Venezuela, Bonanni: ecco perché bisogna sostenere Machado e Gonzalez

La testimonianza di un ex dirigente sindacale nazionale, che ha potuto constatare di persona il clima di terrore e di illegalità in quel Paese sudamericano

La situazione in Venezuela è un chiaro esempio di come certi ambienti cosiddetti progressisti tendano a chiudere gli occhi e a tacere di fronte alle atrocità passate e presenti del regime di Maduro.

Eppure l’attuale scenario venezuelano ricorda da vicino l’Italia del 1924. In quell’anno, le elezioni furono influenzate da violenze e intimidazioni da parte di squadristi fascisti, e da brogli elettorali gestiti alla luce del sole. La differenza sostanziale sta nel fatto che, se in Italia le forze dell’ordine si limitavano a un ruolo passivo, in Venezuela esse intervenivano attivamente per sopprimere le richieste di democrazia e libertà.

In sostanza, lo Stato venezuelano, con tutti i suoi poteri, opera sotto gli ordini diretti del dittatore Maduro. È dunque una esperienza di speranza per tutti i democratici la lotta ingaggiata contro il dittatore dalla indomita eroina Maria Corina Machado e da Edmundo Gonzalez riconosciuto dal voto popolare il Presidente della repubblica legittimo, nonostante le proibitive  condizioni scatenate da tutti i poteri dello stato controllati fraudolentemente da Maduro.

Maria Corina Machado

 

La Costituzione venezuelana del 1961, modificata da Chavez più di un decennio fa, ha concentrato sotto il controllo del Presidente i tre poteri dello Stato che, in una democrazia liberale, dovrebbero essere indipendenti e distinti per preservare l’equilibrio dei poteri e prevenire abusi da parte dell’autorità politica. Dunque attraverso brogli, violenze, incriminazioni di avversari, uso di ogni potere statale, si vincono le elezioni e gli organi dello Stato controllati pienamente da Maduro ratificano.

È significativo che Chavez avesse affidato a Toni Negri, a cui si ispirava, la stesura della nuova Costituzione per superare quella del1961. A tale proposito è un mistero il silenzio dei maitre a penser del progressismo nostrano ed internazionale. Nel lungo lasso di tempo di incubazione di un regime che si presenta ideologico retto da retroterra criminale, hanno preferito minimizzare e sottovalutare le conseguenze di un patchwork costituzionale che mescola le teorie di Rousseau con altre idee, utili solo a legittimare le ambizioni autoritarie del tenente colonnello Chavez, allora presidente della repubblica. Sostanzialmente come accade anche nei frangenti attuali.

A causa del regime l’economia venezuelana è talmente in crisi che, nel giro di un quarto di secolo, sono passati dalla ricchezza alla estrema povertà. Il Bolivar, un tempo valuta più forte del dollaro, ora è deprezzato al punto che la spesa di una famiglia si fa con carriole di banconote. Gli stipendi medi si aggirano intorno ai 200 dollari al mese.

Questa situazione è il risultato di anni di politiche economiche fallimentari, come distruzione della concorrenza, nazionalizzazioni, eccessivo aumento del numero di dipendenti pubblici a scopi clientelari e la distribuzione massiva di sussidi senza un corrispettivo in termini di lavoro. Identica strategia adottata da Peron in Argentina negli anni ’50 per conquistare il sostegno elettorale dei “descamisados”.

Sia Peron sia Chavez, entrambi militari, riuscirono a guadagnarsi il costoso sostegno dei militari e del “lumpenproletariat”, termine usato da Karl Marx per descrivere il sottoproletariato, considerato facilmente manipolabile in cambio di sussidi che, tuttavia, li condannano a una dipendenza al governante di turno ed all’annientamento di ogni aspirazione di progresso. Di conseguenza, le ricchezze naturali petrolifere del Venezuela continuano ad essere sperperate per sostenere un sistema deviato. Le tantissime  famiglie italiane che da oltre cinquant’anni risiedono in Venezuela nel settore dei servizi e dell’industria hanno dovuto assistere, impotenti, al crollo dei loro sforzi e sacrifici.

E come se non bastasse, si trovano nell’impossibilità di vendere i propri beni per poter ritornare in patria.  E’ possibile lasciare il paese, ma non di di disporre dei propri beni al momento della partenza, per legge quei beni possono essere utilizzati all’estero.

Personalmente, anni fa, ho avuto l’opportunità di partecipare a diverse assemblee a Caracas con i nostri connazionali, insieme ai sindacati liberi, associazioni e ordini professionali. Durante dieci giorni di numerosi incontri, fortemente osteggiati dal regime, ho potuto constatare di persona il clima di persecuzione, terrore e intimidazione che regna da tempo in Venezuela.

In un contesto internazionale turbolento, dominato da autocrazie e stati canaglia, è essenziale assumere posizioni decise e sostenere il coraggioso popolo venezuelano. Le prove inconfutabili della vittoria di Edmundo Gonzales dovranno essere denunciati da tutti i democratici del mondo.

La triste realtà venezuelana ci riporta alle fondamenta dei valori umani. Non può esistere progresso, giustizia o democrazia senza libertà individuali e collettive. Sappiamo che la libertà negata ad un popolo ha ripercussioni su tutti gli altri. Per questa ragione, la lotta dei venezuelani diventa la lotta di tutti coloro che anelano alla libertà e lottano per spezzare le catene dell’oppressione. Ma la vicenda venezuelana dovrebbe anche indicare la esigenza di chiarezza nei paesi democratici .

Assistiamo a pressioni e manifestazioni inquietanti nello scacchiere mondiale di paesi canaglia, gregari di paesi autocratici. Attorno a costoro si è costituita una galassia di regimi che negano ogni diritto individuale e collettivo come quello di Maduro. Ecco perché Machado e Gonzales vanno sostenuti con chiarezza e vigore.

 

 

Raffaele Bonanni  già Segretario Generale della Cisl, Docente di economia, vice presidente del Comitato per il referendum dell’attuale legge elettorale (“Rosatellum”)

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