: teme la reazione dei suoi alleati di governo, Salvini e Lega su tutto), sarebbe certo vantaggioso per la segretaria Pd Schlein finalmente decidere e precedere Meloni nella scelta, lasciandola pensosa e preoccupata su come poi dovrà agire.
Dovrebbe farlo già nelle prossime ore, sciogliendo la riserva e occupare la postazione. Da capolista tutto più …semplice rispetto a quanto avveniva in passato nelle diverse tornate elettorali, quando il posizionamento sulla scheda elettorale, in alto a destra o sinistra, o isolato in basso con tutta evidenza, era ritenuta cosa efficace per catturare voti. Tempi passati, tecnicalità e forse astruseria, ma sino a un certo punto. Si tratterebbe, invece, di una scelta anche accorta, in questo caso tempestiva, di tattica e forse di strategia, costringendo la Meloni ad affrettare la sua decisione.
E dunque, la scelta meloniana, in filigrana, sarebbe pur sempre valutata come necessità di bloccare sul nascere la leadership di una pericolosa concorrente, di non dare alcun vantaggio alla Schlein ove quest’ultima, in una efficace campagna di comunicazione, riuscisse a raccontare la verità sulla sua politica economica, le ambiguità della sua fede politica, le deambulazioni non risolte in politica estera. Un grumo di potere che, senza acquiescenza giornalistica e sospetto bon ton, sarebbe emerso, con tutte le sue contraddizioni, nella conferenza stampa di fine anno.
Dovendo anche considerare che nell’attuale panorama elettorale, dove la suggestione e la propaganda hanno ancora il loro peso e un elettore su due diserta le urne (Meloni lo sa bene, essendosene avvantaggiata a piene mani nelle ultime elezioni politiche), la sua decisione avrebbe le caratteristiche di una scelta “a ridosso”, con il rischio di qualche ammacco proprio nel momento in cui a lei spetterà il compito di illustrarla pienamente.
A questo punto, Prodi o non Prodi ( che ha sconsigliato alla Schlein di fare questo passo, ma Bonaccini non l’ha fatto e l’ha pure incoraggiata), la mossa della Schlein avrebbe il senso di una palese investitura della sua leadership, in una compassata gestione del partito, che ogni giorno di più appare ingessato (sempre fermo al 20%) e incapace di sfondare nel campo nemico. Di qui la necessità e l’urgenza ( cosa che la Schlein deve aver capito), di uscire dal guado, galvanizzare il partito e rendere più visibile la politica di contrasto alla destra di governo.
L’obiezione, fondata, di come si riesca a farlo in assenza di una vera coalizione, sta tutta nella logica politica di un passo alla volta. In questo caso, un primo passo, dovendosi contare. Beninteso, si tratterebbe pur sempre di una scommessa ad alto rischio . Per lei e per il Pd. E comunque, sempre meno i rischi dei vantaggi che potrebbe ottenere.
Elly Schlein deve aver pensato che le elezioni europee (ricordiamolo, si vota col proporzionale!), sono una vetrina troppo importante per lasciarla ai legulei della politica nostrana, al populismo della stessa presidente del consiglio, al ridotto cabotaggio della nostra forza in ambito europeo, forte la stessa Schlein dell’esperienza maturata in quella importante assise. Potendo, infine, con maggiore evidenza, fronteggiare il disegno meloniano, nel pendolo tra Orban e Le Pen, di voler fare breccia in Europa e scompaginare le forze in campo. Questo, comunque, un tentativo ben lontano dal potersi avverare.
Luigi Nanni – Giornalista