Un archeologo al quale chiedevo se fosse possibile riconoscere un antico artefatto di terracotta da un falso di oggi, mi rispose che il tatto è il primo e immediato criterio di valutazione. Evidentemente poi ne seguono altri. E spiegava che la porosità del coccio si acquista col tempo ed è impossibile in una creazione contemporanea la cui superfice si percepisce liscia. Si tratta di un criterio empirico, ma parrebbe valido ad una prima valutazione tra tanti oggetti fasulli che incontriamo ovunque e ti vogliono vendere.
In un tempo in cui siamo inondati da notizie di ogni genere, qual è un criterio inizialmente valido per difendersi e distinguere una vera notizia da una fake news? La questione si impone per via della grande facilità di veicolare notizie. Appellarsi alla ragione non basta più, mentre si parla ovunque della cosiddetta Intelligenza Artificiale che può decostruire, costruire, rendere tendenziose le notizie e perfino ingannare.
In questi complessi tempi in cui tanti si immergono nell’apprendimento di ogni nuova possibilità di comunicare e di influenzare la nostra vita, ci accorgiamo che effettivamente la ricchezza di cui in sé l’essere umano è portatore, è posta in poveri vasi di coccio, secondo una felice espressione di Paolo di Tarso, il quale, ai cristiani di Corinto, scriveva che portiamo questo tesoro (la nostra speranza) in vasi di terra affinché appaia la straordinaria forza che proviene da Dio e non da noi (cfr. 2Cor 4, 7); un artefatto antico, dunque, il nostro essere ed esistere, che risale ai tempi in cui il Creatore gli diede forma con la polvere e gli insufflò la vita, l’intelligenza e la libertà. Con questi doni, insomma, biblicamente parlando, lo creò a sua immagine e somiglianza. La porosità dell’esistenza umana ha attraversato millenni e non è tecnologicamente riproducibile; anche volendo ridurre tutto a numeri e combinazioni algoritmiche, questa sarebbe sempre un’esistenza “liscia”.
La domanda di fondo è se il ricercatore della Silicon Valley o di altra entità che si dedica a questo studio che ha dato vita alla nuova creatura uscita dalle sue mani, e che chiamiamo Intelligenza Artificiale, abbia una qualche “somiglianza” con quella del Dio Altissimo che, secondo Genesi, creò il cielo e la terra, allora informi e vuoti mentre le tenebre ricoprivano l’abisso (cfr. Gen 1, 2); il “neo-creatore” benché abilissimo, mi pare più modesto. Egli usa della creazione ma, per la sua abilità, ne rimaniamo impressionati; forse perché abbiamo perso il senso della qualità e delle proporzioni della creazione divina e ci accontentiamo del brulicare di numeri e di algoritmi. Ad ogni modo, la questione susseguente è: che cosa egli insufflerà nel suo “artefatto”, ricordando che per la Bibbia, Dio creò l’essere umano maschio e femmina (cfr. Gen 1, 27), offrendo loro relazioni vive, comunione di spiriti e di corpi e quella autorità sul creato da cui non dovrebbe autodistruggersi?
Bisognerà riscrivere la Bibbia? Mi ha chiesto un amico. In verità, nemmeno la religione sfuggirà alla prospettiva di questa nuova creatura, l’Intelligenza Artificiale, a cui manca la coscienza, mentre la sua sacralità resta nella logica dei suoi ricercatori. Avrà la libertà? Avrà divieti? Potrà commettere peccati? Potrà mangiare del frutto proibito? Potrà amare? Avrà diritto alla redenzione? E pregare?
Già! Pregare è l’anelito più semplice e innato del cuore umano. Nessuno ha mai mancato di pregare qualche volta. Forse senza sapere chi, come quando si invoca la mamma, anche se non la si fosse mai conosciuta.
Agostino d’Ippona ha parlato della preghiera; la parte più interessante è quella autobiografica. Lo ha fatto, dunque, in riferimento a sé stesso, con il risultato che descrive, direi in modo paradigmatico, i nostri stadi del pregare e che un algoritmo non potrebbe far nascere dal suo inesistente cuore.
Diceva che da ragazzo (senza ancora il battesimo e per l’educazione materna) pregava non tanto per un qualche piccolo affetto verso Dio, ma perché gli fossero risparmiate, il giorno dopo, le busse del suo manesco maestro (Confessioni, 1,9,14); da giovane, poi, nel pieno dell’esuberanza post-puberale pregava perché non fosse travolto dalla passione, però che non gli fosse tolta subito (ib. 8, 7, 17)! In un misto di crisi e di allontanamento dall’educazione famigliare, mutò il contenuto della preghiera, chiedendo l’esaudimento delle proprie aspirazioni dialettiche, filosofiche e carrieristiche; ma ben presto percepì lo svilimento e la vanità di un simile pregare (ib. 3, 4, 7); per delusione, cadde nel manicheismo allora dominante, quasi come emancipazione, e nel quale si ritrovò con preghiere formali e senza elevazione; fu la causa di una nuova e più profonda disillusione; così Agostino confessa di essersi messo alla ricerca, tra grandi affanni, per capire la causa del proprio malessere e la natura della propria depressione. In una forma di altissima liricità spirituale, confessò rivolto al Signore: «Tu mi convertisti a te, e così a pieno, che non cercavo più né moglie né avanzamenti in questo secolo» (ib. 8, 12, 30).
E venne il battesimo nella Chiesa cattolica.
Spero che l’Intelligenza Artificiale non ci tolga il piacere di quei tanti pellegrinaggi spirituali che esistenzialmente attraversano la vita di uomini e donne di oggi e di domani e che ci lasci la preghiera, non riduca il pluralismo, né ci porti al pensiero unico!
Se rimanesse nei limiti accettabili, sarà una “creatura” estremamente utile dell’umanità.
Fernando Card. Filoni – Gran Maestro dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro. Prefetto emerito della Congregazione per la evangelizzazione dei popoli