Dieci miliardi di dollari per tornare sulla Luna. Sono le cifre dello stanziamento record voluto dal presidente Usa, Donald Trump, con la firma del Big beautiful bill, per il rilancio del programma Artemis compreso nel budget della Nasa, la missione per riportare l’umanità sul nostro satellite, questa volta per restarci. Una cifra enorme che segna un cambio di rotta significativo rispetto alle ipotesi emerse anche di recente che mettevano in secondo piano l’obiettivo Luna, con la missione Artemis giudicata come un progetto sacrificabile, se non proprio obsoleto, nel grande affresco spaziale trumpiano.
Il ritorno sulla Luna
La Luna, si temeva, avrebbe potuto essere messa da parte in favore di una corsa più audace verso Marte, voluta in gran parte dalla visione di Elon Musk. L’influenza del patron di SpaceX, su Trump aveva alimentato il sospetto che l’asse strategico potesse spostarsi in via definitiva verso il Pianeta Rosso, considerato da Musk la destinazione finale dell’umanità.
Ma i rapporti tra Musk e Trump non sono più quelli di un tempo, al netto delle tensioni social e delle divergenze su temi economici, compreso il Big beautiful bill, apertamente criticato da Musk sulla sua piattaforma X. Anche alla luce di questo raffreddamento che la Casa bianca ha deciso di investire seriamente sul ritorno sulla Luna. Non più un intermezzo simbolico in vista del grande salto verso il Pianeta rosso, ma una tappa centrale della strategia spaziale.
Il rilancio dell’Sls
A beneficiare del maxi-finanziamento è anche lo Space launch system (Sls), il vettore della Nasa che dovrà riportare gli astronauti sulla Luna e che si è attirato non poche critiche, soprattutto da parte dello stesso Musk, anche a causa dei ritardi accumulati e dello sforamento del budget. La costruzione dell’Sls, del resto, segue logiche tradizionali per lo sviluppo di sistemi finanziati da fondi pubblici e gestiti da una amministrazione federale governativa come la Nasa: i tempi sono più lunghi anche perché non ci si può permettere errori, e il prodotto finale deve funzionare “al primo colpo”.
Niente di più diverso dallo stile di Musk, il cui approccio allo sviluppo è sempre stato segnato dal “learning by failing”, perfettamente rappresentato dall’alto numero di razzi esplosi in varie fasi dei lanci di SpaceX. Adesso, invece, l’Sls riceverà oltre quattro miliardi di dollari, con un impegno minimo di un miliardo all’anno fino al 2029. Una blindatura finanziaria che ha il sapore di una presa di posizione: il governo federale Usa torna protagonista nello spazio, con mezzi e metodi propri, e non solo come cliente delle compagnie private.
Al fianco dell’Sls, troviamo poi fondi per la capsula Orion (venti milioni di dollari) e per il Lunar Gateway, la futura stazione orbitale attorno alla Luna (2,6 miliardi complessivi). Anche in questo caso, si parla di finanziamenti vincolati su base pluriennale: 750 milioni l’anno per tre anni.
Non solo Luna
Alla Stazione spaziale internazionale, destinata al disarmo nel 2023, vanno comunque 1,25 miliardi, mentre SpaceX ottiene 325 milioni di dollari per portare avanti lo sviluppo del cosiddetto rimorchiatore spaziale che dovrà accompagnare la Iss nel suo rientro controllato nell’Oceano Pacifico dopo il 2030. Un riconoscimento del fatto che nonostante la fiducia riassegnata alla missione Artemis, il ruolo chiave-giocato da Musk nello spazio non è affatto scomparso, né diminuito, restando un attore di primissimo piano nel contesto spaziale Usa e non solo. Del resto, anche il filone marziano non è stato cancellato del tutto. Sono stati stanziati settecento milioni per un nuovo orbiter marziano ad alte prestazioni per le telecomunicazioni, destinato a supportare la missione Mars sample return e le future esplorazioni con equipaggio.