Dicembre 1945. Una scoperta casuale di antichi documenti cristiani scritti in copto, avvenuta in una zona remota dell’Alto Egitto, avrebbe sensibilmente ampliato le conoscenze dei cristianesimi dei primi secoli.
La scoperta ha dell’avventuroso: nella zona di Nag Hammadi, a circa cinque chilometri a sud del Cairo, alcuni beduini stavano scavando il terreno per cercare fertilizzante utile per le coltivazioni. A un certo punto uno degli scavatori urtò con la zappa qualcosa di duro: era lo scheletro di un uomo, accanto al quale c’era un orcio di terracotta sigillato con bitume, che conteneva vecchi libri. Il capo del gruppo degli scavatori, Mohammed Ali, divise la scoperta tra i compagni, che però non erano interessati ai libri e li depositarono in una stalla.
Questo, però, è solo l’inizio dell’avventura.
Circa un mese dopo la scoperta, Mohammed Ali e i suoi fratelli, che erano invischiati in una faida con una tribù di un villaggio vicino, pensarono di aver trovato l’assassino del loro padre e lo uccisero, senza sapere che l’uomo in realtà era il figlio dello sceriffo locale. In questo frangente, spinto dalla paura che i manoscritti ritrovati potessero essere motivo di accusa, Ali diede uno di quei libri al prete copto del posto, il cui cognato, un maestro itinerante di inglese e storia, capì che il libro aveva valore e provò a venderlo al Cairo. Dopo un primo insuccesso, riuscì a farlo acquistare al Museo del Cairo, dove il direttore e un giovane antichista francese intuirono il valore del documento e recuperano gran parte degli altri libri ritrovati a Nag Hammadi.
Infine, l’UNESCO inviò una squadra internazionale, guidata dallo studioso americano James Robinson, con il compito di studiare e pubblicare i testi contenuti in quei libri ritrovati per caso.
Da quel momento in poi gli studi sui testi di Nag Hammadi si svilupparono con velocità e intensità impressionante. In questo fiorire di studi, edizioni e traduzioni nelle principali lingue moderne non esisteva ancora una traduzione italiana integrale dei manoscritti di Nag Hammadi.
Questa grave lacuna è stata colmata finalmente solo a maggio 2024. È dunque questo il primo, ma non il solo, merito del volume I codici di Nag Hammadi, curato da Andrea Annese, Francesco Berno e Daniele Tripaldi per i tipi di Carocci (https://www.carocci.it/prodotto/i-codici-di-nag-hammadi). Un volume poderoso, 712 pagine, che colma un divario con gli altri contesti internazionali.
Tutti i testi sono presentati da un’introduzione scientificamente rigorosa, che propone le principali problematiche delle opere, che sono tradotte integralmente e corredate di note e bibliografia. In questo modo il volume può rivolgersi tanto agli specialisti quanto a coloro che più genericamente sono interessati alla storia del cristianesimo antico, allo gnosticismo e alla filologia copta.
In passato si è spesso parlato dei testi scoperti a Nag Hammadi come di una “biblioteca”. Oggi i critici sono d’accordo nel considerare questa raccolta come una collezione di testi eterogenei allestita tra IV e V secolo in un ambiente che talvolta è stato ricondotto a quello monastico, ma che ancora oggi in realtà non riusciamo a definire con precisione.
La raccolta è decisamente importante, perché ci restituisce scritti cristiani perduti per oltre 1.500 anni, che prima erano stati redatti in greco e successivamente furono tradotti in copto. Nei dodici manoscritti di Nag Hammadi, più alcuni fogli di un tredicesimo, sono contenuti oltre cinquanta trattati tra antichi vangeli apocrifi, scritti gnostici, testi ermetici e persino un frammento della Repubblica di Platone.
Tra questi trattati troviamo per esempio il vangelo apocrifo oggi più noto, cioè il Vangelo secondo Tommaso, che nella versione copta esordisce così: «Queste sono le parole segrete che Gesù il vivente ha proferito e Didimo | Giuda Tommaso ha scritto. E disse: “Colui che | troverà l’interpretazione di queste parole non gusterà | la morte”» (trad. di A. Annese, p. 143). Da queste poche parole è possibile cogliere il fatto che per questo testo, che è stato datato tra la metà del I e la fine del II secolo, la salvezza non viene dalla morte di Gesù, ma dall’interpretazione delle sue parole segrete. In tal senso il Vangelo secondo Tommaso si colloca chiaramente nello gnosticismo cristiano, cioè in quel complesso ed eterogeneo movimento di gruppi, dottrine e visioni che avevano la pretesa di trasmettere in maniera elettiva una conoscenza (gnōsis) che porta la salvezza.
Nella collezione di Nag Hammadi possiamo leggere anche il Vangelo di Filippo, noto al grande pubblico grazie ad alcune fantasiose rielaborazioni moderne, che hanno ripreso e ampliato dei passi lacunosi, e di conseguenza di non facile interpretazione, come quelli relativi a Maria Maddalena: «Tre erano coloro che camminavano | sempre con il Signore: Maria, sua madre, | la sorella di lei e Maddalena, quella | che è chiamata sua compagna (tefkoinōnos). | Maria era sua sorella e sua madre | e la sua congiunta» (trad. di F. Berno, pp. 173-174).
Questa, come altre affermazioni che si trovano nel Vangelo di Filippo, è evidentemente complessa e va collocata in una visione concettuale che si basa sulla nozione di “immagine” e che tende a svalutare il mondo materiale, ancora una volta secondo una prospettiva propriamente gnostica. In questo testo emerge una cristologia divisiva che consiste nell’attribuire a Cristo «diversi nomi, diverse funzioni, diverse essenze, diverse modalità di rivelazione, in cui ciascun livello del reale possiede e conosce un “proprio” Cristo, in accordo alla propria capacità di vedere nell’immagine il suo modello ideale» (p. 168).
Solo due esempi, che però mi auguro possano consentire almeno di intuire la complessità dei testi trasmessi dai libri scoperti a Nag Hammadi, che, per non essere banalmente strumentalizzati secondo prospettive astoriche, esigono una lettura attenta, approfondita e guidata.
A tale risultato perviene senza dubbio il volume appena pubblicato, che è il frutto di un’impresa collettiva, validamente coordinata dai tre curatori e fondata sulla collaborazione di numerosi specialisti (diciotto traduttori, cui si aggiunge un saggio finale di Paola Buzi), che fanno risplendere la ricchezza di un fondo librario di straordinaria importanza.
Alessandro Capone – Università del Salento (alessandro.capone@unisalento.it)